Enrico Fermi
Enrico Fermi, uno dei fisici italiani più famosi e importanti (fu vincitore nel 1938 del premio Nobel), portò la ricerca italiana a livello internazionale in settori di punta quali la fisica atomica, la fisica teorica e la fisica nucleare, e contribuì alla formazione scientifica e culturale di molti suoi collaboratori e allievi. Dopo la sua emigrazione negli Stati Uniti (gennaio 1939), rappresentò, fino alla sua prematura morte, un riferimento per la comunità scientifica italiana.
Enrico Fermi nasce a Roma il 29 settembre 1901 da Alberto, impiegato del ministero delle Comunicazioni, e da Ida De Gattis. Dopo aver frequentato il ginnasio-liceo classico Umberto I a Roma, nel 1917 vince un posto da allievo interno presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e si iscrive alla facoltà di Fisica di quella università. Il 7 luglio 1922 si laurea, con pieni voti e lode, discutendo una tesi sperimentale sulla diffrazione dei raggi X.
Rientrato a Roma, tiene per incarico l’insegnamento di matematica per chimici. Nel 1925 consegue la libera docenza in fisica matematica e si trasferisce all’Università di Firenze, dove insegna, sempre per incarico, fisica matematica e meccanica razionale. È di questi anni il fondamentale lavoro sulla statistica ora chiamata di Fermi-Dirac (Sulla quantizzazione del gas perfetto monoatomico, «Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei», 1926, pp. 145-49, poi in Note e memorie/Collected papers, a cura di E. Amaldi, E. Segrè, F. Rasetti et al., 1° vol., Italia 1921-1938, 1962, pp. 178-85). Nell’autunno del 1926 vince il concorso per una cattedra di fisica teorica bandito dall’Università di Roma, e viene subito chiamato.
I risultati raggiunti da Fermi nel periodo ‘italiano’ della sua vita sono strepitosi: basti ricordare, oltre il già citato lavoro sulla statistica, la formulazione del modello statistico dell’atomo, detto poi di Thomas-Fermi (1927), la formulazione della teoria del decadimento β (Tentativo di una teoria dell’emissione dei raggi “beta”, «La ricerca scientifica», 1933, 12, pp. 491-95, poi in Note e memorie, cit., pp. 559-74), la scoperta della radioattività indotta da neutroni e quella dell’effetto del loro rallentamento (1934), per le quali gli verrà assegnato nel 1938 il premio Nobel per la fisica.
Nel gennaio del 1939 si traferisce negli Stati Uniti, dove lavora prima alla Columbia University di New York e poi all’Università di Chicago, dove nel 1942 realizza il primo reattore nucleare. Dall’estate del 1944 partecipa, in posizione di primo piano, al cosiddetto progetto Manhattan sugli armamenti nucleari. Terminata la guerra rientra a Chicago, e si dedica soprattutto a ricerche sui neutroni e sui mesoni, ottenendo grandi risultati.
Oltre a ricevere moltissimi altri riconoscimenti, nel corso della sua vita viene nominato membro di diciotto accademie (nazionali e straniere) e dottore honoris causa di otto università straniere. Muore, per una malattia incurabile, a Chicago il 28 novembre 1954.
Fermi inizia la sua formazione scientifica già al tempo del liceo, come autodidatta. Attraverso la lettura di testi (molti dei quali consigliati da conoscenti e insegnanti), conquista una solida preparazione in matematica e soprattutto in fisica, che approfondisce ed estende verso argomenti di fisica moderna, sempre come autodidatta, quando si trasferisce a Pisa come studente della Normale. Qui il suo talento è subito notato e apprezzato. Già in questo periodo pubblica alcuni lavori teorici di elettrodinamica e relatività.
L’incontro, al suo rientro a Roma, con Orso Mario Corbino, senatore del Regno, professore di fisica sperimentale e direttore dell’Istituto di fisica dell’Università di Roma, sarà determinante per il suo futuro e anche per quello della fisica italiana. Nel 1923, con l’appoggio di Corbino, ottiene prima una borsa di studio per l’estero del ministero della Pubblica istruzione, con cui si reca per sei mesi a Gottinga (Germania), presso l’Istituto di fisica teorica diretto da Max Born (uno dei centri più importanti per la nascente meccanica quantistica), e, poi, nell’autunno del 1924, una borsa di studio della Rockefeller foundation, con la quale va per tre mesi a Leida (Paesi Bassi) presso Paulus Ehrenfest (grande esperto di meccanica statistica). Il soggiorno a Leida, a differenza di quello a Gottinga (che avviene troppo presto rispetto alla sua preparazione), è per Fermi molto proficuo e lo spinge ad affrontare problemi di carattere fondamentale, proprio nel settore caro a Ehrenfest.
