DOLFIN, Enrico (Rigo, Righetto)
Figlio di Marco e di Tommasina Ardizzone da S. Maria Formosa, vide la luce a Venezia negli ultimi mesi del 1252 o, al più tardi, al principio del 1253. Sembra assai probabile che fosse nato postumo. La madre, infatti, testando il 4 ott. 1252, risulta già vedova e non lo menziona nel suo testamento, il che fa pensare che egli allora non fosse ancora nato. Il padre, che probabilmente era un figlio di Giacomo, uomo politico di rilievo nella seconda metà del XIII secolo, apparteneva al ramo dei Dolfin stanziato a S. Canciano (sestiere di Cannaregio) e faceva quindi parte di una delle più antiche e nobili famiglie cittadine, "de haut lignaje" secondo la definizione del cronista Martino da Canal (p. 266), trasferitasi in seguito, almeno parzialmente, nella limitrofa parrocchia di S. Pantalone.
Nulla si può dire di sicuro sugli anni giovanili del Dolfin. Ben conosciuta è invece la sua carriera pubblica, iniziatasi verso il venticinquesimo anno di età, quando egli fu eletto per la prima volta al Maggior Consiglio; è certo lui quel "Righetus Delphino" che figura nelle liste dei membri della massima Assemblea veneziana nel 1277, in rappresentanza del sestiere di Cannaregio. Nel quindicennio successivo la sua attività ufficiale rimase limitata all'ambito della città natale: lo si ritrova difatti confermato per quattro volte consecutive al Maggior Consiglio, dal 1278 fino al 1282 ed ancora in un'ultima occasione nel 1284. In seguito, però, cominciarono ad essergli affidate mansioni che lo costrinsero ad assentarsi a più riprese dalla patria.
Il primo incarico all'estero si svolse fra il 1292 ed il 1294 quando egli ricoprì le funzioni di bailo in Armenia. La missione che lo attendeva era particolarmente delicata.
L'anno precedente al suo arrivo i precari equilibri esistenti nell'area del Mediterraneo orientale erano stati infatti profondamente alterati con la definitiva distruzione del Regno di Gerusalemme ad opera dei mamelucchi egiziani. La caduta dello Stato fondato dai crociati aveva avuto ripercussioni negative anche sugli interessi di Venezia in quella zona, in quanto aveva comportato la momentanea chiusura dei porti della regione, da lunga epoca attivamente frequentati dai Veneziani, e al tempo stesso aveva reso necessario il trasferimento dei superstiti della numerosa e florida colonia mercantile veneziana da San Giovanni d'Acri, capitale del regno, in parte a Cipro e in parte nella città armena di Ayas (Laiazzo), rimasta così l'unico importante centro della costa asiatica aperto ai traffici con gli Occidentali.
Durante il periodo di permanenza ad Ayas, sede del suo ufficio, il D. dovette quindi preoccuparsi soprattutto dei problemi concernenti l'amministrazione dell'aumentata comunità veneta dimorante laggiù. Nel maggio del 1293 ottenne anche l'autorizzazione di imporre ai componenti della colonia un mutuo forzoso a soddisfacimento del salario che non gli era stato versato fino ad allora. È inoltre probabile che fosse ancora colà l'anno dopo e quindi poté certo assistere a un episodio del nuovo conflitto scoppiato fra Genova e Venezia, avvenuto il 28 maggio del 1294, proprio di fronte al porto, quando una squadra navale genovese al comando di Nicola Spinola distrusse una flotta veneziana capitanata da Marco Basilio.
Rientrato a Venezia, nel maggio del 1296 provvide a rinnovare, nelle vesti di grande elettore, la composizione del Maggior Consiglio, scegliendo alcuni nuovi membri che, significativamente, appartenevano tutti a casate alle quali era legato da vincoli di parentela (quattro Dolfin e due Da Mosto per il sestiere di Cannaregio). Nel 1297 fu poi nominato console generale nel Regno di Napoli, carica che mantenne fino ai primi del 1299, quando venne rilevato da Nicolò Querini. La sua azione nell'Italia meridionale è assai scarsamente documentata. Risulta tuttavia coinvolto in una vertenza, con esito favorevole, per via di certa somma da lui affidata a un sensale di Molfetta che se ne era poi appropriato senza più restituirla. Si sa inoltre che cercò di mantenere sotto controllo i movimenti dei Genovesi in Sicilia, organizzando un servizio di sorveglianza.
Nel dicembre del 1300, a Venezia, deponeva assieme con Marco Zeno e Marco Doto di fronte ai giudici di Petizion, a motivo di un credito preteso da un mercante friulano. Ma la permanenza in patria durò poco, perché di lì ad alcuni mesi fu eletto podestà delle isole di Farra e Brazza nell'Adriatico meridionale. Raggiunse la sua destinazione nella primavera del 1301 in compagnia di uno dei suoi figli, che gli era stato concesso di portare con sé con provvedimento adottato nel marzo di quell'anno. Di nuovo a Venezia allo scadere del suo mandato biennale, per qualche tempo svolse prevalentemente incarichi giudiziari, come nel settembre del 1303 quando fece parte di un collegio arbitrale che decise una questione vertente fra gli armatori di due galee destinate alle rotte dell'Egeo, o nel gennaio del 1305 quando, ricoprendo fin dall'ottobre precedente la carica di giudice di Petizion, assieme ai suoi colleghi Michele Falier e Nicolò Sanuto pronunciò sentenza di condanna avverso Bartolomeo de Bonamicis, speziale, reo di mancato pagamento del fitto di un negozio di proprietà del patriarcato di Grado. Fu quindi nominato per la seconda volta console nel Regno di Napoli, ma non è sicura la sua partenza da Venezia per ricoprire quell'incarico; in ogni modo nel febbraio del 1307 il Maggior Consiglio lo sciolse dall'impegno rendendolo absolutus dal consolato.
