MINUTOLO, Enrico (Arrigo)
– Esponente di rilievo dell’omonima famiglia napoletana, nacque nella seconda metà del XIV secolo.
Il nome della famiglia è stato sempre associato nella memoria dei genealogisti a quello dei Capece, di cui i Minutolo erano un ramo già ben delineato nella prima età angioina. Tra le varie interpretazioni sulla derivazione del cognome (cfr. Visceglia, pp. 147-151; Vitale, pp. 103-107), la più accreditata sembra quella per cui esso avrebbe tratto origine da uno dei soprannomi che contraddistinguevano, già in epoca angioina, le famiglie derivate dal ceppo dei Capece («Philippus archiepiscopus filius domini Landolfi Capice dicti Minutuli» recita l’iscrizione sul paliotto dell’altare eretto dall’arcivescovo Filippo Minutolo nella cappella di famiglia nel duomo di Napoli, riutilizzato nel monumento sepolcrale dello stesso che il M. fece poi erigere). Nella documentazione successiva, relativa al periodo in cui fu attivo il M., la forma cognominale assoluta Minutolo è costantemente presente.
Il decollo socio-politico del lignaggio è certo da individuare nella prima fase angioina del Regno, periodo in cui famiglie dell’aristocrazia napoletana occuparono, attraverso esponenti propri e delle famiglie con le quali erano imparentate, uffici locali, ma anche regionali (secrezie, giustizierati), dislocati in settori e a livelli diversi, con la possibilità, quindi, di controllare contemporaneamente spazi di potere politico-amministrativo sull’intero territorio del Regno (Vitale, pp. 232-238, e passim).
Nell’età durazzesca, nella quale si colloca la vicenda del M., la fisionomia del lignaggio conferma le connotazioni che l’avevano caratterizzata nel periodo precedente: percorsi burocratici e acquisto di possessi feudali. Durante le lotte dinastiche tra Angioini e Durazzeschi, sullo sfondo dello scisma, la famiglia utilizzò le alterne fasi d’intesa e conflitto tra le due dinastie e i papi collegati alla élite napoletana, nonché il loro nepotismo, per consolidare le proprie posizioni. Martuccello detto Tamburno (padre di Princivallo, Giovanni, Francesco ed Enrico), miles e familiaris di Giovanna I, nel 1382-83 fu giustiziere di Terra di Bari; negli stessi anni Ursillo fu castellano; Bernabò nel 1394-95 fu collettore pontificio in Portogallo; Princivallo, uno dei figli di Martuccello, familiaris e camerarius sotto Ladislao, nel 1400 era titolare di Giugliano. Numerosi altri membri della famiglia Minutolo compaiono ai vari livelli della gerarchia politica ed ecclesiastica del Regno ed ebbero un ruolo rilevante (Cutolo, pp. 57, 164, 178, 286 s., 487; Vitale, p. 235).
Nel campo ecclesiastico, nella prima età angioina dalla famiglia erano già emerse le personalità del citato Filippo (morto nel 1301), arcivescovo di Napoli, che svolse anche importanti ruoli al servizio della monarchia, e quella di Urso, arcivescovo di Otranto e poi di Salerno.
Se nel Regno i Minutolo ebbero posizioni rilevanti anche per effetto dell’influenza esercitata attraverso il «familismo» pontificio, soprattutto nella fase in cui le sorti dei papi romani furono condizionate dagli interventi di Ladislao di Durazzo, nella Curia romana compaiono numerosi esponenti della famiglia, come risulta dai regolari pagamenti dei quali erano destinatari nell’affollato gruppo dei «nipoti napoletani» (Esch, 1972, p. 767). Questi, tra i quali il M., ebbero a Roma loro residenze, nelle quali si circondarono di corti che furono al centro di maneggi politici, nella zona tra l’attuale piazza Navona e Campo dei Fiori. Il M. abitava «in Parione», presso la chiesa di S. Benedetto Sconchi.