Infatti, all’inizio del 1925, appena si trasferisce all’Università di Firenze, incomincia a interessarsi alla meccanica statistica e, in particolare, alla costante dell’entropia per un gas perfetto monoatomico. Quando, nel 1926, viene a conoscenza della scoperta del principio di esclusione di Pauli, ne capisce subito le conseguenze e formula la statistica a cui obbedisce un numero di particelle identiche che seguono il principio di Pauli, chiamata in seguito statistica di Fermi-Dirac. Questo è il suo primo risultato di risonanza mondiale. Non a caso, nello stesso anno 1926 Corbino riesce a far bandire un concorso per una cattedra di fisica teorica (la prima in Italia) all’Università di Roma. Fermi risulta il primo della terna dei vincitori e il 1° gennaio 1927 prende regolarmente servizio presso l’Istituto di fisica, in via Panisperna, dove crea subito intorno a sé un gruppo di brillanti allievi e collaboratori. Del gruppo fanno parte, oltre a Franco Rasetti (chiamato da Firenze come assistente), Emilio Segrè, Edoardo Amaldi e, in maniera molto indipendente, Ettore Majorana. Nella relazione di conferma di Fermi a professore ordinario (1930), la commissione d’esame gli riconoscerà, tra l’altro, il merito della «costruzione di una scuola di giovani vigorosamente preparati nello studio dei piú elevati problemi della fisica moderna» (relazione al ministro conservata nel fascicolo personale di Fermi, Archivio centrale dello Stato, Roma).
A Roma, Fermi cerca di applicare la sua statistica a varie questioni, tra cui la struttura atomica. Nasce così il famoso modello di Thomas-Fermi, in cui gli elettroni vengono rappresentati come un gas di Fermi completamente degenere, mantenuto intorno al nucleo dalle forze coulombiane. Il modello viene utilizzato con successo da Fermi e anche dai suoi collaboratori, per spiegare una serie di proprietà atomiche che hanno la caratteristica di variare regolarmente al variare del numero atomico. Fermi si occupa anche dell’effetto Raman delle molecole e dei cristalli, e di problemi di spettroscopia atomica.
A partire dal 1928 e fino a circa tutto il 1932, gli interessi di Fermi si spostano prevalentemente sull’elettrodinamica quantistica, argomento di punta di quegli anni, e studiato in particolare da Paul A.M. Dirac, da Werner K. Heisenberg e da Wolfgang Pauli. Tra il 1928 e il 1932 Fermi pubblica sull’argomento ben sette lavori, di cui uno con Hans A. Bethe. Questo suo nuovo interesse nasce dall’esigenza di completare la fisica atomica anche per quanto riguarda l’irraggiamento. Nel trattare questo problema, egli introduce un nuovo formalismo, a suo dire più semplice di quello utilizzato da Heisenberg e da Pauli. Questo sarà sempre un atteggiamento tipico di Fermi, cioè ricavare ex novo risultati già ottenuti da altri utilizzando formalismi matematici a suo avviso più appropriati, dove più appropriati significa più semplici.
A parte l’innegabile importanza di questi lavori, avvicinandosi all’elettrodinamica quantistica Fermi usa i metodi della seconda quantizzazione, che gli serviranno poi per la sua teoria del decadimento β.
La prima volta che il nome di Fermi appare legato a temi di fisica nucleare è nel luglio 1929, quando figura come relatore della tesi di laurea in fisica di Majorana, Sulla meccanica dei nuclei radioattivi. A quel tempo la fisica nucleare era un argomento completamente nuovo rispetto alle linee di ricerca fino a quel tempo portate avanti a Roma (e in generale in Italia), e che riguardavano essenzialmente temi di fisica classica o di meccanica quantistica applicata all’atomo. Negli anni immediatamente successivi alla tesi di Majorana, Fermi si impegnerà in prima persona in argomenti di fisica nucleare, interessandosi alla struttura iperfine degli spettri atomici. Questa scelta si collega chiaramente alla sua precedente attività in fisica atomica, e in particolare all’esperienza maturata in spettroscopia.
