MARTINI, Enrico
MARTINI, Enrico. – Nacque a San Bernardino (ora frazione di Crema) il 18 apr. 1818 dal conte Francesco e dalla contessa Virginia Giovio Della Torre. Allievo a quattordici anni del collegio imperiale marittimo di Venezia, vi rimase per cinque anni e ricoprì per pochi mesi il grado di guardiamarina nella Marina austriaca. Alla morte dei genitori, nel 1836, intraprese con il fratello Alberto una serie di viaggi a Parigi e Londra. Cominciò fin da allora, nelle più importanti capitali europee, a interessarsi di politica e letteratura, intrecciando amicizie che lo avrebbero particolarmente segnato nella carriera, come quelle con A. Thiers e con T. Mamiani Della Rovere. Rientrato in Italia, ebbe la possibilità di frequentare la più eletta società milanese, non disdegnando il sontuoso salotto della contessa Julia Samoylova nata Pahlen, nobildonna apprezzata dagli ufficiali austriaci e dunque invisa ai patrizi ostili al governo asburgico. Sebbene fosse «bel giovane, di aspetto distinto, elegantissimo nel vestire, abbondante nella parola, caro alle signore nonostante zoppicasse un tantino da un piede come Talleyrand, pieno d’ingegno e di spirito, facile ad apprendere le lingue» (Pagani, p. 5), il M. non riuscì a guadagnarsi la piena fiducia politica di personaggi come C. D’Adda, C. Giulini, C. e I. Prinetti, sospettosi per il legame instaurato con la Samoylova. Alla soglia dei trent’anni sposò una sorella di L. Manara, la quale, però, morì dopo solo otto mesi di convivenza.
Dopo aver assistito la consorte moribonda in una residenza di campagna, nel dicembre del 1847, ai primi segnali di disordini, il M. venne invitato a rientrare a Milano dall’amico V. Toffetti, nobile cremasco e sostenitore della politica piemontese. Testimone della rivolta milanese del gennaio 1848, si recò in missione a Torino per sondare le intenzioni del governo sardo. A tal fine a Genova ottenne da parte del marchese J. Balbi e della marchesa Teresa Doria lettere di presentazione per il conte C.G. Trabucco conte di Castagnetto, segretario privato di Carlo Alberto ed esponente di punta alla corte sabauda delle istanze filoitaliane. Giunto nella capitale ebbe diversi abboccamenti con Castagnetto, ma, per motivi di prudenza, non ottenne per il momento alcuna udienza sovrana. Consigliato di recarsi a Parigi «onde far proseliti alla causa nazionale» (Chiala, p. 398), fu testimone della caduta del regime orleanista. Rientrato a Torino, il M. ebbe diversi incontri con Carlo Alberto nei quali poté rassicurare il re sulle intenzioni pacifiche del governo repubblicano francese, condizione essenziale affinché il Regno di Sardegna potesse concentrarsi sulla causa lombarda.
Il 19 marzo 1848, alle prime voci sullo scoppio dell’insurrezione a Milano, il M., insieme con il conte C. D’Adda, si recò in udienza da Carlo Alberto per richiedere l’intervento dell’esercito piemontese. Ma la cautela del sovrano frenò gli entusiasmi. Per Carlo Alberto la necessità di un diretto casus belli con l’Austria e la richiesta di aiuto da parte della Municipalità milanese erano condizioni imprescindibili per il sostegno sardo.