Il nepotismo dei papi napoletani ebbe momenti di più accentuata intensità sotto i pontificati di Urbano VI e Bonifacio IX, per poi attenuarsi con Giovanni XXIII. Durante il pontificato di Bonifacio IX si possono elencare una cinquantina di Tomacelli, nonché una folta schiera di Brancaccio, Cossa, Filomarino, Carbone, Minutolo, Vulcano, Caracciolo, Tortelli, che ottennero benefici e furono posti a controllare uffici importanti e al governo di città pontificie, proiettando fuori dei confini del Regno la circolazione dell’élite burocratica napoletana. Riguardo poi alle prese di posizione politiche di tale vasta formazione di «nipoti», essa assunse comportamenti solidali (cfr. Esch). Anche la composizione del Collegio cardinalizio rifletté tale linea politica.
L’attività del M. si svolse nel tormentato contesto del grande scisma, e le oscillazioni delle posizioni di Giovanna I, e di Carlo III e Ladislao di Durazzo nei confronti dei papi e antipapi che si susseguirono dal 1378 al 1415 ebbero come effetto che alle contrapposizioni delle diverse obbedienze pontificie corrispondessero a Napoli, di volta in volta, nomine arcivescovili riconosciute o respinte da schieramenti ecclesiastici interni o esterni al Regno, oltre che dalle fazioni politiche collegate alle lotte dinastiche per il controllo della Corona, che si erano accese già durante il regno di Giovanna I tra i vari rami della casa d’Angiò, e si complicarono con coinvolgimenti internazionali.
Nel 1382-83 il M. fu vescovo di Bitonto e poi, dal 1383 al 1389, arcivescovo di Trani. A settembre del 1389, dopo la morte di Niccolò Zanasi (1385-89), in una realtà turbata da conflittualità e incertezza di riferimenti ecclesiastico-amministrativi, fu nominato arcivescovo di Napoli da Urbano VI, suo congiunto, poco prima della morte di questo (15 ott. 1389); alla cattedra napoletana, di cui non prese mai possesso, rinunciò nel 1400. Il 18 dic. 1389, nella prima tornata di nomine cardinalizie effettuate da Bonifacio IX (Pietro Tomacelli), anch’egli suo parente, fu elevato alla dignità di cardinale prete del titolo di S. Anastasia, dignità che dal 1385 era stata ricoperta dallo stesso Tomacelli fino alla sua elevazione al soglio pontificio. Sempre da Bonifacio IX nel 1405 fu nominato cardinale vescovo di Tuscolo, dignità che ricoprì fino al 1409, quando fu nominato cardinale vescovo di Sabina. L’attività del M. si concretizzò soprattutto nella collaborazione all’energica opera di riassetto politico-amministrativo dello Stato pontificio portato avanti da questo papa. Fu legato pontificio in varie città: Bologna, Ferrara, Forlì, l’Esarcato di Ravenna, «quibus urbibus edidit aliquot constitutiones» (Chioccarelli, p. 250; Chacón, p. 705). Svolse, inoltre, delicati ruoli politico-diplomatici nella drammatica dialettica tra le fazioni politiche ed ecclesiastiche che dividevano la Chiesa, impegnandosi per il suo superamento. Alla morte di Bonifacio IX (1° ott. 1404), partecipò con il gruppo dei «nipoti» napoletani Francesco Carbone, Rinaldo Brancaccio, Landolfo Maramaldo al conclave che si riunì il 12 ottobre e dal quale uscì eletto Innocenzo VII (17 ottobre).
