MISLEY, Enrico
– Nacque a Modena il 6 maggio 1801 da Luigi Maria, docente di veterinaria negli atenei di Milano, Pavia e, ancor prima di Modena, e da Teresa Baccarini. Degli altri quattro figli della coppia uno, Geminiano, entrò nell’Ordine dei gesuiti.
Nel 1818 il M. si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia (città nella quale la famiglia si era trasferita da tempo): un anno dopo fu ammesso a risiedere gratuitamente nel collegio Ghisleri di quella stessa città. Vi rimase fino all’estate del 1820 quando, due anni dopo la morte del padre, si ricongiunse con la famiglia che nel frattempo era tornata a Modena.
L’abbandono del Ghisleri e la rinuncia a proseguire gli studi nell’ateneo pavese incuriosirono le autorità lombarde che aprirono un’inchiesta di polizia per conoscerne i motivi. Fu comunque a Modena che il M. continuò gli studi e conseguì, il 14 maggio 1822, la laurea in giurisprudenza, e fu sempre lì che tre anni dopo, sposò Maria Francesca Ruffini. Dal matrimonio nacquero due figlie: Maria Teresa nel 1826 (morta nel 1828) e Anna nel 1830.
Non tardò molto perché nel M. la passione per la politica prevalesse sull’attività forense: probabilmente già negli anni degli studi modenesi (e ancor prima in quelli pavesi) era entrato in contatto con alcune delle organizzazioni segrete che in quegli anni reclutavano adepti fra gli studenti. I nuovi legami familiari, in particolare con i fratelli della sposa, Giovanni Battista e Ferdinando Ruffini, più giovani d’età, dovettero contribuire a rafforzare i suoi convincimenti e soprattutto i vincoli con gli ambienti liberali e cospirativi modenesi. Ben presto il M. si fece notare per l’esuberanza del carattere e un quasi ostentato attivismo con il quale, forte delle esperienze di vita e di studio maturate fuori dal Ducato e della frequentazione di personaggi come M. Gioia, pareva volesse quasi marcare una differenza tra la sua personalità e quella dei suoi più provinciali interlocutori.
Fu in questo contesto che il M., tra l’incredulità dei più, cominciò a farsi portatore dell’idea di un moto che avesse l’obiettivo di fare del duca di Modena, Francesco IV d’Austria-Este, il futuro capo costituzionale di una nazione italiana unificata. Nota Amorth come il solo pensiero di poter fare di uno dei più accesi e biechi principi reazionari d’Italia del tempo il capofila niente di meno che di un moto antiaustriaco «fa davvero sorridere» (p. 343). Né, del resto, nulla dell’attività di governo fino ad allora disimpegnata dal duca, tutta tesa ad annullare gli effetti delle riforme napoleoniche, avrebbe potuto rendere credibile la sua scelta per il ruolo che il M. voleva attribuirgli. Eppure i sospetti che i suoi propositi gli attirarono addosso non scoraggiarono il M. che, entrato verso il 1823 in qualche modo in contatto diretto con il duca (forse per tutelare gli interessi di alcuni conoscenti condannati a pene detentive con l’accusa di aver fatto parte della Carboneria), a partire dal 1826 diede inizio a una serie di viaggi attraverso l’Europa.
Tali spostamenti avvenivano ufficialmente per promuovere affari di natura commerciale e finanziaria di Francesco IV; in realtà il vero scopo era quello di tessere, con esuli e cospiratori italiani e stranieri, la difficile trama che il M. aveva forse già ordito con il duca. Da questo momento fino alla fine dei moti estensi del 1831 diventa arduo ricostruire con certezza i fatti, stabilire l’esatta verità degli avvenimenti e il ruolo preciso avuto dai singoli protagonisti della vicenda. Di certo nel marzo del 1826 il M. lasciò il territorio del Ducato per intraprendere, dotato di regolare passaporto rilasciatogli dalle autorità ducali, la prima delle sue innumerevoli peregrinazioni tra l’Italia e l’Europa. Dopo aver sostato a Milano, Torino e Ginevra (città nella quale il M. avrebbe incontrato Simonde de’ Sismondi e Giovanni Antonio conte di Capodistria, a quell’epoca in missione in Europa occidentale per conto dello zar), approdò infine a Parigi dove allacciò contatti con un certo numero di esuli italiani colà residenti. Fu in particolare grazie ai buoni uffici dell’esule modenese C.L. Manzini che entrò in relazione con il comitato cosmopolita, una sorta di centro di azione politica, costituito su iniziativa dei liberali francesi per portare aiuto agli insorti ellenici in lotta per l’indipendenza contro il Turco e poi estesosi fino a comprendere i liberali operanti nella penisola italiana e in quella iberica.
