GENTILINI, Enrico
Nacque a Alessandria nel 1806. Il padre, Giovanni Domenico, era un possidente di nazionalità svizzera, la madre proveniva da una ricca famiglia, gli Zani del Fra. Le prime notizie che si hanno su di lui lo descrivono schierato, agli inizi degli anni Trenta, nel movimento democratico che in quel periodo, localizzato tra Piemonte meridionale e Liguria, si veniva sviluppando dall'innesto della nascente predicazione mazziniana sulla tradizione giacobina e buonarrotiana. Appassionatosi ai temi della lotta contro l'assolutismo, dell'indipendenza e della nazionalità, il G. entrava così nel mondo della cospirazione, divenendo presto, con C. Moja, D. Barberis e G. Girardenghi, uno degli uomini di punta della congrega alessandrina della Giovine Italia, al servizio della quale metteva le proprie doti di uomo brillante, dotato di un eloquio facile e caldo e dunque particolarmente adatto a svolgere opera di proselitismo. D'altra parte la frequentazione assidua del vecchio prete buonarrotiano F. Bonardi lo aveva sensibilizzato al motivo del riscatto sociale delle plebi, conferendo così una tinta di radicalismo sociale al suo mazzinianesimo.
La penetrazione delle idee rivoluzionarie tra gli studenti e soprattutto nell'esercito, così come la diffusione clandestina del periodico della Giovine Italia, non potevano però sfuggire alle autorità sabaude: avviate nell'aprile del 1833, le indagini non tardarono a rivelare, attraverso le confessioni dei primi imputati, la vasta trama della congiura anti-carlalbertina e la sua penetrazione nell'esercito. Il G. vi risultò coinvolto in pieno, e per aver più volte sollecitato una maggiore risolutezza all'azione, e per essersi offerto - stando almeno alle dichiarazioni di un delatore - di uccidere personalmente, con un gesto dimostrativo, un ufficiale.
Mentre gli arresti decimavano la congrega alessandrina, ai primi di maggio del 1833 il G. si rifugiava presso i parenti del padre in Svizzera dove, a Ginevra, lo raggiungeva la condanna alla morte ignominiosa comminatagli - "per aver fatto parte di una cospirazione […] tendente a sovvertire e distruggere l'attuale Governo" - dal Consiglio di guerra divisionario di Alessandria con sentenza del 5 sett. 1833. Poco dopo un decreto di espulsione lo costringeva a cercare rifugio in Francia, ma non scuoteva la sua fiducia nel Mazzini né sradicava dalla sua mente la certezza di vedere presto "notre patrie libre et glorieuse par les efforts de tous les gens courageux" (lettera del 20 sett. 1833, in Mastellone, II, p. 58).
In effetti, dalla Francia il G. manteneva i collegamenti con l'organizzazione mazziniana e partecipava alla preparazione della spedizione di Savoia, legandosi anche intellettualmente al conte Carlo Bianco di Saint Jorioz, il teorico della guerra per bande che nel frattempo aveva preso stanza a Nyon. Il fallimento della spedizione (febbraio 1834) apriva per lui un lungo periodo di peregrinazioni e di miseria (secondo una fonte, l'esilio lo avrebbe portato per qualche tempo anche in Turchia), ma favoriva anche, con la crisi della prima Giovine Italia, un lavoro di intensa riflessione, prima sulle modalità di una futura insurrezione nazionale, più tardi sul senso che avrebbe dovuto avere la rivoluzione al di là dello scontato esito repubblicano e unitario. Era la stessa esperienza di vita a dettare ora al G. le tematiche del suo impegno civile: aiutante del Bianco di Saint Jorioz all'epoca della spedizione di Savoia, il G. ricevette certamente da lui l'ispirazione a comporre e a pubblicare nel 1835 a proprie spese presso la Tipografia elvetica di Capolago la Guida del milite, un manuale di 388 pagine che, con dovizia di argomenti ripresi dal trattato del Bianco di Saint Jorioz (Della guerra nazionale d'insurrezione per bande, applicata all'Italia, I-II, Italia [Malta] 1830), indicava nella tecnica della guerra partigiana il tipo di guerra più favorevole alle forze rivoluzionarie. Tredici anni più tardi, in vista della possibilità di applicare concretamente le teorie della guerriglia, il G. avrebbe dato alle stampe due manualetti in 16° più succinti, concepiti proprio per istruire al combattimento le forze volontarie impegnate nella guerra contro l'Austria: La guerra degli stracorridori, o guerra guerreggiata (Capolago 1848) e la Guida alla guerra d'insurrezione, ossia guerra degli stracorridori (guerilla) (Italia [Capolago] 1848).