Tra il M. e Innocenzo VII intercorrevano ottimi rapporti, come testimoniano, tra l’altro, gli interventi di questo in suo favore a proposito della cappella di S. Pietro dei Minutoli nel duomo di Napoli. Da Viterbo, nel marzo 1405, richiamandosi alla concessione di uno spazio nella cattedrale tra questa cappella e quella di S. Aspreno, nonché di un’area sotterranea da destinare a sepolcro ipogeo, il papa precisò che tale disponibilità di spazio era riservata esclusivamente, secondo il desiderio del M., alla sepoltura di quest’ultimo, dei suoi fratelli, cognati e affini, a sua discrezione. Il papa riservò inoltre al M. «in perpetuum» lo «ius praesentandi» dei presbiteri addetti all’altare e lo «jus patronatus». Sempre da Viterbo, pochi giorni dopo, volendo dimostrare la considerazione in cui teneva il M., concesse l’indulgenza plenaria a coloro che, dopo essersi confessati, avessero visitato la cappella a Natale e nella festività di S. Pietro. L’11 marzo 1410 il M. dotò la cappella di possedimenti agricoli e case i cui proventi dovevano destinarsi al mantenimento di quattro sacerdoti tenuti a officiarvi a turno due messe al giorno e l’anniversario della morte del M., il quale indicava i fratelli Barnaba e Giacomo e i loro legittimi discendenti maschi, e in loro estinzione gli eredi a essi più prossimi, sempre nella linea maschile, come titolari del diritto di designazione dei sacerdoti stessi (Chioccarelli, p. 251; Chacón, col. 705).
Nel 1408, durante il pontificato di Gregorio XII, il M. ricoprì l’ufficio di camerario del Collegio dei cardinali (Chioccarelli, p. 249; Chacón, p. 705; Esch, 1969, p. 138). Nel complesso e mutevole quadro delle trattative condotte dai potentati politici e dagli schieramenti ecclesiastici per la cessazione dello scisma, il M. insieme con i napoletani Corrado Caracciolo e Angelo de Anna, nonché con Giordano Orsini che gli era succeduto sulla cattedra napoletana (1400), seguì Gregorio XII a Siena e vi rimase dal 3 sett. 1406 al 23 genn. 1407, portando avanti, sia pure senza risultato, trattative per la cessazione dello scisma. Tale sia pur vano tentativo e la presenza a Siena di Gregorio XII e di dodici cardinali, tra i quali il M., vennero ricordati in una lastra marmorea collocata in una parete della cattedrale, nella quale furono scolpiti i nomi e gli stemmi dei partecipanti al convegno (Chacón, p. 706; Ughelli - Coleti, III, col. 568).
Le fonti serbano traccia della vivace personalità del Minutolo. In fonti tedesche è definito «der lachende Heinrich nominatione curtisanorum» (Esch, 1972, p. 743). Nelle concitate riunioni delle contrapposte fazioni ecclesiastiche (legate rispettivamente a Benedetto XIII e a Gregorio XII) il M. s’impegnò con determinazione per il superamento della divisione all’interno della Chiesa e, pur essendo stato a lungo restio ad abbandonare la causa di Gregorio XII, cambiò nettamente posizione; di fronte alle tergiversazioni di questo a rinunciare definitivamente alla tiara, avrebbe esclamato furibondo: «Voi volete distruggere la Chiesa!» (Delaruelle - Ourliac - Labande, p. 194).
