GALASSI, Enrico
Nacque a Ravenna il 14 nov. 1907 da Alberto e da Alice Orlandi. Iniziò il suo apprendistato artistico nella bottega artigianale del padre, che era decoratore e restauratore. Frequentò l'Accademia di belle arti di Ravenna e, nello stesso tempo, iniziò a seguire i corsi della Scuola nazionale del mosaico della sua città; quindi studiò ceramica a Faenza e poi a Cotignola. Terminati gli studi si dedicò alla pittura.
Già agli inizi degli anni Venti risulta ben inserito nell'ambiente artistico romagnolo. Frequentò D. Rambelli, M. Moretti, lo scrittore A. Beltramelli e, tramite questo, nell'estate del 1927 a Coccolia, nei pressi di Ravenna, conobbe F. De Pisis. Intanto, per completare la sua formazione artistica e culturale, compì una serie di viaggi. Si recò a Roma e Parigi; per lunghi periodi soggiornò a Viareggio dove, accanto a L. Viani, scoprì il paesaggio aspro della Versilia e delle Alpi Apuane.
Durante questi anni dipinse vedute e nature morte (Ravenna, 1925; La Sisa, 1928 circa; Seppie, 1929 circa; Interno con natura morta, 1930: ubicazione ignota, ripr. in catal., 1987) in uno stile fortemente legato alla lezione metafisica di G. De Chirico e C. Carrà. I primi riconoscimenti di questa ricerca svolta autonomamente si ebbero agli inizi degli anni Trenta. Nel 1931, presentato da De Pisis, allestì con quarantuno opere una personale alla galleria Il Milione di Milano. L'anno seguente partecipò con tre lavori alla III Mostra del sindacato regionale fascista di Lombardia, espose con M. Levy alla galleria Krimmer di Viareggio e, presentato da C. Carrà, tenne una personale alla Galleria di Roma, nella capitale.
In seguito il G. rimase lontano dalla scena artistica per circa tre anni, durante i quali scrisse poesie e si appassionò d'architettura. Nel 1932 pubblicò a Pescia la raccolta di liriche Né per te né per me, accompagnate dalle xilografie di L. Viani. Nel 1934 esordì come architetto autodidatta nella costruzione di una casa-studio a Cinquale, vicino a Forte dei Marmi (Domus, aprile 1935, pp. 30-32).
In questo periodo si recò a Parigi, dove frequentò De Pisis e l'ambiente artistico della capitale francese: in seguito a questa esperienza rinnovò l'interesse per la pittura. Quando alla metà degli anni Trenta riprese a dipingere, dimostrò di aver raggiunto una maggiore libertà espressiva: la spazialità metafisica dei suoi quadri apparve allora più dilatata, i colori accesi, il tocco liquido, e alcuni dei suoi temi preferiti - quali le camere da musica e i giardini incantati - vennero trasposti in una dimensione sognata (Il giardino, olio, 1936; Pesci e conchiglie, tempera, 1936 circa).
Nel 1935 partecipò alla II Quadriennale romana con il quadro del 1932 La fruttiera (ubicazione ignota: catal., 1987, p. 52 n. 24). Nel 1937 tenne due importanti personali: in febbraio alla galleria della Cometa (presentato da L. De Libero), in marzo di nuovo alla galleria Il Milione di Milano, ottenendo elogi da parte di C. Carrà (Mostre d'arte: E. G., in L'Ambrosiano, 17 marzo 1937). Tra un viaggio e l'altro (nel 1938 fu ancora a Parigi), soggiornò per lunghi periodi a Roma, inserendosi nella vita culturale della città. Frequentò in particolare gli artisti dotati come lui di temperamento eclettico. Strinse rapporti con R.M. Mazzacurati (1938), suo vicino di studio a via Margutta, e divenne intimo amico di A. Savinio per il quale nel 1938 progettò e seguì i lavori di costruzione di una villa in Versilia, a Poveromo; Savinio lo fece posare come modello per un ritratto (Arlecchino, 1939, distrutto: Angelica Savinio, in catal., 1987). Nel 1939 propose, senza successo, di collaborare ai lavori per l'Esposizione universale del 1942 (lettera del 24 dic. 1939: Roma, Archivio centrale dello Stato, EUR, Atti, 28 dic. 1939).
Il G., intanto, maturò l'idea di dedicarsi al mosaico, concepito non come decoro architettonico ma come opera artistica indipendente. All'inizio degli anni Quaranta, nelle vesti di imprenditore e di maestro, aprì un laboratorio di mosaico che, nonostante i consensi, chiuse presto per l'elevato costo dei materiali. Nel 1942 sposò la statunitense Melissa Reid. Nello stesso anno riuscì a mostrare i risultati di due anni intensi di lavoro alla galleria Ferruccio Asta di Milano: presentato in catalogo da Savinio, espose ventidue mosaici - quadri e piani di tavolo - realizzati su cartoni di M. Maccari, G. Capogrossi e Mazzacurati. L'anno seguente, alla galleria del Babuino di Roma, espose due opere accanto ai lavori di De Chirico, Savinio, G. Morandi, A. Sironi e G. Severini.
Dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944) il G. tornò a farsi promotore di un'iniziativa che animò l'ambiente artistico della capitale. Dapprima organizzò un'esposizione di arti decorative al circolo Il Ritrovo di palazzo del Drago, poi, nel dicembre del 1944, affittò un'ala di villa Poniatowski e vi allestì il cosiddetto studio di Villa Giulia, un grande laboratorio di arte applicata.
Per l'occasione chiamò a collaborare molti artisti e artigiani allora operanti nella capitale, tra cui i giovani P. Consagra e L. Leoncillo, affiancati da altri di provata esperienza, quali Carrà, De Chirico, Mazzacurati e Savinio. L'iniziativa si rivelò assai costruttiva: nello studio si lavorava il mosaico, l'intarsio di marmo e di legno, il marmo scolpito, le pietre dure, le ceramiche, il ricamo e si progettavano libri con la consulenza di Libero De Libero. Molte delle opere realizzate vennero esposte alla Mostra dei capidopera tenuta nel marzo del 1946, nello studio d'arte Palma di Roma di P.M. Bardi. Nonostante il consenso della critica, che descrisse l'evento come "eccezionale" (Bellonzi, 1946), la mostra ebbe uno scarso successo commerciale. In breve tempo la mancanza di fondi obbligò gran parte degli artisti a disertare lo studio.
Il laboratorio chiuse definitivamente nel 1949. Seppure deluso, il G. nel frattempo aveva ripreso a viaggiare e a dedicarsi alle attività più disparate. Di lui si tornò a parlare negli Stati Uniti, in occasione della mostra "Italy at work: her renaissance in design today" che si tenne nel 1950 al Brooklyn Museum di New York. Sempre nel 1950 progettò un grande complesso turistico per la gioventù, che non fu però costruito, all'isola del Giglio. L'anno seguente si trasferì a Caltagirone per dirigervi la scuola di ceramica allora in decadenza. Dopo due anni, tornato a Roma, riprese a dipingere e a scrivere poesie. Nel 1960, sotto l'insegna di "pittore dimenticato", espose alla galleria dei Vageri di Viareggio, presentando opere degli anni Trenta e altre recenti, sempre più visionarie e astratte.
Successivamente allestì altre mostre (nel 1970 alla galleria Mariani di Ravenna, nel 1974 alla galleria Trimarchi di Bologna e al Grifo di Roma), pubblicò alcuni articoli del suo Diario della nostalgia (Il Giornale d'Italia, 15-16 ottobre, 15-16 novembre, 4-5 dic. 1970), due libri di poesia (Ravenna, Roma 1965, con quattro disegni di F. Gentilini; Ambiguità è la sera, ibid. 1969) e due volumi, editi a Roma, dove raccolse i disegni più belli e ironici: Il mare dell'infanzia, con prefazione di L. De Libero (1966); E. G. Disegni dal 1928 al 1940 (1974).
Il G. morì a Pisa il 1° sett. 1980.
Fonti e Bibl.: P.M. Bardi, E. G. al Milione, in L'Ambrosiano, 30 nov. 1931; D. Bonardi, E. G., in La Sera, 30 nov. 1931; V. Bucci, E. G., in Corriere della sera, 24 dic. 1931; E.N. Rogers, E. G., in Arti plastiche, 1° dic. 1931; V. Costantini, Cronache milanesi. Mostra del sindacato lombardo, in Emporium, LXXV (1932), p. 183; F. Bellonzi, Capidopera nello studio di Villa Giulia alla galleria "Palma", in Domenica, 17 marzo 1946; Italia a lavoro, in Produzione d'arte, 1950, nn. 6-7, p. 4; E. G. (catal., Galleria Virgilio), a cura di V. Rivosecchi, Roma 1987; V. Mazzarella, in Marino Mazzacurati a Roma (catal.), Roma 1992, pp. 12-16; I. De Guttry - M.P. Maino, E.G. promotore delle arti applicate. Lo studio di via Margutta, in Roma sotto le stelle del '44 (catal.), Roma 1995, pp. 147-157 (con bibl.); P.P. Pancotto, Geologia domestica. Mosaici di Annamaria Cesarini Sforza (catal., Associazione degli amici di villa Strohl-Fern), Roma 1998, passim; R. Ruscio, L'archivio R.M. Mazzacurati nei Musei civici di Reggio Emilia, Reggio Emilia 1998, p. 129.