GUICCIARDI, Enrico
Nacque a Ponte in Valtellina presso Sondrio il 6 nov. 1812 da Diego e da Teresa Delfini. La posizione sociale della famiglia - che era tra quelle di più antica nobiltà - e la vocazione a occuparsi professionalmente di problemi amministrativi, che aveva caratterizzato nel recente passato napoleonico la vita del padre e di altri congiunti, influenzarono, pur sotto il mutato regime, anche le sue scelte: infatti, dopo aver conseguito la laurea in legge nell'ateneo pavese, il G. entrò in burocrazia come titolare dell'ufficio fiscale (era in pratica avvocato e consulente legale dello Stato in materia erariale) e per alcuni anni si segnalò come funzionario solerte e capace ma anche geloso della propria indipendenza di giudizio. Certo, dovette molto condizionarlo la carica del padre quale vicepresidente del Consiglio di governo e stretto collaboratore del Metternich, ma forse pesò più ancora su di lui - e Carlo Cattaneo glielo avrebbe in più occasioni rinfacciato - quella propensione familiare a legarsi al regime al potere e a servirlo prescindendo da ogni valutazione sulla sua natura, magari anche cercando contemporaneamente contatti con l'opposizione. E tuttavia è difficile tacciare di ambiguità la protesta formale con la quale, cinque giorni dopo i luttuosi incidenti del 3 genn. 1848, il G. denunziò le responsabilità dei capi della polizia e dell'esercito chiedendone l'incriminazione: il risultato fu la risoluzione sovrana che in data 23 febbr. 1848 lo destituiva dall'impiego.
Nell'insurrezione milanese del 18 marzo 1848 il G. si mise subito in luce come esponente del gruppo moderato (i cosiddetti campioni dell'opposizione legale) che faceva capo a G. Durini e che si affiancò al podestà G. Casati per sostenerne la politica albertista: proprio il Casati lo nominò il 20 marzo "collaboratore del Municipio" incaricandolo con altri (tra cui il Durini, V. Borromeo, T. Lechi e A. Guerrieri Gonzaga) di "assumere in via interinale la direzione d'ogni potere allo scopo della pubblica sicurezza" (documento riportato in Cattaneo, I, p. 882).
Rimasto fuori del governo provvisorio costituito il 21 marzo, il G. fu comunque da quella autorità nominato presidente del tribunale d'appello milanese, e in questa veste si occupò dell'istruttoria contro gli autori del fantomatico colpo di mano del 29 maggio che a dire degli inquirenti avrebbe dovuto consegnare il potere ai democratici: il Cattaneo, che già nutriva qualche rancore nei suoi confronti per una questione risalente al 1844, non gli avrebbe mai perdonato di avere tentato di coinvolgerlo in quel processo senza che, quanto meno per mancanza di tempo, nulla si riuscisse a provare nei confronti suoi e degli altri presunti cospiratori. Di qui le ripetute accuse al G. di avere disertato per opportunismo la fazione austriaca alla quale, sosteneva il Cattaneo, egli aveva appartenuto fino a poco prima dell'insurrezione.
Fondato o meno che fosse questo risentimento, è certo che dal 1848 in poi il G. non mostrò più alcuna oscillazione nel suo comportamento politico: non limitandosi alle funzioni di magistrato, quando ebbe inizio la controffensiva austriaca si mise alla testa di una colonna di volontari della guardia civica valtellinese e la guidò nella difesa del Tonale e dello Stelvio; stessa esperienza visse nel 1849, quando, alla ripresa della guerra, accorse in Piemonte da Poschiavo con un battaglione di volontari da lui organizzato che combatté a Novara meritandosi la medaglia d'oro. Non avendo voluto in precedenza collaborare con i mazziniani in occasione dei moti della Val d'Intelvi che aveva rifiutato di estendere alla Valtellina, era chiaro che aveva ormai riposto le sue speranze nel Regno sardo in cui si era rifugiato stabilendosi a Torino. Qui cercò di far valere la buona prova offerta come militare e il grado di capitano che essa gli aveva procurato dando il proprio contributo al dibattito sulla riforma dell'esercito con un opuscolo di Osservazioni intorno all'organizzazione militare del Piemonte (s.n.t.), ma ciò non gli bastò per essere ammesso a partecipare, come avrebbe voluto, alla spedizione in Crimea. Dovette attendere il 1859 perché gli fosse assegnato l'incarico di commissario straordinario per la zona del lago Maggiore e poi di intendente generale a Sondrio, dove arrivò poco prima dell'inizio delle ostilità e dove, dopo aver coadiuvato i Cacciatori delle Alpi nel loro sforzo bellico, effettuò il passaggio della provincia sotto l'amministrazione sarda.
Che il G. fosse gradito alla classe dirigente piemontese lo dimostrano anche il successo della sua candidatura a Tirano per le elezioni della VII legislatura e, dopo la sconfitta subita a Sondrio nelle due prove elettorali dell'VIII legislatura (gennaio e aprile 1861), la nomina a prefetto della provincia di Cosenza (28 apr. 1861).