In entrambe le pubblicazioni il G. illustrava l'organizzazione per bande delle truppe d'insurrezione, soffermandosi in particolare sulle tattiche d'impiego degli stracorridori, ossia di guerriglieri "infiammati d'assoluto patriottismo" (Guerra degli stracorridori…, p. 5) che, avvalendosi della conoscenza del terreno e raccolti in formazioni numericamente assai ridotte ma ben addestrate agli spostamenti rapidi, avrebbero dovuto, con l'insistenza di assalti ben coordinati e con la repentinità delle imboscate, tormentare le forze nemiche fino a conseguirne la totale disarticolazione.
Nel frattempo erano proseguite le peregrinazioni del suo esilio: peregrinazioni oscure nei dettagli, se è vero che nel 1839 il G., fruendo dell'amnistia concessa da Carlo Alberto il 26 marzo, era tornato in Piemonte ma per restarci poco; e comunque si teneva sempre in contatto con i mazziniani, e nel novembre del 1845 era di nuovo a Digione, sorvegliato discretamente dalla polizia e da qualche informatore ma ormai avviato a indirizzare il proprio pensiero, nel momento in cui in Italia prendeva piede l'ipotesi moderata, verso una proposta alternativa di soluzione del problema italiano. Veniva così alla luce un opuscoletto, Ravvisamento all'Italia (Digione 1846), in cui il G. prendeva nettamente le distanze da quella che si stava configurando come un'idea di sistemazione borghese della penisola e auspicava l'avvento di uno Stato nazionale unitario, decentrato amministrativamente e fondato non sull'interesse dei singoli, quale era ipotizzato dalle teorie liberistiche e utilitaristiche, ma su una democrazia permeata di un forte senso di solidarietà sociale e quindi capace di elargire la libertà a tutti. "Scopo della democrazia è di assembrare tutti gli interessi privati all'interesse comune […] di riunir gli uomini sul sentiero della virtù ed istradarli alla vera morale", proclamava il G. (p. 48) respingendo con forza opzioni politiche come il papismo o sociali come il comunismo.
Accolto con sufficienza dai mazziniani, il lavoro del G. non era esente da fumosità, moralismi e confusioni ma denotava un'ansia sincera di giustizia. Il convincimento che la politica fosse lo strumento per realizzare un disegno a vantaggio della collettività era ancora più forte in un altro lavoro, il Saggio politico-amministrativo e di organizzazione di Stato (Italia [Capolago] 1849), che il G. pubblicava nel pieno delle rivoluzioni quarantottesche per sottolineare con raddoppiato vigore come l'edificazione di un'Italia unita e organizzata in comuni e province amministrativamente indipendenti potesse essere l'occasione per un riscatto di tutto il popolo da antichi e nuovi soprusi. In questo senso lo stesso regime costituzionale piemontese, solo speciosamente rappresentativo e per di più funzionale agli egoismi di classe e a uno sviluppo selvaggio gestito dal ceto degli speculatori, perdeva, nella critica implicita che ne faceva il G., tutte le proprie potenzialità liberatorie, fino a configurarsi come "un calmante, un narcotico" (p. 23). In luogo, dunque, di uno Stato pronto a consegnare l'economia al mercato e alla libera concorrenza, il G. invocava, se non uno Stato interventista, un organismo capace di favorire le soluzioni associazionistiche e di salvare così il principio del bene collettivo senza colpire a morte la proprietà privata; per cui la forza del libro, assistito stavolta da una maggiore organicità interna e da uno stile più sorvegliato, stava non tanto in alcune cervellotiche proposte (come quella di affidare tutta la vita amministrativa a quattro agenzie, ciascuna strutturata in divisioni e con un suo consiglio di amministrazione), quanto nello sdegno morale che la considerazione del presente destava nel G. e nella partecipazione emotiva con cui egli guardava alle sorti di una popolazione cui il futuro sembrava riservare, nel caso di un trionfo delle teorie liberistiche, definite mazzinianamente materialistiche, un'oppressione anche più odiosa che in passato.