Fermi si occupa della struttura iperfine dagli ultimi mesi del 1929 a tutto il 1930, sviluppando una teoria quantistica del fenomeno che consente di calcolare i momenti magnetici di molti nuclei atomici, e quindi di incominciare ad avere informazioni concrete sulla loro struttura. L’importanza della teoria è subito ampiamente riconosciuta a livello internazionale.
Al di là di questi risultati, in campo nucleare Fermi diventa ben presto famoso per avere organizzato a Roma, assieme a Corbino e per iniziativa dell’Accademia d’Italia, il primo Congresso internazionale di fisica nucleare (11-18 ottobre 1931). Fermi (accademico d’Italia dal 1929) ne è il segretario generale, Corbino il presidente effettivo e Guglielmo Marconi il presidente onorario. Obiettivo principale del congresso, a cui partecipano ben sette vincitori e sei futuri vincitori di premi Nobel, è quello di lanciare in Italia, così come aveva già auspicato Corbino in una famosa conferenza a Firenze nel 1929, la ricerca sul nucleo, nuova frontiera da esplorare.
Il congresso romano del 1931, nonostante il grande successo scientifico ottenuto, non ha un impatto immediato nel promuovere a Roma, dove Fermi è il leader indiscusso, nuove attività di ricerca in campo nucleare. Dopo aver cercato con Amaldi di costruire una camera di Wilson (considerata a quel tempo strumento fondamentale per la fisica nucleare), Fermi torna a interessarsi alla struttura iperfine, pubblicando con Segrè un lavoro conclusivo (E. Fermi, E. Segrè, Sulla teoria delle strutture iperfini, «Memorie dell’Accademia d’Italia», 1933, 4, pp. 131-58). Inoltre si occupa di raggi cosmici, impegnandosi con Bruno Rossi in uno studio (E. Fermi, B. Rossi, Azione del campo magnetico terrestre sulla radiazione penetrante, «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei», 1933, 17, pp. 346-50) sulla deflessione di questi raggi nel campo magnetico terrestre (questo sarà l’unico lavoro di Fermi in questo settore fatto in Italia).
Nel marzo del 1933 il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) approva un programma di ricerca in fisica nucleare a nome di Corbino, Fermi e Rasetti, riguardante lo studio dei livelli energetici nucleari attraverso l’analisi degli spettri γ. Questo programma, certamente non all’avanguardia, è chiaramente legato agli studi in spettroscopia condotti a Roma sin dalla fine degli anni Venti, soprattutto da Rasetti, e mostra che agli inizi del 1933 i fisici romani non hanno ancora capito l’importanza del neutrone, cioè di questa nuova particella scoperta da Chadwick nel febbraio 1932. Studi sulle proprietà del neutrone vengono invece proposti al CNR, all’interno dello stesso stanziamento, da Gilberto Bernardini dell’Università di Firenze. Nell’ambito di questo programma, viene realizzata una sorgente di polonio (da Rasetti e Oscar D’Agostino, giovane chimico di Roma), e viene costruito uno spettrografo per raggi gamma a cristalli di bismuto (da Rasetti e Fermi). Vengono anche acquistate due camere a nebbia di Wilson. Comunque queste nuove dotazioni dell’istituto avranno ben poca influenza sull’andamento futuro delle ricerche a Roma, in particolare su quelle di Fermi, e di fatto non saranno mai pienamente utilizzate.
Tra il 22 e il 29 ottobre 1933 viene organizzato a Bruxelles il settimo Congresso Solvay, dedicato alla struttura e proprietà dei nuclei atomici. I temi dibattuti riguardano le più recenti scoperte in fisica nucleare, quali il neutrone, l’elettrone positivo o positrone scoperto da Anderson nel 1932, la teoria del nucleo di Heisenberg-Majorana (1932-33), oltre che l’impossibilità di spiegare il decadimento β con le attuali leggi fisiche.
Fermi partecipa al congresso come rappresentante dell’Italia, ne assorbe completamente i contenuti e al suo rientro, nel giro di due mesi, formula la teoria del decadimento β, il suo capolavoro teorico.