Con tali premesse il M., nonostante non avesse alcun mandato ufficiale, partì immediatamente alla volta di Milano dove riuscì a entrare clandestinamente da porta Comasina il 21 marzo. Ai membri della Congregazione municipale consigliò, di propria iniziativa, la composizione di un governo provvisorio, la richiesta di aiuto al Piemonte e un atto di dedizione a Carlo Alberto; ma queste istanze, che avevano per obiettivo la fusione della Lombardia con il Regno di Sardegna, trovarono la ferma opposizione del Consiglio di guerra rappresentato da C. Cattaneo. Superata l’impasse tra monarchici e repubblicani e costituitosi il governo provvisorio, il M., accreditato da G. Casati, poté, non senza difficoltà, rientrare a Torino il 23 marzo latore di un messaggio che invocava l’intervento di Carlo Alberto. Ricevuto subito da Carlo Alberto e dai ministri riuniti in Consiglio di conferenza, il M. fu al fianco del re quando la sera stessa dal «verrone» di palazzo reale fu dichiarata la guerra e sventolato per la prima volta il tricolore. Il 27 marzo 1848, giorno del passaggio del Ticino da parte delle truppe sarde, il M. venne nominato dal governo provvisorio lombardo commissario presso il quartier generale di Carlo Alberto, carica che detenne fino ai primi di giugno, allorché, entrato in contrasto con Casati, decise di rinunciarvi. Particolarmente caro a Carlo Alberto, il 3 giugno il M. ottenne il grado di capitano di fregata in soprannumero nello stato maggiore della Marina sarda. In tale veste venne mandato come rappresentante a Venezia con l’incarico di attivarsi per la fusione del Veneto con il Piemonte.
Fu l’inizio di una serie di delicate missioni che sottolinearono la fiducia riposta nel M. dal governo sardo. Nell’ottobre dello stesso anno fu inviato dal ministro degli Esteri E. Perrone di San Martino a Parigi con il compito di conferire intorno alle questioni militari riguardanti il Piemonte. Compiuto il mandato nella capitale francese, il M. venne scelto il 24 dic. 1848 come segretario di legazione e plenipotenziario alla conferenza di pace di Bruxelles. Tuttavia l’assemblea non ebbe luogo, e il M. fu dirottato a Gaeta da V. Gioberti, capo del governo sardo, che il 30 dicembre lo nominò inviato straordinario e ministro plenipotenziario presso la corte pontificia in esilio. In quei frangenti la sua posizione risultò difficile a causa del rifiuto di Pio IX di ricevere il nuovo delegato, istruito da Torino a mantenere rapporti ufficiosi con il governo della Repubblica Romana. Nei limiti delle possibilità e secondo le direttive ricevute, il M. si prodigò vanamente per la promozione della confederazione italica, per la riconciliazione del pontefice con i sudditi romani e per far accettare a Pio IX l’offerta di Carlo Alberto di un presidio militare sabaudo da dislocare nella Romagna minacciata dall’invasione austriaca.
Alla rottura dell’armistizio e alla ripresa delle ostilità tra Piemonte e Austria il M. chiese a Carlo Alberto di rientrare subito nell’esercito. Ma il re lo pregò di continuare a svolgere la sua missione alla corte papale. Dopo l’abdicazione di Carlo Alberto, il M. convinto di non essere più fedele interprete del governo e in dubbio sulla fiducia del nuovo sovrano Vittorio Emanuele II, il 12 giugno 1849 chiese congedo dalla diplomazia e dall’esercito. Escluso dall’amnistia austriaca, il 25 agosto fu ammesso a fruire della nazionalità sarda. Nonostante gli ostacoli posti alla sua carriera da vari avversari politici, nell’ottobre del 1849 fu accettata la sua domanda di reintegro nella diplomazia e gli fu nuovamente conferito dal sovrano il grado di capitano di fregata.
Era nel frattempo cominciata la sua carriera nelle istituzioni. Eletto il 2 febbr. 1850 nel VII collegio di Genova, il M. si legò particolarmente al gruppo cavouriano intervenendo alla Camera più volte in qualità di relatore della commissione sul bilancio, passivo, della Marina. Il 5 febbr. 1850 fu insignito del titolo di commendatore dell’Ordine Mauriziano. Nel gennaio del 1851 contrasse nuovo matrimonio con Maria Luisa Flavia Canera di Salasco, figlia del generale Carlo, legame destinato però a segnare negativamente la vita del Martini.
