DI BROCHETTI, Enrico
Nacque a Napoli l'8 nov. 1817 da Elisabetta Baccuet e dal barone Giuseppe, ufficiale superiore del genio del Regno delle Due Sicilie e dal 1836 al 1845 ministro di Guerra e Marina di Ferdinando II. A dieci anni fu ammesso al prestigioso primo collegio dell'Accademia di marina di Napoli; il 9 ag. 1834 fu promosso guardiamarina, quattro anni dopo brigadiere. Destinato sin dalla prima nomina al reale corpo dei cannonieri marinari vi svolse la prima parte della carriera nella flotta borbonica: alfiere nel 1840, tenente di vascello nel 1848. Nel 1857 fu nominato capitano di vascello, e con questo grado, due anni dopo, comandò lo "Ettore Fieramosca" per scortare lo "Stromboli" che imbarcava S. Spaventa, Settembrini, C. Poerio ed altri condannati politici esiliati in America via Cadice. La missione gli fruttò gli elogi della Corona.
Per volontà reale entrò nell'aprile del 1859 nel Consiglio di guerra e marina delle Due Sicilie, per assumere nel settembre l'incarico importante di sottoispettore per gli armamenti. Nel maggio dell'anno seguente divenne comandante dell'Istituto di marina, nell'agosto fu promosso alla maggiorità generale e passò al comando di fregata, poi venne destinato di nuovo agli armamenti, ed infine tornò ad assumere il comando del Collegio di marina.
Nel frattempo Garibaldi era giunto a Napoli. Un nutrito gruppo di ufficiali borbonici, anche della marina, tra cui il D., decise di passare alla causa nazionale e dalla parte del dittatore. Il primo vantaggio che ne ottenne fu la promozione a capitano di vascello di prima classe. Nel novembre un decreto di Cavour annullava il provvedimento di Garibaldi, ma poi nell'aprile 1861, con la definitiva formazione della marina italiana, il D. fu nuovamente promosso alla prima classe dei capitani di vascello. Venne anzi insignito del cavalierato dell'Ordine equestre dei Ss. Maurizio e Lazzaro, "in contrassegno di particolari benemerenze acquistate in servizio". Lasciava il comando del Collegio per divenire capo di stato maggiore del dipartimento marittimo meridionale.
Negli anni tra il 1859 ed il 1861, della dissoluzione del Regno delle Due Sicilie, la carriera del D. non aveva subito intralci. Una capacità d'adattamento al variare delle situazioni che si presentavano lo aiutò a districarsi nelle complesse vicende politiche del tempo. Un certo suo sentire, di militare "tecnico", ma anche un suo spirito conservatore ma non reazionario (per questo, probabilmente, era stato scelto per la missione del 1857), lo aiutarono ad inserirsi tutto sommato felicemente nella marina italiana. Comunque stava il fatto più generale che, "a differenza di quanto avveniva per l'Esercito, i piemontesi non disponevano di alcuna superiorità né la Marina napoletana era stata battuta o disciolta (anche se gli equipaggi avevano disertato in massa); la fusione fu quindi fatta su un piede di parità, tanto che gli ufficiali borbonici entrarono nei ruoli della Marina italiana automaticamente, senza subire una selezione" (cfr. Rochat-Massobrio).
La carriera del D., in una marina pur solcata da polemiche regionalistiche, fu regolare e scandita da promozioni ed incarichi di prestigio: incarichi tecnici, che non lo misero a contatto con il mondo politico, ma che ne fecero uno degli uomini importanti della marina italiana.
Nel 1864 comandò la R. Scuola di marina di Genova. L'anno seguente ottenne di poter "scavalcare" alcuni colleghi nel ruolo di avanzamento; fu nominato così contrammiraglio e chiamato a far parte del consiglio di ammiragliato, l'organo tecnico che dibatteva le principali questioni della flotta. Nell'imminenza della guerra con l'Austria, assunse la direzione generale del servizio militare presso il ministero della Marina (16 maggio 1866), dove ebbe modo di mettersi in luce, divenendo sostanzialmente un sottosegretario e il consulente tecnico di A. Depretis, allora ministro della Marina.