Sulle sue scelte di schieramento dovette certo influire la pressione esercitata dai cardinali napoletani Rinaldo Brancaccio e Corrado Caracciolo; questi da Pisa si recarono appositamente a Lucca dove il M. e de Anna si trattenevano al seguito di Gregorio XII, e li convinsero a dirigersi a Pisa per partecipare al concilio che vi si aprì il 25 marzo 1409 e che pronunciò la sentenza di deposizione sia di Gregorio XII sia di Benedetto XIII (5 giugno 1409; cfr. Esch, 1972, p. 767). Nel conclave che seguì, il M. sostenne l’elezione (avvenuta il 26 giugno 1409) di Pietro Filargo (Alessandro V), dal quale fu investito, quello stesso anno, della carica di cardinale vescovo di Sabina. A questa dignità riteneva, però, di avere ancora diritto un seguace dell’antipapa Benedetto XIII, che ne era stato da lui insignito, e cioè il francese Pierre Gérard, cardinale del titolo di S. Pietro in Vincoli (1390), vescovo di Lodève (1382-84), poi (1385-86) di Le Puy en Vélay e nel 1386 di Avignone (Gams, pp. 504, 568, 604). Per evitare che anche questa vertenza alimentasse la conflittualità tra le contrapposte fazioni, Alessandro V confermò il vescovado di Tuscolo all’antagonista del M. e investì questo di quello di Sabina (Ughelli - Coleti, I, col. 178), al momento vacante, essendo morto nel 1405 il suo titolare, il cardinale Francesco Carbone, anch’egli napoletano. Il M. era nel gruppo dei 19 cardinali che giunsero a Bologna con Alessandro V nel gennaio 1410, e dalle cronache bolognesi (Corpus Chronicorum Bononiensium), che lo definiscono «monsignore di Napoli», apprendiamo che risiedette con il papa nel vescovado, insieme con Baldassarre Cossa (allora legato a Bologna) e con il cardinale Corrado Caracciolo, vescovo di Mileto. La medesima fonte annota che, morto Alessandro V, Baldassarre Cossa, subito dopo la sua elezione al soglio pontificio con il nome di Giovanni XXIII (14 marzo 1410), conferì al M. la funzione di legato che egli stesso fino ad allora aveva svolto.
La Cronaca A (confermata dalla Cronaca Bolognetti, 537) al 12 marzo 1411 annota che «monsignore de Napoli fu chazato de Bologna, et fu in martedì a hore undese» e la Cronaca B conferma la notizia della rivolta, del saccheggio del vescovado, della cattura del legato e del suo trasferimento a Firenze.
A questo proposito va rilevato che l’editore della fonte (Sorbelli) identificò nel «monsignore di Napoli» non il M., ma il vescovo di Mileto Corrado Caracciolo, che invece nel medesimo elenco dei 19 cardinali al seguito di Alessandro V viene definito correttamente «monsignore de Meleto», la cui morte la stessa cronaca, d’altronde, annota al 5 febbr. 1411. Né la confusione d’identità può essersi verificata con il cardinale napoletano Rinaldo Brancaccio, perché questi nella cronaca è detto «monsignore de Brancazo».
Il M. morì a Bologna il 17 giugno 1412 (il Liber anniversariorum Capituli Neapolitani annota appunto in tale data la celebrazione dell’anniversario della sua morte: cit. in Chioccarelli, p. 252). Il suo corpo fu trasportato a Napoli, dove riposa nel duomo, nel grandioso monumento fatto erigere nella cappella Minutolo.
La monumentale tomba è priva di epigrafe, e su data e luogo di morte del M. c’è discordanza nella storiografia ecclesiastica erudita. Secondo Chioccarelli (ibid.) e Marracci (p. 199), morì a Bologna il 17 giugno 1412, così anche secondo la Hierarchia catholica. Garimberto lo dice morto nel 1412 a Roma e sepolto in S. Pietro. In Ughelli - Coleti (VI, col. 140) dove si tratta dell’arcivescovado napoletano lo si indica morto il 17 giugno a Bologna nel 1412; ma dove si tratta del M. come vescovo di Sabina (I, col. 177) l’indicazione è Roma 1412; mentre in Chacón risulta Roma 1417, dati accolti in Gams (pp. XIV, XX, per Sabina e Tuscolo).
L’attività del M. si svolse sempre lontano da Napoli, ma nonostante questo egli lasciò il segno in varie opere monumentali di rilievo della città, all’interno di un importante programma di edilizia ecclesiastica, in cui l’iconografia rivela l’intento di esaltare la sua personalità e il rapporto che la sua famiglia aveva con i Durazzo.