In particolare, adotta l’ipotesi del neutrino formulata da Pauli nel 1930 (cioè l’esistenza di una nuova particella, neutra, di massa molto piccola e di spin ½), prende sul serio e in maniera totale la teoria di Heisenberg-Majorana (che dal punto di vista formale considerava come componenti nucleari solo il neutrone e il protone), toglie drasticamente gli elettroni dall’interno del nucleo e introduce un’idea formidabile, maturata in analogia alla teoria dell’irraggiamento, e che si rivelerà poi la base di tutte le interazioni deboli, ossia che gli elettroni non esistano come tali nel nucleo prima dell’emissione β, ma che essi (assieme ai neutrini) acquistino esistenza nell’istante stesso in cui vengono emessi. Riguardo all’emissione β, Fermi, sempre in analogia alla teoria dell’irraggiamento, assume che un neutrone possa trasformarsi in un protone e che ogni transizione da neutrone a protone sia connessa alla creazione di un elettrone, che si osserva come particella β, e di un neutrino. Sempre in analogia con la teoria dell’irraggiamento, Fermi prevede anche, in modo simmetrico, la trasformazione di un protone in un neutrone, questa volta con l’assorbimento di un elettrone e di un neutrino, ossia, sulla base della teoria di Dirac, con la creazione di un positrone e di un antineutrino.
Per costruire la teoria, in cui il numero delle particelle non si conserva, Fermi si avvale del formalismo della seconda quantizzazione, che aveva usato nei precedenti studi sull’elettrodinamica quantistica. I calcoli vengono fatti da Fermi solo per il decadimento β, l’unico a quel tempo noto, cioè per la trasformazione, secondo la teoria di Fermi, di un neutrone in un protone, e portano a risultati in ottimo accordo con i dati sperimentali. Questo sarà il più grande trionfo teorico di Fermi, preludio alla scoperta della radioattività indotta da neutroni.
A distanza di pochi giorni dalla pubblicazione della teoria di Fermi (dicembre 1933), il 15 gennaio del 1934, a Parigi, Irène Curie e Frédéric Joliot comunicano la scoperta della radioattività indotta da particelle α, ossia la possibilità di trasformare, attraverso il bombardamento con particelle α, alcuni elementi leggeri in nuovi isotopi radioattivi, che, a differenza di quelli noti in natura, decadono emettendo positroni.
Risultati simili vengono trovati, a distanza di meno di un mese, in Gran Bretagna da John D. Cockroft e collaboratori e negli Stati Uniti da Milton S. Livingston e collaboratori, bombardando nuclei leggeri con protoni e con deuteroni. Le uniche particelle con le quali non si tenta di indurre la radioattività sono i neutroni, in quanto, a causa della debole intensità delle sorgenti a quel tempo realizzabili, ci si aspettava un effetto nullo.
Appena si diffonde la notizia della scoperta dei Joliot-Curie, Gian Carlo Wick, allora giovane assistente di Fermi a Roma, su suggerimento dello stesso Fermi cerca di verificare se i fenomeni osservati dai Joliot-Curie sono interpretabili nell’ambito della teoria di Fermi. Come dimostra Wick, essi rientrano perfettamente in tale teoria, come un decadimento β+, in cui un protone si trasforma in un neutrone. A questo punto inizia l’epocale avventura di Fermi con i neutroni. Infatti se, in base alla sua teoria, i Joliot-Curie erano riusciti a indurre una trasformazione di un protone in un neutrone, doveva essere possibile indurre artificialmente anche il processo inverso, e cioè la trasformazione di un neutrone in un protone. Per farlo, l’unico modo era quello di bombardare il nucleo con i neutroni, in modo che il numero complessivo dei neutroni rispetto a quello dei protoni aumentasse, e con esso la probabilità di una loro trasformazione. Così Fermi, forte della sua teoria, a distanza di pochi giorni dal lavoro di Wick si impegna, da solo, in un esperimento che non era mai stato tentato neppure nei laboratori più avanzati del settore, cioè quello di bombardare i nuclei con i neutroni, e nel giro di poche settimane riesce a scoprire la radioattività indotta dai neutroni, così come viene comunicato in una lettera alla «Ricerca scientifica» del 25 marzo 1934 (Radioattività indotta dal bombardamento di neutroni, «La ricerca scientifica», 1934, 1, pp. 283 e 330-31, poi in Note e memorie, cit., pp. 645-48).
