ENRICO II re di Francia
Secondogenito di Francesco I, nato il 31 marzo 1519; a diciotto anni, per la morte di suo fratello Francesco (10 agosto 1536), divenne delfino. Tre anni prima, aveva sposato Caterina de' Medici; ma cadde in dominio di Diana di Poitiers, sotto il cui influsso rimase fino alla morte, mentre Caterina era costretta ad adattarsi a quel ménage à trois o a rimanere nell'ombra.
Già appena salito al trono E. (1547), lo influsso della favorita si mostrò decisivo; e ad essa si doveva la crescente potenza dei Guisa, che cominciavano a contrastare il passo al connestabile di Montmorency, ritornato al potere nel personalità dominante soprattutto perché E. gli era affezionatissimo. Le nomine dei funzionarî caddero così su creature del Montmorency o dei Guisa o di Diana. Concordi in un punto erano tanto i Guisa, come il Montmorency: promuovere cioè ancora più la centralizzazione. Si ebbe così un governo assai duro (rivolta di Saintonge e di Bordeaux, punita dal Montmorency con la condanna a morte o alla galera di più di cento cittadini, con la soppressione dei privilegi della città, con una taglia di guerra).
Ma nella politica estera si palesava in pieno il dissidio fra il Montmorency e i Guisa: il primo, fautore di rapporti amichevoli con Carlo V, e dello statu quo; gli altri, fautori della guerra, così in Inghilterra come in Italia. E all'intervento nelle questioni italiane spingevano anche Caterina de' Medici e i fuorusciti italiani, fiorentini e napoletani, numerosi a corte e influenti. Si cominciò tuttavia con la guerra contro l'Inghilterra, per riavere Boulogne: nel giugno 1548, Francesco d'Aumale sbarcava 6000 uomini a Leith; il 20 agosto, Maria Stuarda era sul suolo di Francia. Ma, contro le speranze del papa, nel 1550 la Francia venne a pace: l'Inghilterra restituì Boulogne, previo pagamento di 400 mila scudi d'oro.
Assai più lunghe e gravi, invece, riuscirono le questioni italiane. La tragica morte di Pier Luigi Farnese (10 settembre 1547) aveva fornito ai Guisa il pretesto per spingere il re a intervenire in Italia, dove, col matrimonio tra Francesco di Guisa e la figlia del duca di Ferrara, i Guisa avevano rafforzato il loro credito. La situazione pareva favorevole; dopo la battaglia di Mühlberg, si erano rianimati in Italia i partigiani di Francia: Napoli, in aperta rivolta fomentata da Enrico II, pensava già di sostituire alla signoria spagnola quella francese; la vedova di Iacopo d'Appiano era invitata da Enrico a permutare lo stato di Piombino, nel quale si sarebbe insediato Pietro Strozzi, e i Fieschi ordivano intrighi per dare Genova alla Francia. L'uccisione di Pier Luigi Farnese precipitò la situazione. Nel Consiglio privato di Enrico si scontrarono i due partiti: quello della pace (Montmorency) e quello della guerra (Guisa). Il papa era risoluto a rendere E. potentissimo: Parma e Piacenza dovevano essere tolte a Ottavio Farnese, genero dell'imperatore, e date a Orazio, fidanzato con Diana di Francia, duchessa d'Angoulême; il territorio del Regno di Napoli fino al Garigliano doveva conquistarsi per la Santa Sede, il resto, con la Sicilia, per la Francia. Ma E. non poteva fare che un'azione dimostrativa contro il nemico, perché i sudditi, eccessivamente gravati, facevano presentire i moti della Guienna che, duramente repressi nel sangue, diedero al giovane Stefano della Boétie l'ispirazione per il famoso discorso Sulla servitù volontaria. Volle, tuttavia, fare un gesto di affermazione nella penisola. Il 15 maggio 1548, disceso in Piemonte alla testa di 3000 uomini, privò dello stato e della vita il marchese di Saluzzo; poi entrò in Torino, pronto a correre a Milano se fosse riuscita la congiura contro Ferrante Gonzaga, mentre il Du Bellay organizzava una cospirazione a Genova e Cesare Mormile s'impegnava a cacciare gli Spagnoli da Napoli. Ma tutti gl'intrighi di Enrico fallirono in Italia. Guienna, Poitou e Bretagna tumultuavano per la gravezza del sale. Disgustato del papa, E. avversò il concilio di Bologna e si mostrò deciso a difendere i privilegi della corona e della chiesa gallicana; poi, acuitosi il dissidio tra Carlo V e il papa per Piacenza, ostentò il più ardente zelo religioso, senza tuttavia trovare sincerità nel papa. Quando Giulio III deliberò la ripresa del concilio a Trento, E. minacciò uno scisma, mentre riconosceva Parma ad Ottavio Farnese. Nel concilio, per bocca dell'abate Amyot, il re accusò il papa di aver suscitato in Italia una guerra che avrebbe provocato un incendio in tutta l'Europa e di aver escluso dal concilio, indetto per interessi privati, il re cristianissimo; assicurando perciò che né il re né il popolo di Francia né i suoi prelati ne avrebbero riconosciuto i decreti. L'invio del Thermes come consigliere di Ottavio, il licenziamento del nunzio pontificio, il divieto di mandar denari alla Curia per le dispense, i pericoli per Bologna e Ravenna sgomentarono Giulio III che, terrorizzato dalla rottura della pace in Piemonte, venne a miti consigli. Riaccesosi così il conflitto con Carlo V, E. divenne l'anima della riscossa di tutti i nemici dell'imperatore. Magdeburgo fu invitata a perseverare nella ribellione; Maurizio di Sassonia ad organizzare la lega di Torgau; il sultano dei Turchi, Solimano, a tentare un'impresa in Sicilia o nelle Puglie o sulle coste di Tunisi. Grandi possibilità gli si offrirono specialmente in Germania. Alleatosi coi principi ribelli per liberare la Germania dal giogo spagnolo, otteneva la facoltà d'impossessarsi di Cammerich, Toul, Metz, Verdun. Il 13 marzo 1552, Enrico II, "il protettore del sacro romano impero e vindice della libertà germanica", mise una guarnigione in Nancy, occupò Toul e Verdun e il 18 aprile entrò a Metz. Guglielmo d'Assia e Alberto di Brandeburgo, con un esercito di 30.000 uomini, entrarono in Augusta. Tutta la Germania era in fiamme. Conseguenza dell'invasione della Germania, la sospensione del concilio e la tregua di due anni imposta al papa. Ma si ridestò lo spirîto d'indipendenza nei Tedeschi: Strasburgo gli negò l'entrata. Intanto, l'esercito della governatrice dei Paesi Bassi metteva a ferro e a fuoco la Champagne. E. tornò precipitosamente in Francia. Ma se il Montmorency perdeva Thérouane e Hesdin, nel nord, il duca di Guisa salvava Metz, costringendo l'esercito di Carlo V a ritirarsi (gennaio 1553).