Dopo l’ingresso in Napoli (10 luglio 1399) di Ladislao di Durazzo vittorioso sull’Angioino, la situazione della Chiesa napoletana restò ancora confusa. Morto nel 1398 l’arcivescovo scismatico Guglielmo Andronis, meglio noto come Vascone (sulla cui attività la storiografia erudita ha dichiarato molte incertezze; per la ricostruzione della sua personalità cfr. Ambrasi, p. 478), che aveva accolto Luigi II d’Angiò e il legato pontificio a Napoli, nel 1399 Benedetto XIII, successore del papa avignonese Clemente VII, aveva collocato sulla cattedra napoletana Nicola Pagano, abate commendatario del monastero dei Ss. Severino e Sossio di Napoli. Questi, tuttavia, governò mediante vicari e, con l’affermazione di Ladislao di Durazzo e la perdita dell’appoggio di Luigi II d’Angiò, passando all’obbedienza romana, cercò di ottenere, con il sostegno del proprio influente fratello Galeotto Pagano, gran siniscalco e maresciallo del Regno, la conferma da Bonifacio IX della collazione precedentemente ricevuta (Parascandolo, che nell’app. I, n. 4 riporta da Chioccarelli, p. 257, un diploma di Ladislao «pro securitate pseudo-archiep. Nicolai Pagani»). In effetti il progetto non sembra aver avuto un seguito, ma Pagano ottenne la sede di Bari, lasciando Napoli, dove, peraltro, Bonifacio IX aveva inviato il veneziano Angelo Correr (patriarca di Costantinopoli, poi papa Gregorio XII), sulla cui precisa funzione la storiografia avanza ipotesi, ma che certamente doveva gestire il delicato compito di pacificare gli animi e curare le procedure per reintegrare nell’obbedienza romana coloro che volessero ritornarvi.
Nel 1400, il M. – sempre titolare della carica e di obbedienza romana – rinunciò alla sua dignità, e Bonifacio IX nominò come successore Giordano, della famiglia Orsini, che era fratello del prefetto di Roma e figlio del senatore Giovanni. Giordano godé di notevole prestigio presso il papa e ottenne privilegi per il casale di Afragola. Chiamato da Innocenzo VII nel giugno 1405 a far parte del Collegio cardinalizio con titolo di S. Silvestro e S. Martino ai Monti, rassegnò quindi la Chiesa napoletana. La documentazione rivela dunque che nel 1406, anno di datazione del portale del duomo, la sede napoletana era vacante ed era governata da vicari capitolari; da un atto dell’11 luglio risultano tali il primicerio Giovanni Sirralione di Aversa e Angelo Capece Varavallo, un canonico prete della chiesa di S. Maria de Sole et Luna (Chioccarelli, p. 263). Solo per il 1407 e fino al 1409 abbiamo notizia (ibid., p. 265; Ughelli - Coleti, VI, col. 141) della presenza del successore Giovanni (quando Ladislao aderiva all’obbedienza di Gregorio XII), del quale non si sa molto; sembra, comunque, che potesse governare la sua Chiesa senza ostacoli.