Quello postquarantottesco era certamente il periodo più fecondo per il G. che, pubblicando il Saggio politico-amministrativo, annunziava anche, nella quarta pagina di copertina, la prossima uscita di un lavoro Dell'onnipotenza dello Stato. Memoria politica, probabilmente rimasto allo stato di progetto. Al filone degli scritti di argomento militare tornava intanto con un opuscolo, Riscontro allo scritto intitolato: Relazione delle operazioni militari dirette dal generale Bava comandante il primo corpo d'armata nel 1848 (Capolago 1849), con cui si inseriva nella aspra polemica suscitata dalla conduzione delle operazioni belliche da parte dell'esercito sardo; e anche qui era presentato come "sotto torchio" un altro lavoro (Delle principali operazioni della guerra, ossia Principi generali teorici pratici dell'arte strategica…) di cui si sarebbe poi persa ogni traccia.
Finiva qui l'operosità del G., che negli anni successivi sarebbe riemerso dall'ombra soltanto per qualche breve squarcio, scrivendo a esempio nel 1860 da Digione una lettera a C. Cattaneo in cui si qualificava "generale" o, ridotto ormai in miseria, ottenendo tramite il quasi conterraneo A. Depretis un lavoro nelle ferrovie. Era assai avanti negli anni quando nel 1874 chiedeva alle autorità municipali di Alessandria un sussidio per recarsi a Savona dove gli era stato offerto un misero impiego.
Quanto alla sua fine, a uno storico che chiedeva notizie su di lui, un concittadino del G. rispondeva che egli era morto "lontano dalla città natia" (Faldella, p. 687), senza peraltro specificare la data.
Fonti e Bibl.: Scarsissime le notizie sulla vita del G., assente qualunque particolare autobiografico nelle sue opere, il poco che si sa di lui si ricava da G. Faldella, I fratelliRuffini. Storia della Giovine Italia, Torino 1900, pp. 682 s. e 686 ss.; Edizione naz. degli scritti di G. Mazzini (per la consultazione v. Indici, II, ad nomen); Protocollo della Giovine Italia (Congrega centrale di Francia), Imola 1916-22, VI, ad indicem; E. Passamonti, Nuova luce sui processi del 1833 in Piemonte, Firenze 1930, ad indicem; R. Caddeo, Le edizioni di Capolago. Storia e critica, Milano 1934, pp. 133 ss.; G. Ferretti, L.A. Melegari a Losanna, Roma 1942, pp. 179, 183, 191 (dove figura con il nome Andrea e dove, in un rapporto del prefetto di Nyon del 10 marzo 1834, è incluso tra quei rifugiati "qui ont le plus d'influence sous le rapport de leur dévouement à leur cause et les moyens de fortune ou de talent qu'ils peuvent lui consacrer"); L. Bulferetti, Il pensiero sociale del mazziniano E. G., in Rassegna storica del Risorgimento, XXXV (1948), pp. 233-243; G. Ferretti, Esuli ital. inSvizzera, Bologna 1948, ad indicem; S. Mastellone, Mazzini e la "Giovine Italia" (1831-1834), Pisa 1960, II, pp. 58, 179.