Per il brigantaggio che vi infuriava, per le condizioni di grave miseria della popolazione, per l'enorme difficoltà delle comunicazioni, era, quella di Cosenza, una destinazione assai impegnativa per chi oltre tutto, venendo dall'estremo Nord, ben poco sapeva della mentalità e dei costumi meridionali. A colpire il G. fu non una situazione in particolare ma l'intreccio dei tanti problemi della provincia e il quadro di profonda arretratezza che ne derivava; così, nei cinque anni della sua prefettura (e già questo fu un primato, perché nessun prefetto restò più a lungo di lui in una sede meridionale), egli cercò di aggredire l'emergenza da più angolazioni, stimolando la crescita dell'istruzione elementare, incoraggiando l'impianto di una Cassa di risparmio e di una Camera di commercio, intervenendo sulle condizioni igieniche, prospettando al governo l'urgenza della realizzazione dei collegamenti ferroviari, favorendo lo sviluppo di una borghesia liberale e soprattutto mostrando fin dall'inizio al potere centrale come il pericolo maggiore per le istituzioni liberali, più che da fenomeni modesti quali il neoborbonismo e il clericalismo, potesse venire dalle deluse aspettative di giustizia delle masse contadine.
Anche nell'affrontare la piaga più vistosa, quella del brigantaggio, il G. non si limitò alle misure repressive - che comunque ci furono e furono spietate, come quando si affidò l'azione di contrasto delle bande del Cosentino al colonnello P. Fumel e alla sua guardia nazionale mobile - né si accontentò di colpire il manutengolismo - che cercò di eliminare mirando al livello più alto, quello dei proprietari che avevano usurpato le terre demaniali- piuttosto, "accoppiando, con lungimiranza, al momento repressivo provvedimenti che incidessero sulle radici economico-sociali del brigantaggio, il Guicciardi fu tra i primi prefetti a intraprendere, sin dal '61, le operazioni di quotizzazione dei demani comunali, benché nei limiti della eccessiva esiguità e della scarsa fertilità delle quote" (Stancati, p. 51). E fu proprio per la sua incisività che presto l'operato del G., pur avendo trovato l'appoggio entusiasta di Vincenzo Padula che dalle colonne de Il Bruzio ne aveva lodato la vigorosa conduzione della lotta contro la criminalità, suscitò l'opposizione non solo dei reazionari o della Sinistra garibaldina, ma della stessa Destra cosentina che all'inizio lo aveva sostenuto e che poi aveva preso a temere la sua invadenza e la sua idea di uno Stato attivamente impegnato nello sviluppo civile del paese.
Alla fine di un periodo di frizioni l'intesa tra classe politica e grande possidenza montò il caso di una divergenza tra autorità prefettizia e poteri militari: sul G. furono messe in giro, e arrivarono fino alla presidenza del Consiglio, voci che lo davano troppo vicino ai "rossi"; inoltre il generale E. Pallavicini disapprovò l'iniziativa del G. di trattare personalmente con un capobanda il rilascio di un deputato sequestrato. Ciò determinò il 18 sett. 1865 la rimozione del prefetto e la sua destinazione a Lucca: sede in cui il G., avendo presentato le dimissioni che furono accettate l'8 ott. 1865, non arrivò mai. Ebbe un qualche significato il fatto che alla sua partenza le autorità municipali di Cosenza gli intitolassero una delle principali strade cittadine.
Nel 1866, al momento della guerra per la liberazione del Veneto e quando gli Austriaci erano già penetrati in Valtellina, il G. accettò di comandare con il grado di colonnello i due battaglioni della guardia nazionale impiegati nella riconquista e poi nella difesa della regione nella zona dello Stelvio: si rivelò ancora una volta assai accorto nell'impiego delle truppe che con alcune brillanti operazioni militari - la sortita di Spondalunga dell'11 luglio e l'altra di pochi giorni dopo - svolsero il compito tattico di coprire un fianco di particolare importanza per l'avanzata dei volontari comandati da G. Garibaldi. Al termine del conflitto gli fu conferito l'incarico di regio commissario della provincia di Mantova che espletò dal 13 ottobre al 9 dic. 1866, il tempo necessario per attuare il trapasso della zona all'amministrazione italiana. Una riuscita candidatura nel collegio di Reggio Emilia gli consentì poi di tornare in Parlamento nel corso della X legislatura per un mandato che subì una brusca interruzione quando, il 28 nov. 1867, il governo Menabrea gli impose una ripresa della carriera prefettizia inviandolo a Palermo.