Nella corrispondenza intrattenuta nel corso di questi mesi con amici, familiari e confidenti il M., in spregio a ogni misura di sicurezza, non pare preoccuparsi troppo di celare i propri movimenti. Questa circostanza rafforza l’ipotesi di un suo accordo segreto con Francesco IV, ma rinfocolò sospetti e pregiudizi nei suoi confronti. Ciò non modificò il comportamento del M., che anzi a partire dal 1828 impresse nuovo vigore alla sua azione. Sembrò infatti a molti osservatori che lo scoppio di una nuova guerra tra la Russia e l’Impero ottomano (aprile 1828) e i mutamenti nell’assetto territoriale e politico nei Balcani che ne sarebbero derivati avrebbero avuto ripercussioni anche sull’Italia, tanto che nell’estate del 1828 il ministro degli Esteri del Regno di Sardegna, V.A. Sallier de La Tour formulò l’auspicio che un’eventuale espansione austriaca nell’Europa sudorientale consentisse al Piemonte di allargare i confini verso il Lombardo-Veneto. Forse in questi frangenti si rafforzarono le segrete speranze del duca Francesco IV di diventare regnante di uno Stato ben più esteso e importante del suo.
Fu comunque su queste fragili basi che la «congiura estense» prese a delinearsi. A partire dai primi mesi del 1828 il M., sempre in possesso di regolari passaporti, compì prima un lungo viaggio nel centro e del nord della penisola alla febbrile ricerca di contatti utili. Nacquero così nuovi sospetti, tanto che molti si rifiutarono di incontrarlo per paura di cadere in una trappola tesa da agenti al servizio della reazione. Nell’agosto di quello stesso 1828, da poco tornato a Modena, il M. iniziò un altro viaggio. Secondo il passaporto estense la destinazione finale avrebbe dovuto essere Edimburgo, in realtà le località toccate furono molte. Con il consenso, pare, del comitato cosmopolita di Parigi - un’altra tappa del viaggio - il M. visitò Germania, Austria, Ungheria e, secondo le missive spedite alla moglie e visionate da G. Ruffini, pare fosse riuscito ad arrivare anche a Bucarest, allora capitale del Principato di Valacchia soggetto all’Impero ottomano. Non ottenne però grandi risultati e, di ritorno in Italia, incaricò Manzini di recarsi a Londra per coinvolgere nella trama gli esuli italiani là stabiliti. Ciò avvenne tra febbraio e giugno del 1829 e consentì al M. di superare le diffidenze del comitato londinese che alla fine sembrò disposto a riconoscere in lui se non il capo, almeno l’interlocutore privilegiato di una cospirazione volta a organizzare un vasto movimento che avrebbe dovuto fare proprio di Francesco IV il re di una nuova monarchia costituzionale.
L’obiettivo reale era quello di allontanare per sempre dal trono sabaudo il pretendente Carlo Alberto per consegnarlo appunto a Francesco IV che proprio in quell’anno, in conseguenza della morte di sua madre, la duchessa Maria Beatrice d’Este Cibo Malaspina, aveva allargato i propri confini inglobando il territorio del Ducato di Massa. Né il M. né i suoi associati nel piano parvero considerare che il cancelliere austriaco K.L.W. von Metternich mai avrebbe avallato anche un semplice scambio di trono: una ragione che sembrava pregiudicare sul nascere ogni possibilità di riuscita. D’altro canto, il fatto che Manzini nell’autunno del 1829 su invito del M. avesse potuto, indisturbato, far ritorno a Modena e addirittura avere un colloquio con il duca poteva rassicurare anche i più riottosi membri del comitato di Londra della bontà degli sforzi intrapresi dal M. e della serietà dell’impegno assunto da Francesco IV.
L’apparente libertà di movimento di Manzini e il mai domo attivismo del M. permisero alle trame cospirative di estendersi pur nel venir meno di consistenti cambiamenti territoriali a Oriente, dopo che il 14 sett. 1829 delegati della Russia e dell’Impero ottomano firmarono ad Adrianopoli la pace che metteva fine alle ostilità lasciando del tutto immutati gli assetti territoriali del Sudest europeo.
