ROSA, Enrico Felice Tomaso
– Nacque a Selve Marcone, nel Biellese, il 17 novembre 1870 da Domenico e da Antonia Rossi.
Frequentò le elementari a Torino, presso i Fratelli delle scuole cristiane, e nel 1883, con l’intenzione di farsi missionario, convinse i genitori a mandarlo nel Principato di Monaco alla scuola apostolica dei gesuiti della provincia torinese. In questi anni maturò in lui il desiderio di entrare nella Compagnia di Gesù; l’11 ottobre 1886 cominciò il noviziato a Chieri e due anni più tardi, il 21 ottobre 1888, pronunciò i voti religiosi; venne ammesso agli studi previsti dalla Ratio studiorum dell’epoca, che gli consentirono di affinare soprattutto la sua educazione umanistico-letteraria; nel 1890 entrò nel corso di filosofia, diventando uno degli allievi prediletti di padre Sante Schiffini. L’esile corporatura e la salute cagionevole gli preclusero definitivamente la strada delle missioni, ma non gli impedirono di compiere altrimenti il suo apostolato religioso, di cui fu investita la sua attività di scrittore. La sua formazione umanistica gli permetteva di leggere opere in molte lingue moderne e di scrivere correntemente in latino. Grazie a tale abilità aiutò Schiffini nell’edizione delle sue opere. Nel 1893 entrò nella fase cosiddetta di magistero, un periodo di tempo tra il filosofato e il teologato, durante il quale insegnò lettere ai suoi giovani confratelli nello scolasticato di Chieri. In questo periodo imparò il greco e cominciò a tradurre dal tedesco la Storia universale della Chiesa del cardinal Joseph Hergenröther, rielaborata da monsignor Johann Peter Kirsch, la cui prima edizione italiana venne stampata nel 1904. Nell’ottobre 1897 iniziò il quadriennio di formazione teologale e il 30 luglio 1900 ricevette la consacrazione sacerdotale. Rimase a Chieri fino all’autunno del 1902 a insegnare metafisica; portò a termine la sua formazione gesuitica tra Sartirana e Avigliana; il 2 febbraio 1904 emise la professione perpetua.
Nel 1904, mentre era padre spirituale all’Istituto sociale di Torino, cominciò a collaborare con La civiltà cattolica; i suoi articoli piacquero e l’anno seguente venne chiamato a Roma per essere aggregato al collegio degli scrittori del periodico.
Secondo la lista compilata da Ambrogio Maria Fiocchi nel 1957, Rosa scrisse su La civiltà cattolica circa 830 fra articoli e recensioni dal 1904 al 1939 e pubblicò ventidue fra libri e traduzioni. Non si contano gli articoli, i saggi e i contributi in altre opere, quotidiani e riviste. Come scrisse Giuseppe De Luca nel 1936, «il Padre Rosa è stato ed è uno degli uomini che fanno opinione in Italia, tra i cattolici; e a lui si è guardato, anche da parte non cattolica, quando si è voluto conoscere quel che il pensiero cristiano dettasse in determinate circostanze» (Mondrone, 1938, p. 490). Nella mente di chi volle chiamarlo a collaborare alla rivista di via di Ripetta, vi era l’obiettivo di «combattere il riformismo dottrinale e disciplinare» per scongiurare una deriva troppo liberale del periodico, il cui indirizzo nei confronti dell’intervento dei cattolici in politica, tendeva a essere più morbido (lettera di Antonio Pavissich a Filippo Meda del 30 novembre 1906, cit. in Zambarbieri, 1979, p. 346). Rosa avrebbe saputo coniugare rigore dottrinario e acume nel discernimento del movimento storico-critico, i cui metodi egli riteneva importante impiegare, ma con cautela.
Fin dall’inizio della sua attività di scriptor si dedicò a confutare gli errori della ‘nuova scuola’ e in particolare quelli contenuti negli scritti di Ernesto Buonaiuti, toccando molti dei nodi problematici sollevati dal modernismo, per difendere il deposito della fede. Il professore del pontificio seminario romano dell’Apollinare e le sue teorie furono al centro degli articoli di Rosa che attaccavano il modernismo, a partire da Uomini nuovi ed errori vecchi, pubblicato in due parti nel 1906. Rosa stigmatizzava i «falsi principi o i metodi pericolosi» che dalla Francia si stavano diffondendo tra i cattolici anche in Italia; parlava di «sana modernità», che non escludeva la possibilità di una riforma, ma che, per non condurre alla distruzione della Chiesa, doveva essere in armonia con l’immutabilità del dogma. Antimodernista ma non integrista, si trovò spesso in contrasto con Umberto Benigni per i metodi adottati dal Sodalitium pianum.