La citata lettera a «La ricerca scientifica» è molto concisa, e fornisce solo le informazioni essenziali. L’apparato usato è costituito da una sorgente di neutroni costituita da Radon e polvere di Berillio appositamente preparata da Giulio Cesare Trabacchi, direttore del Laboratorio di fisica dell’Istituto di sanità, con cui irraggiare i campioni, e da un contatore Geiger-Müller (GM), con cui misurare l’eventuale radiazione emessa dai campioni una volta irraggiati. Bombardando con la sua sorgente di neutroni due campioni di alluminio e di fluoro, rispettivamente per circa due ore e per alcuni minuti, e misurando la loro attività dopo che è stata rimossa la sorgente, Fermi scopre che essi emettono una radiazione con un andamento esponenziale, tipico di un decadimento radioattivo, ossia che si sono trasformati in nuovi elementi radioattivi (con vita media rispettivamente di 12 minuti e di 10 secondi). Questa si mostrerà ben presto una grandissima scoperta, con implicazioni profonde per il futuro della fisica nucleare e per le sorti dell’umanità.
Nel luglio del 2002 è stato individuato nell’archivio della Fondazione Oscar D’Agostino ad Avellino il quaderno di laboratorio usato da Fermi per registrare i risultati che lo portarono alla scoperta della radioattività indotta da neutroni. Questo quaderno è molto illuminante per capire le varie fasi della scoperta. Tra l’altro ci mostra come Fermi si sia costruito da solo i primi contatori GM (quasi certamente con l’aiuto di Rossi, grande esperto nel settore e suo amico) e come abbia proceduto nella scelta degli elementi da irraggiare: il primo elemento che sceglie è il platino, il secondo è l’alluminio, e con questo scopre subito la radioattività indotta.
Dopo aver scoperto la radioattività indotta dai neutroni nell’alluminio e nel fluoro, Fermi dà avvio a una ricerca sistematica sull’intera tavola periodica, avvalendosi della collaborazione di D’Agostino (che, in base al citato quaderno di laboratorio, è il suo primo collaboratore in questa ricerca), di Amaldi, di Segrè, di Rasetti e infine di Bruno Pontecorvo. Fondamentale è il costante supporto offerto da Trabacchi nel rinnovo delle sorgenti. In breve tempo Fermi e il suo gruppo riescono ad attivare circa due terzi degli elementi della tavola periodica. Bombardando il torio e l’uranio, vengono trovati alcuni risultati di difficile interpretazione, che sono subito attribuiti alla creazione di ‘elementi transuranici’. Si trattava invece, come si sarebbe capito più tardi, di prodotti della fissione.
Il 20 ottobre 1934 viene fatta da Fermi un’altra grandissima scoperta, quella dell’effetto del rallentamento dei neutroni. Interponendo un blocco di paraffina tra la sorgente e un campione di argento, Fermi si accorge che la radioattività indotta viene fortemente intensificata. Effetti analoghi vengono trovati per moltissimi altri elementi, e anche utilizzando acqua o altre sostanze idrogenate. Come spiega subito Fermi, i neutroni quando urtano con i nuclei di idrogeno contenuti in queste sostanze vengono rallentati, e i neutroni rallentati (‘lenti’) hanno una sezione d’urto maggiore per molti nuclei. Noi ora sappiamo che i neutroni lenti sono una chiave d’accesso fondamentale all’energia nucleare. Questa scoperta, su suggerimento di Corbino, viene subito brevettata (26 ottobre 1934) a nome di «E. Fermi, E. Amaldi, O. D’Agostino, F. Rasetti, B. Pontecorvo, G.C. Trabacchi, E. Segrè».
Nel maggio del 1935, per una serie di ragioni contingenti, il gruppo si scioglie, e all’Istituto di fisica di Roma restano a lavorare sui nuclei Fermi e Amaldi, e saltuariamente Rasetti e Wick.