La città aveva da poco più di un anno conosciuto una rivolta che aveva espresso tutto il malessere dell'isola e aveva favorito la diffusione di tendenze antiunitarie da un lato, repubblicane o anarcoidi dall'altro. Come già a Cosenza, il G. chiese immediati interventi di carattere sociale per combattere fenomeni quali l'accattonaggio e la disoccupazione; dal governo gli vennero invece sollecitazioni a contrastare i sempre forti fermenti rivoluzionari, colpendo magari le iniziative di quello stesso Garibaldi a fianco del quale aveva combattuto solo due anni prima. A sollevarlo dall'imbarazzo giunsero prima la decisione governativa di riunire in un unico potere l'autorità civile e quella militare (e la persona giusta era quella di G. Medici), poi il regio decreto che il 14 giugno 1868 lo nominava senatore e che precedette di qualche giorno il suo collocamento a riposo.
Da allora il G. prese a occuparsi soprattutto della sua regione, che del resto aveva avuto presente anche nel periodo cosentino, quando aveva dato alle stampe un opuscolo di Notizie riguardanti la perequazione e riduzione del censo fondiario della Valtellina in base al decreto 27 giugno 1864 (Cosenza 1864): in Senato cercò di promuoverne lo sviluppo economico, che faceva dipendere essenzialmente dalla disponibilità di una moderna rete di strade e ferrovie per mezzo della quale fosse possibile riversare sul mercato lombardo la pregiata produzione vinicola della valle. Quello della viabilità come fattore di progresso era peraltro lo stesso tema che lo induceva talvolta a ricordarsi della Calabria con interventi su progetti di legge che concernevano la demanializzazione della Sila (20 apr. 1872) o i collegamenti ferroviari (1° luglio 1876). Assai più fitti i suoi impegni sul piano locale, come presidente della sezione valtellinese del Club alpino italiano, di cui nel 1872 era stato socio fondatore (memore di quando, nel 1853, aveva portato a termine la scalata del monte Bianco), come presidente nazionale della Croce rossa (1872) e soprattutto come sindaco di Ponte in Valtellina, carica che a partire dal 1873 manterrà ininterrottamente per ventidue anni.
Il G. morì a Ponte in Valtellina il 1° luglio 1895.
Fonti e Bibl.: Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni (per la consultazione si vedano gli Indici posti alla fine delle legislature VII e X); C. Cattaneo, Epistolario, a cura di R. Caddeo, I-IV, Firenze 1949-56, ad ind.; G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventù. Cose vedute o sapute 1847-1860, a cura di E. Di Nolfo, Milano 1959, pp. 117, 206 s., 351, 354-374; Inventario dell'Archivio Visconti Venosta, a cura di M. Avetta, I-II, Santena 1970, ad ind. (segnala una quindicina di lettere del G. negli anni 1859-70); C. Cattaneo, Tutte le opere, IV-V, Milano 1974, ad ind.; M. Cassetti, Le Carte di Alfonso Ferrero della Marmora, Torino 1979, ad ind.; Carteggi di Carlo Cattaneo, s. 1, Lettere di Cattaneo, I, 1820-15 marzo 1848, a cura di M. Cancarini Petroboni - M. Fugazza, Firenze-Bellinzona 2001, p. 466; Ediz. nazionale degli scritti di G. Garibaldi, Epistolario, XI, Aprile-dicembre 1866, a cura di G. Monsagrati, Roma 2002, ad ind.; A. Caimi, Giornale delle operazioni di guerra eseguite dalla legione di guardia nazionale mobile a difesa dello Stelvio e del Tonale nella campagna del 1866, Torino 1868, passim; R. Bonfadini, Mezzo secolo di patriottismo, Milano 1886, pp. 254 ss., 299; In memoria di E. G., senatore del Regno, Sondrio 1895; C. Pagani, Uomini e cose in Milano dal marzo all'agosto 1848, Milano 1906, pp. 91 s., 131; V. Adami, Le guardie nazionali valtellinesi alla difesa dello Stelvio nel 1866, Milano 1916, passim; P. Alatri, Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra (1866-1874), Torino 1954, ad ind.; F. Brancato, La Sicilia nel primo ventennio della storia d'Italia, Bologna 1956, ad ind.; F. Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana. Dibattiti ideali e contrasti politici all'indomani del 1848, Milano 1958, p. 428; Storia di Milano, XIV, Roma 1960, pp. 267, 342, 348, 359, 362, 433; A. Scirocco, Governo e paese nel Mezzogiorno nella crisi dell'unificazione (1860-61), Milano 1963, ad ind.; F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità, Milano 1964, ad ind.; V. Padula, Il brigantaggio in Calabria (1864-1865), Roma 1981, ad ind.; M. Meriggi, Amministrazione e classi sociali nel Lombardo-Veneto (1814-1848), Bologna 1983, ad ind.; E. Stancati, Cosenza e la sua provincia dall'Unità al fascismo, Cosenza 1988, ad ind.; A. Scirocco, Briganti e società nell'Ottocento: il caso Calabria, Cavallino di Lecce 1991, ad ind.; F. Della Peruta, Carlo Cattaneo politico, Milano 2001, p. 191. Tra i repertori: T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, s.v.; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v.; V.U. Crivelli Visconti, La nobiltà lombarda, Bologna 1972, p. 96; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1973, ad indicem.