Il 24 giugno 1913 venne nominato vicerettore della comunità e vicedirettore della Civiltà cattolica; il 20 aprile 1915 divenne rettore della casa (fino al 1921) e direttore del periodico.
Durante la prima guerra mondiale fu impegnato a difendere la scelta della neutralità della S. Sede nei confronti degli Stati coinvolti, a spiegare la posizione cattolica nei riguardi della guerra e il comportamento che i cattolici dovevano osservare. Gli articoli pubblicati nella Civiltà cattolica furono sottoposti alla censura del governo italiano. Soltanto dopo la guerra al gesuita fu possibile ricomporre i testi integrali in un unico volume, Visione cattolica della guerra (1925).
Senza addentrarsi in un’analisi storico-politica dei fatti, seguendo invece la corrente del cattolicesimo intransigente, Rosa indicava nella «apostasia sociale», nell’«ateismo di Stato» e nella «amoralità della vita pubblica» le ragioni dello scoppio del conflitto, ovvero nell’abbandono da parte della società moderna dei principi cristiani (Principi cattolici e rivoluzioni di partiti nella guerra). Pur intuendo la progressiva degenerazione della guerra moderna in «guerra assoluta», Rosa, ispirandosi agli scritti di Luigi Taparelli d’Azeglio del secolo precedente, ribadiva che i cattolici erano tenuti a obbedire all’autorità, secondo il principio di presunzione. Di fronte all’emergere e al successo dei nazionalismi, Rosa tentò di declinare il principio di amor di patria in senso cattolico. Accostando la devozione dovuta a Dio al culto della patria cui i cittadini erano tenuti, riconosceva il diritto di una nazione a rivendicare i confini territoriali del proprio Stato – «vero nazionalismo» –, ma senza scadere nella statolatria o nell’affermazione della superiorità di un popolo rispetto a un altro – «nazionalismo esagerato» – (Nazionalismo e amor di patria secondo la dottrina cattolica; Le «giuste aspirazioni dei popoli»).
Subito dopo la guerra pubblicò una serie di articoli sul cardinale Roberto Bellarmino, che servirono a riaprire la causa di canonizzazione del campione della Controriforma.
In seguito alla condanna dell’Action française, dedicò alcuni articoli a spiegare le cause dell’incompatibilità tra il movimento di Charles Maurras e la dottrina cattolica. Nel febbraio 1928 si recò anche in Francia per studiare meglio la situazione e le difficoltà dei confratelli nella lotta contro la diffusione delle idee del giornale maurrasiano.
Per quanto riguarda la politica italiana Rosa appoggiò l’ala destra del Partito popolare italiano, più orientata in senso confessionale e favorevole alla composizione della questione romana. Il suo atteggiamento verso il fascismo, invece, conobbe diverse fasi. Inizialmente avverso al movimento considerato violento e anticristiano, e frutto del tanto criticato liberalismo, aprì, in seguito alla marcia su Roma, alla possibilità di un compromesso, nella speranza che potesse favorire la restaurazione degli interessi e dei principi cattolici. Dopo il delitto Matteotti intervenne, dietro richiesta del papa, per richiamare i cattolici all’obbedienza all’autorità civile al fine di scongiurare la collaborazione tra popolari e socialisti, che avrebbe messo in pericolo l’alleanza che si stava configurando tra Chiesa e fascismo. All’indomani della conciliazione, quando si riaprì il conflitto sull’Azione cattolica, le critiche di Rosa nei confronti del regime si riaccesero e nel 1930 fu sospettato di aver dato il suo sostegno all’organizzazione clandestina antifascista monarchico-cattolica Alleanza nazionale per la libertà. Nel 1931 Włodzimierz Ledóchowski lo rimosse da direttore della Civiltà cattolica in seguito all’assalto agli uffici della rivista avvenuto il 27 maggio da parte della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Secondo il generale dei gesuiti bisognava evitare, con riferimento allo stile di padre Rosa, «quella forma acre, ironica, pungente, che in altri tempi era forse buona e utile, ma ora nuoce» (Pireddu, 2000, p. 709).
