Guazzoni, Enrico
Regista cinematografico, nato a Roma il 18 settembre 1876 e morto ivi il 24 settembre 1949. Il valore dell'apporto di G. alla storia del cinema (e non solo del cinema italiano) fu senza alcun dubbio di profondo rilievo: il suo Quo vadis? (1913), che fu il primo kolossal storico prodotto in Italia e che ottenne un immenso successo anche all'estero, anticipò tutta la gamma dei film storici ad alto valore spettacolare.
Diplomatosi a pieni voti all'Istituto di belle arti di Roma, era già un apprezzato pittore romano quando Filoteo Alberini, direttore tecnico e fondatore della Cines, gli affidò le decorazioni del soffitto del Cinema moderno, lavoro che G. eseguì assieme a F. Ballester. Continuò quindi a collaborare con la Cines, disegnandone i coloriti manifesti e facendo il consulente per le scenografie dei film a sfondo storico. Entrato stabilmente nella casa di produzione romana, G. ne divenne ben presto uno dei direttori artistici di punta, specializzandosi nei film in costume (Faust, Giulia Colonna, Adriana di Berteaux, tutti del 1910; Agrippina e Bruto del 1911). Dopo il grande successo di La Gerusalemme liberata (1911), di cui sette anni più tardi girò una nuova versione, la Cines gli affidò la realizzazione di Quo vadis?, dal popolare romanzo di H. Sienkiewicz, il film che permise al cinema italiano di raggiungere trionfalmente le sale di tutto il mondo. Secondo R. Paolella (Storia del cinema muto, 1957, p. 164 e segg.), Quo vadis? rappresenta la conquista dello spazio dell'arte cinematografica: G. non esita a raggruppare le figure come un coreografo i suoi personaggi ‒ spiega lo storico napoletano ‒ in primo piano quelli più autorevoli, in secondo le masse corali, in terzo gli sfondi naturali o architettonici, esemplificando così la composizione tipica del film italiano fino all'estro barocco di Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone. È indubbio che G. fu il primo a porsi il problema della prospettiva, intesa come dislocamento di uomini e di cose che si presentano alla vista secondo la loro diversa lontananza, utilizzando gli esterni ‒ e la Roma degli anni Dieci lo consentiva ‒ piuttosto che il palcoscenico per realizzare le prime gigantesche macchine spettacolari. "Egli è ‒ continua Paolella ‒ il primo ad immettere nelle sue coreografiche composizioni grandi volumi di spazio luminoso ed aerato tra l'apparecchio da ripresa e le costruzioni sceniche montate direttamente all'aria aperta" (p. 164). A questo nuovo 'genere' di film, solo più tardi definito kolossal, appartengono anche le successive opere di G., Marcantonio e Cleopatra (1913), Cajus Julius Caesar (1914), il napoleonico Scuola d'eroi (1914), Madame Tallien (1916), la già citata seconda edizione di La Gerusalemme liberata (1918), Fabiola (1918) e Il sacco di Roma (1920) diretto insieme a Giulio Aristide Sartorio. Tuttavia, numerosi storici, assordati dal coro di lodi suscitate da Cabiria, non hanno saputo rilevare la novità e la ricerca della composizione plastica di Quo vadis?, soffermandosi a stigmatizzarne il 'gusto oleografico' (G. Charensol, Panorama de cinéma, 1947, p. 97), "le matrone che fanno il saluto romano e recano il ramo d'ulivo, i corti legionari che trotterellano a piccoli passi, abbassando il pollice con immaginari gridi di morte" (M. Bardèche, R. Brasillach, Histoire du cinéma, 1948, p. 51), o considerandolo "un fenomeno di gigantismo, riprova della smisurata ambizione dei produttori cinematografi romani" (R. Jeanne, Ch. Ford, Histoire du cinéma, 1° vol., 1947, p. 221). Nonostante questi malevoli giudizi, il film, che aveva raccolto un enorme successo negli Stati Uniti, influenzò probabilmente la produzione di registi come David W. Griffith, Ernst Lubitsch, Dimitri Buchowetzki e Joe May, autori di kolossal teutonici non immemori del modello italiano. Inoltre, lungo tutto l'arco degli anni Dieci, molti altri direttori artistici italiani si incamminarono sul sentiero aperto da G.: nel 1913 Eleuterio Rodolfi diresse Gli ultimi giorni di Pompei, Giovanni Enrico Vidali, sullo stesso argomento, Jone, e Nino Oxilia In hoc signo vinces; nel 1914 Mario Caserini si cimentò con Nerone e Agrippina, e Luigi Maggi con Delenda Carthago!; nel 1916 Giulio Antamoro si recò in Egitto per l'agiografia del Christus; nel 1918 Febo Mari diresse e interpretò Attila e nel 1919 Giuda. Questi film e altri, pur raggiungendo talora un dignitoso livello di realizzazione ‒ molti avevano prontamente assorbito la lezione di G. ‒ rimasero comunque su un gradino inferiore rispetto ai prototipi. La voga delle opere ad alto budget si affievolì a partire dal primo dopoguerra e rimase sopita poi per lunghi anni. Nel 1923 G. tentò di rilanciare il genere con Messalina. Pur non privo di scene ben girate ‒ come la corsa delle bighe ‒ non incontrò più il favore del pubblico, ormai catturato dalla magia hollywoodiana. Per quanto concerne l'ulteriore carriera di G. ‒ da ricordare soltanto due film 'africani' girati nel 1929 alla fine del muto: La sperduta di Allah e Miryam ‒ proseguì sempre più stancamente fino al 1942, quando diresse il suo ultimo lavoro, naturalmente in costume. Uscito nel 1943, La Fornarina, malgrado la riposante venustà di Lída Baarová, appare tuttavia solo un pallido riverbero della stagione di cui G. era stato assoluto protagonista.
Puck, Enrico Guazzoni, in "Cinema", 1936, 3; R. Paolella, I valori dell'opera di Enrico Guazzoni nella storia del cinema, in "Bianco e nero", 1952, 11; G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano, 1° vol., Roma 1993², pp. 164-66 e passim.