In Italia, E. cercava di costituire una lega di principi: ma Venezia voleva garanzia perché non le accadesse quello che si era verificato con Francesco I. Per l'assalto a Napoli E. s'intese col Turco, la cui flotta mise a ferro e fuoco Reggio, Policastro, Zainetto, ma ebbe fretta di partire. Finalmente, mentre con assedî fortunati i Francesi conquistavano alcune città del Piemonte, Enrico comprati con doni o con promesse i principali signori della Corsica, investiva l'isola con l'aiuto della flotta turca e spingeva le sue forze nel cuore d'Italia per aiutare i Senesi. La Corsica e Siena, con il Piemonte, divenivano così i fulcri della politica italiana di E.: la pace d'Augusta (1555) troncava l'intesa coi protestanti tedeschi.
Pure, E. e i Guisa volevano ancora la guerra, sedotti dal miraggio del regno di Napoli; e bastò che papa Paolo IV facesse balenare al re per il secondogenito l'investitura del Milanese perché trionfasse la volontà dei Guisa, smaniosi di conquistare il regno di Napoli per la propria casa. Fu così rotta la tregua di Vaucelles, ottenuta nel '56 a condizioni insperabili; e il duca di Guisa mosse verso l'Italia. Ma le ostilità s'erano riaccese anche nel nord della Francia; e il 10 agosto '57, a S. Quintino, l'esercito francese del Montmorency capitolava di fronte agli Spagnoli, guidati da Emanuele Filiberto. Al nemico era aperta la via su Parigi. E. non perdette la speranza di una rivincita; ma intorno a lui era il vuoto: Montmorency prigioniero con tanti altri signori, Coligny vilmente discreditato dai nemici. Poté bensì il Guisa, richiamato in fretta dall'Italia, riscattare, in parte, la sconfitta, conquistando Calais e Guines (gennaio 1558), poi Thionville (maggio 1558): ormai l'animo del re volgeva alla pace. Il Montmorency iniziava le trattative; e si venne così al trattato di Cateau-Cambrésis (v.), contro il quale si levò un coro di recriminazioni dei contemporanei e dei posteri, e che certo fu poco felice per la Francia. Ma si deve notare che alla pace il re era mosso non solo dalle pressioni del Montmorency, non solo dalle condizioni disastrose dell'erario, ma da altri motivi di politica interna: cioè dal diffondersi delle dottrine riformate e di conseguenza dall'acuirsi della crisi religiosa in Francia. Convinto che il trono fosse minacciato insieme con l'altare dalla rivoluzione religiosa, e d'altronde profondamente cattolico, E. fu spietato nella repressione dell'eresia: già nel 1551 aveva emanato il famoso e terribile editto di Châteaubriant contro gli eretici (v. calvinismo); e introdusse anche l'Inquisizione che praticamente non funzionò per l'opposizione del Parlamento. Con l'editto di compiègne (1557) aveva rafforzato il potere laico per la difesa della religione, conferendogli la facoltà della pena di morte, che fu applicata con terribile freddezza; infine, appena firmata la pace di Cateau-Cambrésis, emanò l'editto di Écouen (2 giugno 1559), che doveva iniziare la politica di sterminio dei calvinisti. E certo ore gravi si preparavano per i riformati francesi, quando E. il 29 giugno, in un torneo, veniva mortalmente ferito, per disavventura. Il 10 luglio egli spirava, lasciando nella Francia un cumulo di materia incendiaria prossima ad esplodere e lo stato sconvolto dalla corruzione e dalle passioni dei reggitori.
Bibl.: F. Decrue, Anne, duc de Montmorency, connétable et pair de France, Parigi 1889; J. Delaborde, Gaspard de Coligny, amiral de France, I, Parigi 1879; H. Forneron, Les ducs de Guise et leur époque, I, Parigi 1877; G. De Leva, Storia documentata di Carlo V, IV, Venezia 1889-92; H. Lemonnier, La lutte contre la maison d'Autriche. La France sous Henri II, Parigi 1904. Soprattutto L. Romier, Les origines politiques des guerres de religion, voll. 2, Parigi 1913-14.