Il M. riuscì comunque a reclutare nuovi adepti per la sua trama anche nei limitrofi domini del papa. Restava però sempre diffidenza nei suoi confronti e forse è qui l’origine dell’attentato senza conseguenze di cui fu vittima a Bologna. Certamente fu proprio in questa fase che entrò in contatto con Ciro Menotti e prima ancora con il fratello di questo, Celeste, convincendo entrambi a puntare le loro aspettative di liberali su Francesco IV. Nell’aprile del 1830 il M. si portò di nuovo a Parigi per rilanciare l’intesa e la collaborazione con il comitato cosmopolita. Fu allora che un altro fatto inatteso, lo scoppio della Rivoluzione di luglio, venne a modificare ulteriormente la situazione.
Gli avvenimenti parigini, infatti, se da un lato espulsero definitivamente dalla storia il ramo francese dei Borbone, dall’altro sembrarono al M. capaci di offrire maggiore forza alla sua azione cospirativa dal momento che influenti membri del comitato cosmopolita avevano assunto responsabilità di governo nel nuovo regime. In realtà gli avvenimenti parigini avevano fortemente colpito in senso negativo Francesco IV che di fatto, pur continuando a intrattenere rapporti sia con il M. (i due ebbero un colloquio nel mese di settembre) sia con Menotti, abbandonò definitivamente ogni idea di appoggiare o addirittura di diventare capofila di un rivolgimento liberale. Allo stesso tempo a Parigi il M. era costretto a far fronte alle critiche (non scevre da sospetti che fosse un agente del duca) sempre più insistenti che gli provenivano da quella parte degli esuli di tendenza repubblicana che con il ritorno a Parigi di F. Buonarroti (ostile a qualsivoglia intesa con i sovrani della penisola) avevano rafforzato le loro posizioni: le due parti, pur addivenendo a una sorta di compromesso di massima con la formazione di una giunta liberatrice italiana, rimasero di parere discorde su quasi tutto; nel volgere di qualche tempo gli esuli di tendenza repubblicana acquisirono un’influenza maggiore. Il M., tuttavia, sempre convinto della disponibilità del governo francese a impedire ingerenze straniere in Italia, proseguì nelle sue trame cospirative ignorando le avvertenze del gruppo repubblicano, ma giovandosi della collaborazione di Menotti che lo informava puntualmente su quanto andava facendo in vista di una insurrezione ritenuta prossima.
Ma ormai gli avvenimenti italiani lo avevano sopravanzato. Quando i suoi due inviati Manzini e Celeste Menotti arrivarono a Modena con nuove istruzioni, l’insurrezione era già scoppiata, né il M. ebbe più maniera di influire sullo svolgimento delle vicende. Non andavano meglio le cose in Francia. Sempre più isolato dalla giunta liberatrice, ormai apertamente schierata su principî repubblicani, il M. vide arenarsi definitivamente i suoi progetti innanzi alla politica del governo francese che non solo non fece nulla per evitare l’intervento austriaco in Italia centrale, ma diede alle proprie autorità di polizia precise istruzioni per bloccare un tentativo di penetrazione in territorio piemontese fatto da un gruppo di patrioti; inoltre i Francesi fermarono lo stesso M. che da Marsiglia tentava di far partire un carico di armi verso un porto italiano.
Il fallimento finale del moto insurrezionale e il tragico destino toccato in sorte a Menotti per volontà di Francesco IV, uniti a certi confusi tentativi del M. di salvargli la vita, non fecero che alimentare una sorta di leggenda nera su di lui. Mentre al suo nome era conferito un ruolo di spicco nella ricostruzione degli avvenimenti «quasi la congiura avesse avuto due attori principali: Menotti e il Duca» (Tarozzi, p. 221), lo raggiunsero giudizi non troppo lusinghieri da parte di personaggi come N. Tommaseo e G. Mazzini. Quest’ultimo in una missiva diretta a sua madre, se da un lato lo assolveva dall’accusa più infamante, di essere cioè una spia al soldo del duca, lo bollava come «un imbroglione e uomo non di veri e profondamente radicati principi» (Ed. nazionale delle opere di G. Mazzini, XII, Epistolario, V, Imola 1912, p. 345). Meno severo appare invece N. Fabrizi secondo il quale il M. era uomo «inclinato allo straordinario […] e forse quell’epoca immediata ai successi del 1821 […] si prestava più possibile ed accessibile nelle convinzioni del M. a combinazioni che anziché trarre iniziativa dallo spirito la cercassero da interessi, che offrissero essi l’occasione e l’appello ad un risveglio di consenso» (p. 14).