Poche le notizie che a lui si riferiscono negli anni seguenti. Nel 1314 gli fu tuttavia affidato il compito, insieme con Nicolò Gradenigo, di recarsi presso la Comunità di Treviso, al fine di esprimere il compiacimento veneziano per la riconquistata libertà di quel Comune dopo la scomparsa di Enrico VII di Lussemburgo. Al tempo stesso, però, i due erano latori di numerose richieste di riparazioni contro prepotenze continuate a danno di cittadini e istituti religiosi di Venezia, nonché limitative dei traffici. Secondo il Bonifaccio (Istoria di Trivigi, p. 255), le istanze esposte dagli ambasciatori il 25 ottobre di fronte al Consiglio dei Trecento furono accolte, ma l'affermazione è contraddetta dal fatto che poche settimane dopo il doge scrisse in termini delusi a Treviso, lamentando il mancato rispetto degli accordi.
Nel giugno del 1318 il D. fu infine eletto podestà di Torcello, ma aveva da poco assunto le sue funzioni che cadde ammalato. Il 21 agosto fece chiamare il notaio Ognibene, prete di S. Giovanni di Rialto, ordinandogli di stendere il suo testamento che, fatto insolito, fu redatto non in latino bensì in volgare. Da esso risultava un patrimonio consistente, elargito con generosità a chiese e monasteri oltre che ai parenti più stretti, costituito da capitali mobili e crediti commerciali nonché da possessi fondiari siti in varie zone, anche fuori Venezia.
Il D. morì entro la metà di settembre 1318, prima del giorno 14, quando il suo successore nella podestaria torcellana, Pietro Barbarigo, risultava già entrato in carica. Venne sepolto nel cimitero adiacente alla chiesa francescana intitolata a S. Maria (S. Maria Gloriosa dei Frari), dove già riposavano i suoi genitori.
Aveva sposato Caterina, figlia di Marco Da Mosto da S. Canciano. Dal matrimonio erano nati due maschi, Benetto, premorto al padre, e Nicolò, e una femmina, Angelera, andata sposa a Francesco Giustinian da S. Pantalon.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Alberi geneal. di alcune famiglie patrizie venete, b. 184, fasc. 51 s.; Ibid., Cancelleria inferiore, Notai, Atti Marco prete di S. Canciano e cancelliere inferiore, b. 107, n. 23; Ibid., Atti Mozo Domenico, b. 108, n. 32; Ibid., Atti Stopa (dalla) Marco, b. 179, n-4; Ibid., Commemoriali, reg. 1, c. 38r; Ibid., Maggior Consiglio, Deliberazioni, Magnus et Capricornus, c. 139v; Ibid., Miscell. codici, I, Storia veneta 74: Mem. istorico-cronologiche spettanti ad ambasciatori della Serenissima Repubblica di Venezia spediti a vari principi, c. 377r; Ibid., Podestà di Torcello e contrade, b. 6, fasc. 1-2; Ibid., Sezione notarile, Testamenti, Atti Ognibene prete di S. Giovanni di Rialto, b. 1195, n. 1; Treviso, Bibl. com., Mss., 957: V. Scoti, Documenti trevigiani, IV, f. 420, n. 256; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 16 (8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, cc. 16r, 20vs.; Ibid., Mss. It., cl. VII, 551 (7281): Cronaca documenti veneti antichi, c. 252r; Ibid., Mss. It., cl. VII, 926 (8595): M. Barbaro, Genealogie delle famiglie patrizie venete, II, c. 64v; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, I, Venezia 1876, p. 29, n. 128; Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, a cura di R. Cessi, I, Bologna 1950, pp. 306, 310, 314, 317, 321, 339, 359 s.; III, ibid. 1934, p. 341, n. 45; Cassiere della Bolla ducale, Grazie, Novus Liber, a cura di E. Favero, Venezia 1962, pp. 11, 48, nn. 25, 201; Venetiarum historia vulgo Petro Iustiniano Iustiniani filio adiudicata, a cura di R. Cessi-F. Bennato, Venezia 1964, pp. 295, 304; Testi venez. del Duecento e dei primi del Trecento, a cura di A. Stussi, Pisa 1965, pp. 33, 156, nn. 25, 97; M. da Canal, Les estoires de Venise, a cura di A. Limentani, Firenze 1972, p. 266; G. Bonifaccio, Istoria di Trivigi, Venezia 1744, p. 255; F. Corner, Ecclesiae Venetae illustratae, Venetiis 1749, I, pp. 329, 331; II, pp. 282, 284; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni venez., VI, 2, Venezia 1853, p. 677; E. Bertanza-V. Lazzarini, Il dialetto venez. fino alla morte di Dante Alighieri 1321, Venezia 1891, pp. 16, 74 s., nn. 69, 158; L. Dolfin, Una famiglia storica: i Dolfin attraverso i secoli, Genova 1904, p. 16; G. Fiastri, L'Assemblea del popolo a Venezia come organo costituzionale dello Stato, in NuovoArchivio veneto, n. s., XXV (1913), p. 373; B. G. Dolfin, I Dolfin (Delfino) patrizi venez. nella storiadi Venezia dall'anno 452 al 1923, Milano 1924, pp. 56, 59; N. Nicolini, Sui rapporti diplomatici veneto-napoletani durante i regni di Carlo I e Carlo II d'Angiò, in Arch. stor. per le prov. napol., LX (1935), pp. 257, 260; V. Lazzarini, Marino Faliero, Firenze 1963, p. 5.