L’interesse di Fermi si concentra ora sui neutroni lenti. Sul versante sperimentale, assieme ad Amaldi studia l’assorbimento, la diffusione, il rallentamento di neutroni da varie sostanze, mentre sul versante teorico studia, con metodi semiempirici, gli stessi argomenti, e sviluppa importanti modelli di comportamento. Tutte queste ricerche di Fermi saranno alla base della sua futura realizzazione negli Stati Uniti della pila nucleare. In questo periodo egli continua ad avere con quel Paese continui contatti, già per altro iniziati negli anni precedenti, facilitati anche da suoi lunghi soggiorni come preludio a una nuova vita. Nel 1937, con Amaldi e Rasetti, realizza il primo acceleratore (a 200 KV), che consente di avere una sorgente di neutroni di intensità tripla rispetto a quelle fino ad allora usate e neutroni da 2,5 MeV. Questo sarà l’ultimo intervento di Fermi prima di partire per gli Stati Uniti. Subito dopo aver ricevuto, nel dicembre del 1938, il premio Nobel per la fisica, da Stoccolma, dopo una breve tappa a Copenaghen, Fermi, con la sua famiglia, salpa direttamente e definitivamente per New York, dove arriva il 3 gennaio 1939.
Nel gennaio del 1939 Fermi inizia a lavorare presso la Columbia University di New York. Qui si interessa subito alla fissione dell’uranio, scoperta proprio durante il suo viaggio verso gli Stati Uniti, e in particolare cerca di valutare l’effetto di moltiplicazione nella produzione dei neutroni, con l’obiettivo di realizzare una reazione a catena. I lavori vengono poi proseguiti all’Università di Chicago, dove Fermi si trasferisce nell’aprile 1942. Il 2 dicembre dello stesso anno Fermi realizza la prima reazione di fissione a catena controllata dell’uranio, con la grafite come moderatore, costruendo il primo reattore nucleare, strumento base per la produzione di plutonio. Nell’estate del 1944 si trasferisce a Los Alamos, dove partecipa al progetto Manhattan per la costruzione di armi nucleari, con compiti generali di consulenza e perfezionamento.
Terminata la guerra, ritorna all’Università di Chicago, dove compie esperimenti fondamentali sulla diffrazione e sulla diffusione dei neutroni, utilizzando come sorgente il reattore nucleare. Nel 1951, con l’installazione presso l’Istituto di studi nucleari di Chicago di un grande ciclotrone in grado di produrre mesoni, Fermi si dedica allo studio di queste particelle, ottenendo anche in questo settore strepitosi risultati, riguardanti l’interazione tra i pioni e i nucleoni. In questo periodo si occupa anche di raggi cosmici (elaborerà un’interessante teoria sulla loro origine) e inizia a interessarsi alle prime macchine di calcolo. Anche negli Stati Uniti si circonda subito di validi collaboratori.
Ma con il mondo scientifico italiano ha continui contatti: mantiene una ricchissima corrispondenza con i vecchi amici, e contribuisce tra l’altro alla nascita del primo centro di calcolo, a Pisa. L’ultimo suo intervento in Italia è la partecipazione alla scuola estiva di Varenna del 1954, dove tiene un indimenticabile corso sulla fisica dei pioni.
La quasi totalità degli scritti scientifici pubblicati da Fermi è contenuta in Note e memorie/Collected papers, a cura di E. Amaldi, E. Segrè, F. Rasetti et al., 2 voll., Roma-Chicago 1962-1965.
E. Segrè, Fermi Enrico, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 46° vol., Roma 1996, ad vocem.
M. Leone, N. Robotti, C.A. Segnini, Fermi archives at the Domus Galilaeana in Pisa, «Physis», 2000, pp. 501-33.
Conoscere Fermi: nel centenario della nascita, 29 settembre 1901-2001, a cura di C. Bernardini, L. Bonolis, Bologna 2001.
G. Maltese, Enrico Fermi in America: una biografia scientifica, 1938-1954, Bologna 2003.
G. Acocella, F. Guerra, N. Robotti, Enrico Fermi’s discovery of neutron-induced artificial radioactivity: the recovery of his first laboratory notebook, «Physics in perspective», 2004, 6, pp. 29-41.
F. Guerra, M. Leone, N. Robotti, Enrico Fermi’s discovery of neutron-induced artificial radioactivity: neutrons and neutron sources, «Physics in perspective», 2006, pp. 255-81.
F. Guerra, N. Robotti, Enrico Fermi’s discovery of neutron-induced artificial radioactivity: the influence of his theory of beta decay, «Physics in perspective», 2009, pp. 379-404.