Se questo era il quadro della realtà ecclesiastica napoletana negli anni in cui si erigevano le opere finanziate dal M., c’è da supporre che fosse soprattutto la sua famiglia a impegnarsi perché le iniziative monumentali del congiunto potessero realizzarsi, nel periodo della titolarità dell’Orsini e in quello immediatamente contiguo. Una prova dell’interesse della famiglia all’autorappresentazione attraverso opere architettoniche (che, d’altronde, già si era manifestata con l’erezione dei monumenti sepolcrali degli altri due arcivescovi Filippo e Urso e con la realizzazione della cappella nella sua prima struttura) è costituita dalla disseminazione dello stemma del lignaggio associato a quello dei Durazzo, a testimonianza della devozione politica alla dinastia, sulle opere finanziate dal M.: sull’architrave del portale, tra le edicole delle figure dei santi che lo decoravano, alla sommità dell’ogiva e della ghimberga, sugli architravi dei portali laterali (Strazzullo, pp. 58-61). Lo stemma del M. (che, sulla base del piano superiore del prezioso reliquario architettonico a forma di ostensorio da lui commissionato e attualmente nel Museo del Tesoro di S. Pietro in Vaticano, presenta uno scudo d’azzurro al leone rampante controvaiato di bianco e d’argento) è collocato anche sul suo monumento funerario, sulla mensa dell’altare a esso incorporato, ai lati della scultura che ne decorava la parte superiore (la Vergine in trono con il Bambino e i dodici apostoli), nonché sul ricostruito edificio arcivescovile e sul «parvum sacellum» dedicato alla Trinità (oggi cappella delle Reliquie) nella cattedrale, dove lo scudo è decorato del galero cardinalizio. Il M. commissionò anche un altare dedicato a s. Pietro e un altare portatile che portava con sé nei suoi spostamenti e che poi donò alla cappella dei Minutolo. Al M. si deve inoltre la committenza ad Antonio Baboccio (che probabilmente egli conobbe durante la sua attività nell’Italia settentrionale) di quella che, a partire da Luisa Becherucci, la storiografia artistica (Aceto) considera la ristrutturazione del portale, opera di Tino di Camaino del duomo di Napoli; provvide, inoltre, al restauro del palazzo arcivescovile (opere che si resero necessarie a causa dei dissesti prodotti da un terremoto), nonché all’erezione del proprio monumento funerario nella cappella Minutolo (Sersale; Di Stefano, pp. 193-200, 211; Vitale, pp. 234 s.), nella quale già erano stati collocati i sepolcri dell’arcivescovo di Napoli Filippo e dell’arcivescovo di Salerno Urso. Alla sua iniziativa si deve inoltre l’ampliamento della cappella stessa, documentato, oltre che dagli studi sulle strutture esistenti, anche dalle testimonianze ricordate, nonché da un atto del 1402 con il quale un gruppo di parenti (Percivallo, Giovanni e Francesco, figli ed eredi di Martuccello) concesse al M., e per lui, assente, a Isabella Romano, moglie di Carlo Minutolo, procuratrice, il permesso di ampliare la cappella della famiglia, di costruire la tribuna e in essa l’altare e la propria sepoltura (Fraschetti). Nell’operazione di ristrutturazione della cappella è evidente la volontà di esaltare la personalità del M. anche all’interno del lignaggio. Il suo monumento funebre domina, infatti, la prospettiva, e la sua mole si erge grandiosa tra i sepolcri di Filippo e Urso. L’apparato scultoreo del portale del duomo e quello del monumento funebre contengono messaggi ideologici polisemici utili a illuminare gli atteggiamenti politico-culturali del M. (cfr. Bock; Aceto).
La datazione e la committenza ci sono fornite dall’epigrafe del portale stesso che recita: «Nullius in longum et sine schemate tempus honoris / Porta fui, rutilans sum janua plena decoris, / Me mens et sacrae quondam Minutulus aulae / Excoluit propriis Henricus sumptibus, huius / Praesul, Apostolicae nunc constans cardo columne / Cui precor incolumem vitam post fata paerhennem / Hoc opus exactum mille currentibus annis / Quo quater et centum septem Verbum caro factum». Tra il 1400 e il 1407, con la restaurazione durazzesca, il duomo fu al centro di una vivace attività edilizia, e contemporaneamente a quello del M., come per un impegno di emulazione concorrenziale, sempre nel duomo venne eretto il monumento funerario del cardinale Francesco Carbone.