Un altro degli argomenti affrontati negli scritti di Rosa fu l’antisemitismo. Alcune delle tipiche pregiudiziali antisemite di cui gli ebrei erano accusati (di essere massoni, capitalisti, affaristi) avevano costellato i suoi articoli degli anni Venti. Nel 1928, a commento del decreto di soppressione della società Amici Israel da parte del S. Uffizio, aveva precisato che l’antisemitismo ivi condannato era quello «nella sua forma e nello spirito anticristiano». Esisteva tuttavia, secondo il gesuita, una minaccia per la società a causa del crescente potere acquisito dagli ebrei dalla loro emancipazione ottocentesca, potere al quale i cattolici avevano il diritto di opporsi senza scadere in un antisemitismo caratterizzato dall’odio e dalla violenza da lui considerato eccessivo (Il pericolo giudaico e gli “Amici d’Israele”). Negli anni Trenta Rosa condannò l’antisemitismo del nazionalsocialismo pur confermando «l’esistenza e la gravità del “pericolo ebraico”» (“La questione giudaica” e l’antisemitismo nazionalsocialista). La linea adottata dalla rivista fu quella indicata dal libro di Hilaire Belloc, Gli Ebrei, in cui sostanzialmente veniva rispolverata l’ipotesi del ghetto. Dopo lo scoppio della campagna antiebraica in Italia, Rosa aveva ricevuto ordine dal Vaticano di scrivere un articolo che dissipasse l’impressione che l’organo della Compagnia di Gesù aderisse pienamente alle misure razziste del governo fascista. Ciononostante, nei suoi interventi sottolineò quanto il periodico fosse stato lungimirante quando aveva illustrato il pericolo dell’acquisizione di pari diritti civili per gli ebrei, un fatto che aveva alla fine scatenato l’odio contro di loro (La questione giudaica e “La civiltà cattolica”). Nel settembre del 1938, Ledóchowski gli affidò la revisione del progetto di enciclica sul razzismo e l’antisemitismo, la cosiddetta enciclica nascosta, per avere il suo parere, ritardando in questo modo la consegna della bozza al pontefice. Non si possiedono documenti che accertino che Rosa avesse preso visione del documento prima di morire.
Negli ultimi anni di vita soffrì di una neuralgia oculare e nelle ultime settimane di una miocardite cronica. Morì a Roma il 26 novembre 1938.
Opere. Principali articoli pubblicati nella Civiltà cattolica: Uomini nuovi ed errori vecchi, 1906, vol. 1, pp. 257-273, 559-574; Nazionalismo e amor di patria secondo la dottrina cattolica, 1915, vol. 1, pp. 129-144, 420-435; Principi cattolici e rivoluzioni di partiti nella guerra, 1917, vol. 2, pp. 5-20; La parte dei cattolici nelle presenti lotte dei partiti politici in Italia, 1924, vol. 3, pp. 297-306; Il pericolo giudaico e gli “Amici d’Israele”, 1928, vol. 2, pp. 335-344; “La questione giudaica” e l’antisemitismo nazionalsocialista, 1934, vol. 4, pp. 127-136; La questione giudaica e “La civiltà cattolica”, 1938, vol. 4, pp. 3-16.
Fra i suoi volumi, i principali sono L’enciclica “Pascendi” e il modernismo. Studi e commenti, Roma 19092; Visione cattolica della guerra, Roma 1925.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio della Civiltà cattolica, Fondo Enrico Rosa.
D. Mondrone, Il padre Enrico Rosa d.c.d.g., in La civiltà cattolica, 1938, vol. 4, pp. 481-496; A.M. Fiocchi, P. Enrico Rosa S.I. Scrittore della “Civiltà cattolica” (1870-1938), Roma 1957; A. Zambarbieri, Il cattolicesimo tra crisi e rinnovamento. Ernesto Buonaiuti ed Enrico Rosa nella prima fase della polemica modernista, Brescia 1979; G. Passelecq - B. Suchecky, L’Encyclique cachée de Pie XI. Une occasion manquée de l’Église face à l’antisémitisme, Paris 1995 (trad. it. Milano 1997, pp. 76 s.; 97; 126 s.); G. Pireddu, Padre Enrico Rosa ed il fascismo (1919-1931), in Rassegna di teologia, XLI (2000), pp. 677-713; E. Del Soldato, Giovanni Gentile ed Enrico Rosa S.J. Una nota sui cattolici e l’Enciclopedia italiana, in Giornale critico della filosofia italiana, LXXXV (2006), 2, pp. 297-310: Ead., Le molte guerre di padre Enrico Rosa. Gli articoli censurati de “La civiltà cattolica” durante la Grande guerra, in Storia e problemi contemporanei, XIX (2006), 42, pp. 37-59; D. Menozzi, Cattoli-cesimo, patria e nazione tra le due guerre mondiali, in San Francesco d’Italia. Santità e identità nazionale, a cura di T. Caliò - R. Rusconi, Roma 2011, pp. 7-32.