Del D. consulente militare nelle settimane che portarono a Lissa è stato anche ipotizzato un ruolo attivo ed influente nella formazione e nella diramazione di certe istruzioni operative. Istruzioni che - quando si manifestarono i primi screzi nei rapporti tra ministro e comandante in capo dell'armata operante - avrebbero avuto l'effetto di irritare il piemontese Carlo Pellion conte di Persano, cosciente che esse gli venivano dal subalterno ex borbonico. Se anche di tutto ciò non è dato trovare conferme dirette nei documenti, si sa con certezza invece che il D., quando nel maggio 1866 ricevette le lamentele dell'ammiraglio G. Vacca (comandante di una delle squadre navali) a proposito di certe disposizioni impartite da Persano, decise di non intercedere per lui presso il ministro, nonostante l'amicizia personale che legava Vacca e il D., entrambi ex borbonici. Ciò conferma il suo sapersi ormai muovere opportunamente tra le difficoltà dei conflitti personali e regionali che solcavano la neonata marina unitaria.
In generale, in questi mesi cruciali, il comportamento del D. non sembra distaccarsi mai da quello del ministro, anche se talvolta ciò lo portò ad esporsi, sempre però per difendere l'onore della marina. Come nel caso della nota "Relazione", pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 2 ag. 1866 e da lui firmata, in cui si leggeva che se "non può dirsi che l'Armata abbia ottenuto una vittoria, non avendo preso possesso di Lissa e non avendo distrutto la squadra nemica, certo è però che una vittoria non la ottenne il nemico e certo del pari che la battaglia di Lissa sarà sempre ricordata con molto onore per la Marina italiana...".
Se la marina italiana uscì pesantemente colpita dalla guerra del 1866 e da Lissa, la posizione personale del D. non rimase però intaccata: il contrammiraglio si defilò dal fuoco delle critiche e la sua carriera non subì conseguenze negative. Tra il 1867 e il 1874, anzi, consolidò ulteriormente la sua posizione nella gerarchia militare. Per un biennio fu membro del Consiglio superiore della Marina, l'organismo di supervisione delle scelte tecniche e strategiche voluto dopo il 1866 da Depretis. Nel 1870 gli venne affidato il comando del terzo dipartimento marittimo. Tre anni dopo, divenuto vice-ammiraglio, approdò al comando della squadra permanente della flotta militare italiana.
È noto l'episodio di Cartagena dell'estate 1873. Nel confuso biennio 1873-74, che si era aperto con l'abdicazione e la partenza del re di Spagna Amedeo di Savoia duca di Aosta (11 febbr. 1873) e si era chiuso, dopo un incerto regime di repubblica federale e poi unitaria, il 31 dic. 1874 col nuovo re di Spagna Alfonso XII, la città era stata teatro di una sollevazione antirepubblicana e gli insorti, impadronitisi di alcune corazzate alla fonda nel porto, potevano costituire un oggettivo pericolo per il Mediterraneo occidentale. La squadra permanente italiana, salpata da Cagliari e comandata dal D., si distinse per la fermezza con cui trattò gli insorti e per alcune opere di soccorso portate alla popolazione civile del luogo. In realtà, vero artefice e protagonista di queste operazioni fu C. De Amezaga, comandante dell'avviso "Authion", anche se ovviamente autorizzato dal comandante della intera squadra. Ma fu su quest'ultimo che si concentrarono gli elogi: come quello del ministro della Marina S. Saint-Bon, che (sollecitando inoltre il conferimento al D. del cavalierato dell'Ordine equestre della Corona d'Italia) ne lodava "grande capacità e ... tratto commendevoli, tanto più che le vicende politiche in mezzo a cui si trovò [a Cartagena] gli crearono una posizione delicatissima".