La paternità di Baboccio nella ristrutturazione del portale (non più ricostruibile con esattezza nella sua originaria ideazione tinesca) è documentata dalla iscrizione sulla tomba di Antonio Penna in S. Chiara: «Abbas Antonius Babosius de Piperno me fecit / et portam maiorem Katedralis Ecclesie Neapol». Sulle due colonne di porfido laterali, in otto edicole furono collocate sculture che rappresentavano nella parte più alta santi, vescovi e patroni della storia più antica della città, e nella parte più bassa figure di santi collegati a momenti fondamentali della carriera ecclesiastica del M. o di santi ai quali era legato da particolare devozione. Compaiono, infatti, s. Nicola Pellegrino, patrono di Trani, dove il M. era stato arcivescovo per sette anni; s. Anastasia, titolare della chiesa della quale era stato cardinale prete. S. Anastasia compare anche nella scena della commendatio animae del M. sul frontale della cassa del suo monumento funebre nella cappella Minutolo: al centro è la Natività, a sinistra la santa e s. Girolamo che raccomandano il M., a destra i santi Pietro e Gennaro, presenti anche nella lunetta del portale, dove il M., in abito cardinalizio e indossando il galero, viene presentato da s. Gennaro alla Vergine con il Bambino; figure che, in epoca di scisma, sono richiami emblematici alla Chiesa napoletana e a quella romana, e alla fedeltà a questa del M. e della sua famiglia. L’insistenza sulla figura di s. Gennaro è forse spiegabile, oltre che con il prestigio di cui il santo godeva localmente, anche con la coincidenza, pochi anni prima, del primo (o almeno del primo documentato) «miracolo» della liquefazione del sangue del martire, come annota il Chronicon Siculum incerti authoris ab anno 340 ad annum 1396 (a cura di G. De Blasiis, Napoli 1887, p. 85). Solo l’8 maggio 1412 l’arcivescovo Nicola di Diano avrebbe dedicato l’altare maggiore a s. Gennaro e all’arcangelo Michele. La cattedrale era stata dedicata alla Vergine Assunta, da cui, secondo Marracci (che nel Purpura Mariana collocò il M. tra gli ecclesiastici particolarmente devoti al culto della Madonna), l’iconografia del lunettone del portale fatto eseguire dal M.: il committente vi fece collocare la sua figura dinanzi alla Madonna col Bambino. Se da un lato la scelta delle immagini di s. Girolamo per il rilievo della cassa funeraria e di s. Tommaso d’Aquino rivelano una certa sensibilità del M. per la cultura, dall’altro la storiografia erudita discusse polemicamente proprio questo aspetto della sua personalità. Garimberto, che poneva il quesito «Se Bonifatio nono hebbe mal giuditio in dare il suo cappello a Henrico Minutolo» (p. 497), asseriva, nel profilo biografico che ne tracciò, che i contemporanei lo avevano giudicato «uno sciocco, ignorante e da poco», cosicché era da criticare Bonifacio IX che gli aveva conferito tante dignità, che, invece, la «sola felice fortuna» avrebbe procurato al Minutolo. Tali critiche vennero contestate da Chacón, che concordava con Chioccarelli, sottolineando che il M. aveva acquistato dalla Camera apostolica un quantitativo di codici per un valore di 500 fiorini, e spiegava il giudizio negativo con l’atteggiamento critico di Garimberto nei confronti di Bonifacio IX e del suo nepotismo. Il riferimento a s. Tommaso e quello a s. Pietro Martire (del quale il M. portava sempre con sé una reliquia) possono interpretarsi anche come segno della devozione del M. all’Ordine domenicano.
