L'AURORA, Enrico Michele
La sua biografia è lacunosa e per molti versi oscura fino alla metà del 1796; le notizie, dovute quasi solo al L. stesso, non sono sempre convincenti ed è arduo riscontrarle. Affermò di esser nato a Roma, senza indicare la data (probabilmente fra il 1760 e il 1764), da un'antica famiglia che avrebbe vantato titoli sul Ducato di Castro e Ronciglione. Scomparsi i genitori, dall'età di sette anni sarebbe stato allevato da uno zio in Spagna e in Francia (in località non specificate), restandovi per diciotto anni. In questo periodo avrebbe a lungo esercitato "la mercatura" recandosi, oltre che in molti paesi europei, in Africa e in particolare in Marocco. Rivelò poi di avere abbracciato con decisione le idee rivoluzionarie nel 1789 e di esser entrato in contatto con personaggi quali V. de Riqueti conte di Mirabeau, A. Caritat marchese di Condorcet, B. Barère de Vienzac e L. Carnot. Aspirava soprattutto a vedere abbattuto il governo pontificio, a lui particolarmente inviso.
Si tratta, come si vede, di dati estremamente vaghi e approssimativi, che diventano meno incerti, se non ancora soddisfacenti, solo dal febbraio 1793, allorché si recò a Nizza, occupata dai Francesi dell'Armée d'Italie comandata dal generale A.-L. de Gontaut già duca di Biron. Probabilmente in accordo con l'agente francese a Genova, J. Tilly, il L. pubblicò nel marzo una serie di manifesti che, richiamandosi ai valori dell'antica Repubblica romana, inneggiavano alla liberazione dell'Italia con legioni da lui comandate e composte essenzialmente di italiani.
Era, cosa non inconsueta in L., un progetto incerto e fumoso, nel quale tuttavia, considerati i tempi, sono da cogliere l'affermazione del principio dell'unità territoriale della penisola e l'idea della sua realizzazione con forze autoctone. Il piano fu sottoposto, con lettera del 27 apr. 1793, "ai cittadini Grégoire e Jagot", rappresentanti del governo francese a Nizza, e a esso aveva accennato pure il patriota napoletano P. Matera in una lettera del 7 dello stesso mese, definendolo impresa "grande" anche se "di difficile esecuzione".
Il 30 agosto il L. era attivo, come esperto militare, nel Comitato di salute pubblica di Nizza, del quale facevano parte pure F. Buonarroti e G.A. Ranza. Nel maggio 1794, sempre a Nizza, fu brevemente in carcere per tentata corruzione dell'autorità militare. L'accusa, mossa probabilmente ad arte dai fornitori dei quali il L. denunciava continuamente i soprusi, non ebbe seguito ed egli rimase nella città, dove acquistò anche un podere.
Nel novembre 1795 si trasferì a Parigi, dove, a suo dire, si trattenne nove mesi, presentando memoriali e progetti al Direttorio soprattutto in previsione di una spedizione in Italia e della sua futura riorganizzazione. Nell'agosto 1796 raggiunse Milano, divenendo uno dei protagonisti della nuova stagione politica aperta dall'arrivo di Napoleone Bonaparte. Unitario, repubblicano, vicino ai principî della democrazia sociale, il L. si richiamò decisamente al giacobinismo. Il 16 settembre invitò i cittadini di Reggio Emilia, liberatisi con le sole loro forze dal governo estense, a convocare una Costituente nazionale per decidere il futuro della penisola, mentre il successivo 14 novembre guidò una manifestazione a Milano volta a proclamare la sovranità del popolo. Scontò per questo otto giorni di prigione, comminatigli dall'autorità francese.
Intanto veniva precisando i suoi intenti politico-culturali in infervorati discorsi nel Circolo costituzionale di Milano, alcuni dei quali dati alle stampe (Un repubblicano che fu nobile ai ex-nobili di Milano; Indirizzo sopra l'aristocrazia e i mali attuali dell'Italia; Trattato sopra la necessità di confiscare i beni della Chiesa e di riformare il clero), e nel volume All'Italia nelle tenebre L'Aurora porta la luce, certamente il suo testo più significativo, uscito, sempre a Milano, nel novembre 1796.
L'opera si divide in due parti: nella prima, una lunga cosmogonia, di probabile origine massonica, evidenziava lo stato di sopraffazione e violenza in cui, per secoli, erano stati costretti a vivere gli esseri umani e si concludeva con l'auspicio che la rivoluzione di Francia riproponesse la mitica "età dell'oro" della quale da secoli si erano perdute le tracce. Nella seconda da un lato precisava i termini del progetto nazionale del L. (repubblica unitaria divisa in otto dipartimenti, con Roma capitale), dall'altro prefigurava una costituzione europea fondata sui principî di libertà e uguaglianza, frutto di un accordo fra gli Stati nazionali che avrebbe dovuto assicurare una "pace perpetua". Il L. affrontava anche, in verità in termini tutt'altro che espliciti, la materia religiosa, dichiarandosi nella sostanza favorevole a un deismo popolare decadario (con festività religiosa ogni dieci giorni). Totale era ancora una volta la sua condanna del cattolicesimo, responsabile della decadenza e della servitù in cui era precipitato il popolo italiano.
Sul finire del 1796 fu costretto a lasciare Milano, ormai inviso alle autorità francesi per le sue critiche (aveva scritto che Bonaparte era "un uomo avido e debole", asservito agli interessi dei conservatori). Si stabilì allora a Bologna, da dove fu nuovamente costretto ad allontanarsi, recandosi a Firenze (marzo 1797), Ancona (aprile) e Cesena (luglio). Infine, con la proclamazione della Cisalpina, rientrò per breve tempo a Bologna e Milano, dove gli fu negata la cittadinanza. Le continue difficoltà e delusioni non scalfirono minimamente i suoi ideali rivoluzionari e, anzi, il L. continuò a battersi con fervore, in ogni circostanza, per un radicale mutamento della società italiana in senso democratico e repubblicano.