Il comando della squadra permanente, ma anche la vicenda di Cartagena, garantì al D. la nomina prima a senatore del Regno (15 nov. 1874) e poi ad aiutante di campo onorario del re (1876). In quanto militare "tecnico", fu un senatore "silenzioso" e poco presente alla vita della Camera alta, anche se mantenne (fino alla "rivoluzione parlamentare" del marzo 1876) un contegno fermamente filogovernativo, appoggiando fedelmente il ministero Minghetti e il ministro della Marina Saint-Bon. Si ricordi che gli anni successivi al 1874 furono decisivi per la marina italiana e per la definitiva affermazione di quella tendenza (di cui erano massimi esponenti B. Brin e il Saint-Bon) favorevole alla costruzione di "grosse navi" e ad un piano di riarmo navale.
Dopo aver lasciato il comando della squadra permanente, il D. aveva comandato il secondo dipartimento marittimo e nel 1876 fu scelto per la presidenza del Consiglio superiore di Marina. Da questa importante carica si adoperò per agevolare i programmi e le leggi navali del ministro. Fu egli stesso, ad es., nel 1877 a relazionare al consiglio sull'armamento necessario per la "Italia", sul calibro dei cannoni e sulla costruzione della "Duilio" e della "Dandolo", fra le prime delle nuove "grosse navi" italiane. Fu in fondo per questi meriti "tecnici" che nel marzo 1878, nel quadro della difficile crisi politica del gabinetto Depretis, egli fu chiamato a reggere il ministero della Marina nel primo governo Cairoli.
Nei giorni precedenti la composizione definitiva del gabinetto, in realtà, i candidati accreditati come probabili erano parsi lo stesso Brin o il contrammiraglio S. Martini. La scelta del D. (un "tecnico" al pari del generale G. Bruzzo e dell'ambasciatore L. Corti, rispettivamente scelti per la Guerra e per gli Esteri) fu certo favorita dalla Corona, interessata ad avere uomini di fiducia nei tre dicasteri-chiave di un governo decisamente orientato a sinistra.
Più che uomo dichiaratamente di destra (secondo quanto lo dipingeva la stampa di opposizione dell'epoca) il D., che era senz'altro un conservatore, tendeva a ribadire il suo ruolo di "tecnico", di interprete delle richieste dell'armata, e la sua intenzione di rimanere tale. A pochi giorni dal suo insediamento presentò una serie di disegni di legge, tra i quali quello per il "riordinamento del personale della R. Marina" e quello per l'"Ordinamento degli arsenali della R. Marina". Ma il calore del dibattito sulla politica interna ed estera del governo, insieme agli stretti margini finanziari e politici di cui egli poteva godere e ad una scarsa confidenza con il meccanismo parlamentare della lotta politica, fece in modo che solo il primo disegno di legge venisse approvato.
Il breve periodo di permanenza al dicastero (24 marzo-24 ott. 1878) non gli permise di lasciare una impronta personale, né era certo uomo dalle scelte ardite, o fornito di idee originali da affermare nel dibattito sugli indirizzi al riarmo della marina. Ma importante fu, ad esempio, la missione esploratrice che egli assegnò a Brin e a F. Mattei sullo stato della flotta in Francia e Gran Bretagna (la cui relazione conclusiva ebbe un ruolo notevole nell'orientare le scelte della marina nel decennio successivo). Il D., con gli altri due colleghi rappresentanti della Destra nel gabinetto, L. Corti ministro degli Affari esteri e B. Bruzzo ministro della Guerra, si era dimesso all'indomani del discorso a Pavia del Cairoli (15 nov. 1878) perché il presidente del Consiglio aveva definito improduttive le spese militari e perché persuaso che la libertà di associazione e di riunione accordata dal governo potesse finire per pregiudicare la disciplina militare.
La fine dell'esperienza politica e ministeriale concise con la fine della sua carriera militare. Pochi mesi dopo chiese la messa a riposo. Morì a Torre del Greco, vicino a Napoli, il 18 nov. 1885.
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