Fonti e Bibl.: Corpus chronicorum Bononiensium, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XVIII, 1, a cura di A. Sorbelli, pp. 533-536; G. Garimberto, La prima parte delle Vite, overo Fatti memorabili d’alcuni papi, et di tutti i cardinali passati, Vinegia 1567, l. VI, cap. V, pp. 495-497; B. Chioccarelli, Antistitum praeclarissimae Neapolitanae Ecclesiae catalogus …, Neapoli [1643], pp. 249-253; I. Marracci, Purpura Mariana seu De purpuratis patribus eminentissimis S.R.E. cardinalibus pietate in Mariam Deiparam Virginem eminentibus, Romae 1654, pp. 198 s.; A. Chacón, Vitae et res gestae pontificum Romanorum et S.R.E. cardinalium ab initio nascentis Ecclesiae usque ad Clementem IX P.O.M …, Romae 1677, II, coll. 705 s.; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra …, Venetiis 1717-22, I, coll. 178, 239; III, col. 568; VI, coll. 139 s., 259; VII, coll. 688, 909; IX, col. 59; B. Sersale, Discorso istorico della cappella de’ signori Minutoli col titolo di S. Pietro Apostolo e di S. Anastasia martire dentro il duomo napoletano, Napoli 1745, pp. 3-5, 61-66; L. Parascandolo, Memorie storiche critiche-diplomatiche della Chiesa di Napoli, IV, Napoli 1851, pp. 24-28; S. Fraschetti, Il monumento di Arrigo M., in Napoli nobilissima, XI (1902), pp. 41-52; L. Becherucci, Marmi di Tino di Camaino a Napoli, in Bollettino d’arte, s. 3, XXVIII (1934-35), pp. 313-322; D. Strazzullo, Saggi storici sul duomo di Napoli, Napoli 1955 [ma 1959?], pp. 68-71; A. Lipinsky, Un reliquario napoletano nel Tesoro di S. Pietro, in Napoli nobilissima, s. 3, II (1962-63), pp. 141-146; A. Cutolo, Re Ladislao d’Angiò Durazzo, Napoli 1969, pp. 123, 233, 243 s., 273-275, 298, 316, 343; D. Ambrasi, La vita religiosa, in Storia di Napoli, diretta da E. Pontieri, III, Napoli 1969, pp. 439-486; A. Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1969, pp. 17, 138, 379; Id., Das Papsttum unter der Herrschaft der Neapolitaner. Die führende Gruppe Neapolitaner Familien an der Kurie während des Schismas 1378-1415, in Festschrift für Hermann Heimpel zum 70. Geburtstag …, II, Göttingen 1972, pp. 723, 743 e passim; R. Di Stefano, La cattedrale di Napoli. Storia, restauro, scoperte, ritrovamenti, con documenti per la storia dei restauri, a cura di F. Strazzullo, Napoli 1975, pp. 37, 53, 60, 199 s.; E. Delaruelle - P. Ourliac - E.R. Labande, La Chiesa al tempo del grande scisma e della crisi conciliare (1378-1449), XIV, 1, ed. it. a cura di G. Alberigo, Torino 1979, pp. 194, 204; F. Aceto, Per l’attività di Tino di Camaino a Napoli: le tombe di Giovanni di Capua e di Orso Minutolo, in Prospettiva, 1988-89, nn. 53-56, pp. 134-142; M.A. Visceglia, Identità sociali. La nobiltà napoletana nella prima Età moderna, Milano 1998, pp. 141-172; N. Bock, Kunst am Hofe der Anjou-Durazzo. Der Bildhauer Antonio Baboccio (1351 - ca. 1423), Berlin-München 2001, pp. 21-66; F. Aceto, Tino di Camaino nel duomo di Napoli, in Il duomo di Napoli dal paleocristiano all’età angioina. Atti della I Giornata di studi su Napoli, Lausanne … 2000, a cura di S. Romano - N. Bock, Napoli 2002, pp. 148-155; G. Vitale, Élite burocratica e famiglia. Dinamiche nobiliari e processi di costruzione statale nella Napoli angioino-aragonese, Napoli 2003, pp. 38, 41 s., 48, 101, 103 s., 144, 232-238 (per la famiglia); V. Lucherini, La cattedrale di Napoli. Storia, architettura, storiografia di un monumento medievale, Roma 2009, ad ind.; Hierarchia catholica, I, pp. 25, 38 s.; P.B. Gams, Series episcoporum Ecclesiae Catholicae, pp. XIV, XX, 859, 934, 904 s.
G. Vitale