Nel febbraio 1798 entrò in Roma al seguito delle truppe francesi del generale L.-A. Berthier, dando così seguito al disegno di fare della città il centro dell'"Italia rigenerata". Ma neppure un mese dopo, moderatore della giacobina Società degli emuli di Bruto, le autorità francesi lo espulsero dalla città. Si ritirò allora a Ronciglione, da dove inviò una serie di memoriali al Direttorio francese, sia su temi inerenti all'appena sorta Repubblica Romana (per la quale auspicava una politica molto più incisiva sul piano economico-sociale e in senso anticlericale), sia proponendo articolati progetti sul futuro assetto dell'Italia e dell'Europa. In uno precisò l'intendimento delle sue reiterate richieste di rendere autonomi i territori dell'antico Ducato di Castro e Ronciglione: voleva costituire una sorta di nuova San Marino, centro di organizzazione e propaganda per la futura rivoluzione italiana e insieme asilo per i patrioti di tutta l'Italia costretti ad abbandonare i paesi d'origine per ragioni politiche.
Scampato a fatica (novembre 1798) alla grave insorgenza che coinvolse Ronciglione e il suo territorio, approdò poco dopo nel corpo di spedizione francese del generale E. Championnet, con il quale entrò a Napoli. Scarse sono le notizie sul suo operato in quella città fino alle fasi finali della Repubblica Napoletana, allorché divenne comandante di Castel dell'Ovo, assediato per mare dalle forze inglesi e per terra da quelle organizzate dal cardinale F. Ruffo.
Il 19 giugno fu tra i firmatari della capitolazione, che garantiva l'immunità ai patrioti che avessero abbandonato le difese. Per il mancato rispetto dell'accordo (consegnato Castel dell'Ovo agli Inglesi il 26 giugno, il L. rimase bloccato nella rada di Napoli, come gli altri patrioti, sulle navi che dovevano trarli in salvo), il 1° luglio 1799 inviò una vibrata protesta al diplomatico napoletano A. Micheroux, parlando di "eterna infamia" per i traditori della capitolazione. Il 9 seguente ne inviò un'altra a H. Nelson, accennando anche a gravi problemi di salute. Tuttavia scontò quasi due anni di durissima detenzione, rimanendo per un lungo periodo in catene. Fu liberato nel marzo 1801 in seguito alla pace di Firenze tra la Francia e il Regno di Napoli, che prevedeva il rilascio dei prigionieri politici.
Il L. si recò allora a Milano, capitale della ricostituita Cisalpina, chiedendo a più riprese un impiego nell'esercito. Dopo esitazioni fu nominato (aprile 1801) membro del Consiglio di revisione della Divisione cisalpina, ma lì rimase per poco perché nella riorganizzazione delle truppe della Repubblica nel settembre-ottobre, che escluse incarichi a "cittadini esteri", non fu riconfermato. Ottenuto un discreto sussidio, si ritirò a vivere a Reggio Emilia assumendo, probabilmente per ragioni settarie, il nome di Amaranto ("colui che non si spezza") Aurora. Ai primi di agosto 1802, scoppiati i moti di Bologna, fu arrestato con l'accusa di essere uno dei fomentatori; fu presto prosciolto, ma rimase in carcere, perché subito dopo gli fu intentato un processo per cospirazione contro Napoleone Bonaparte presidente della Repubblica Italiana. Pendevano su di lui la testimonianza di un capobrigata polacco, che lo indicava come fondatore di una loggia massonica il cui fine era la cacciata dei Francesi dall'Italia e come autore di alcune scritte rinvenute sulle pareti della sua modesta stanza d'abitazione a Reggio Emilia, ostili a Bonaparte e inneggianti a P.-D. Toussaint-Louverture, che si batteva contro i Francesi per l'indipendenza di Santo Domingo. Al processo, svolto a Modena per circa dieci mesi, non emerse alcuna prova a suo carico, ma gli fu intimato di lasciare i territori della Repubblica Italiana. Il 15 maggio 1803, come risulta da un verbale redatto presso il confine di Monteperpoli in Garfagnana, il L. varcò la frontiera verso la vicina Repubblica di Lucca. Il motivo del suo allontanamento va ricercato soprattutto nell'ostilità che per lui nutriva F. Melzi d'Eril, vicepresidente della Repubblica Italiana, che lo considerava uno dei più pericolosi giacobini ancora in circolazione e temeva sue possibili azioni.
Alla fine di novembre 1803 era a Firenze, dove inoltrò una petizione a G. Tassoni, incaricato d'affari della Repubblica Italiana presso il Regno d'Etruria, perché ne facesse partecipe Melzi, nella quale chiedeva, in nome dei suoi meriti di combattente, di essere riammesso nei territori dai quali era stato allontanato. L'istanza, come ampiamente prevedibile, non fu accolta.
Non si hanno più notizie del L. fino al giugno 1809, allorché fu tra i componenti di un "Corpo di volontari scelti di Napoli", organizzato con decreto del 16 giugno 1809 da Gioacchino Murat re di Napoli, per timore di una rivolta popolare in caso di un possibile sbarco inglese. Scampato il pericolo, tale corpo fu disciolto il successivo 31 luglio.
Da questo momento le sue tracce si perdono; non sono noti né suoi ulteriori spostamenti né la data e il luogo della morte.
Una scelta di testi e di documenti si trova nel volume E.M. L'Aurora, Scritti politici e autobiografici, a cura di P. Themelly, Roma 1992.
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