Tra i sostenitori del connubio Cavour-Rattazzi, tra l’agosto e l’ottobre del 1852 fu al centro dell’attenzione pubblica allorché accompagnò U. Rattazzi a Parigi per la visita all’imperatore Napoleone III. Nel 1853, colpito dal sequestro dei beni da parte dell’Austria, il M. si trovò, anche a causa della condotta della moglie, in gravi difficoltà economiche. L’appoggio di C. Benso conte di Cavour alla sua intensa attività nel campo degli affari non bastò a distoglierlo da una scelta drastica quanto grave: deluso probabilmente dalla propria marginalità politica e dai problemi familiari – il 20 dic. 1853 la curia arcivescovile di Torino aveva annullato il matrimonio – nel 1854 decise infatti di rimpatriare prestando giuramento all’imperatore austriaco dopo avere rinunciato alla nazionalità sarda. Quel gesto, destinato a macchiare per sempre la sua reputazione, provocò profonda amarezza negli ambienti liberali e fu vissuto come un tradimento dagli esuli.
Ritiratosi a vita privata, il M. frequentò il salotto parigino della sorella Emilia, moglie del conte L. Taverna. Nel gennaio del 1859 riprese i contatti con Cavour che lo incaricò di fornirgli notizie sulle forze nemiche stanziate nel Cremasco. Dopo l’annessione della Lombardia il M. fondò a Crema, a proprio sostegno politico, un’associazione di liberali, il Circolo patrio, e un gazzettino, l’Eco di Crema.
Legatosi politicamente a U. Rattazzi, fu eletto deputato nei collegi di Crema e Soresina dalla VII alla X legislatura.
Il M. morì nella villa di San Bernardino il 24 apr. 1869.
Fonti e Bibl.: Le carte del M. sono conservate presso il Museo del Risorgimento di Milano. M. Minghetti, Miei ricordi, II, Torino 1889, p. 6; M. Castelli, Carteggio politico, a cura di L. Chiala, I-II, Torino 1890-91, ad indices; Carteggio Casati-Castagnetto, a cura di V. Ferrari, Milano 1909, passim; V. Gioberti, Epistolario, a cura di G. Gentile - G. Balsamo-Crivelli, VIII-IX, Firenze 1927-37, ad indices; P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, I, Roma 1944, pp. 11*-13*, 18*-30*, 7, 21; G. Massari, Diario dalle cento voci (1858-1860), a cura di E. Morelli, Bologna 1959, ad ind.; Carteggio politico inedito di Michelangelo Castelli con Domenico Buffa (1851-1858), a cura di E. Costa, Santena 1968, ad ind.; C. Cavour, Epistolario, VII (1850), a cura di R. Roccia, Firenze 1982; VIII (1851), a cura di C. Pischedda - C. Rivolta, ibid. 1983; IX (1852), a cura di C. Pischedda - R. Roccia, ibid. 1984; X (1853), a cura di C. Pischedda - S. Spingor, ibid. 1985; XI (1854), a cura di C. Pischedda - M.L. Sarcinelli, ibid. 1986; XVI (1859), a cura di C. Pischedda - R. Roccia, ibid. 2000; XVII (1860), a cura di C. Pischedda - R. Roccia, ibid. 2005, ad indices; C. d’Azeglio, Lettere al figlio, 1829-1862, a cura di D. Maldini Chiarito, Roma 1996, II, pp. 1123, 1127, 1144, 1146; M. d’Azeglio, Epistolario, a cura di G. Virlogeux, V, Torino 2002, ad ind.; L. Chiala, I preliminari della prima guerra d’indipendenza italiana, in Riv. storica del Risorgimento italiano, II (1896), pp. 393 s.; C. Pagani, Uomini e cose in Milano dal marzo all’agosto 1848, Milano 1906, passim; C. Spellanzon, Storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, III, Milano 1936, pp. 906 s.; R. Cessi, La missione Martini a Venezia nel giugno 1848, in Arch. veneto, s. 5, LXXXII (1953), vol. 50-51, pp. 139-154; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, II-III, Roma-Bari 1977-84, ad indices; G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, III, Milano 1979, pp. 168-170, 173, 175 s., 185, 372 s.; F.S. Benvenuti, Diz. biografico cremasco, Crema 1888, pp. 185-190; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, pp. 631 s.; Storia di Milano, XIV, Milano 1960, ad ind.; V. Spreti, Enc. stor. nobiliare italiana, App., II, p. 275.