Di fatto con la fine dei moti del 1831 si chiuse per il M. una fase della vita vissuta da protagonista e se ne aprì un’altra contrassegnata da un quasi incessante peregrinare attraverso l’Europa. Certamente fa riflettere sul suo comportamento l’osservazione di Spellanzon che, sulla scorta delle ricerche di Lemmi sui moti del 1831, fa notare come il M., che già nel dicembre del 1831 si affrettò a pubblicare a Parigi un volume piuttosto duro sul dominio austriaco in Italia (L’Italie sous la domination autrichienne), avesse preferito tacere sui fatti accaduti in Italia centrale e sul ruolo che vi aveva avuto, evitando così di fornirci la sua versione degli avvenimenti.
La temperie politica che si respirava nella Francia di Luigi Filippo e gli accresciuti sospetti della colonia politica italiana sulla sua condotta consigliarono al M. nel 1835 di abbandonare la Francia alla volta della vicina Spagna, dove il rincorrersi degli avvenimenti legati alle guerre carliste dovettero illudere di trovare occasioni di riscatto e di nuove fortune politiche e personali. In virtù dei legami creati con gli ambienti liberali spagnoli negli anni precedenti, il M. riuscì a instaurare un contatto diretto con la regina Maria Cristina di Borbone impegnata in guerra contro il cognato don Carlos. Nel corso della prima guerra carlista (1833-39) e di parte della seconda (1847-60) il M. offrì ripetutamente i propri servigi alla regina impegnandosi a cercare fondi e armi utili alla sua causa, e mettendola addirittura sull’avviso circa alcuni attentati che sarebbero stati organizzati contro di lei e i membri della famiglia.
Al pari della mal riuscita congiura estense, anche nella penisola iberica ai grandi annunci e alle mirabolanti promesse seguirono ben pochi risultati pratici, sicché quella del M. restò alla fine figura marginale anche rispetto al grande affare della secolarizzazione dell’asse ecclesiastico, decisa dal ministro liberale J. Álvarez de Mendizábal e che aveva non poco solleticato la sua fantasia. L’Archivo histórico nacional conserva una copiosa documentazione dei ripetuti contatti del M. con esponenti della corte spagnola, compresa una lettera del 1857 indirizzata alla regina Maria Cristina, in cui egli lamentava l’assoluta indigenza nella quale era costretto a vivere con la sua famiglia anche a causa di prestiti mai restituiti fatti perfino a esponenti della famiglia reale.
Gli avvenimenti rivoluzionari del 1848 sembrarono infondere nuova linfa al M. che lasciò immediatamente la Francia, dove nel frattempo era tornato a stabilirsi, e si portò in Piemonte. Fu in questa occasione che, sia pur circondato dagli ormai consueti sospetti, il M., abbandonata l’idea irrealizzabile di lavorare a un intervento della Francia a fianco del Piemonte nella guerra contro l’Austria, limitò la sua azione a ben più modesti obiettivi, come quelli di reclutare volontari e raccogliere armi in Francia a favore del Piemonte. Non mancarono neppure in questo caso malevolenze sul suo conto, eccessive forse: secondo Miraglia, egli «non peccò certo di eccessiva modestia e forse s’ascrisse il merito d’idee, che mai non concepì, di azioni, che mai ebbe a compiere» (p. 293).
Nel 1850 il M. lasciò il Regno sardo per trasferirsi a Ginevra. Qui attese alla scrittura di un suo memoriale politico che avrebbe dovuto fornire una parola di chiarezza alla sua intricata vicenda politica. Il memoriale non vide mai la luce forse, come pare convinto G. Ruffini, per volontà di Luigi Napoleone Bonaparte, che negli anni precedenti era stato in rapporto con il M. e che in quel momento, tutto proteso alla scalata del potere, tendeva a far dimenticare una parte del suo passato più scomodo. Di certo in questo periodo il M. riuscì a riprendere i contatti con Bonaparte, sia pur per interposta persona, ma neppure il gesto di riconsegnargli parte della sua corrispondenza gli portò i vantaggi sperati.
Il M. morì a Barcellona il 2 genn. 1863.
Altri scritti: Lettera dell’italiano Misley al signor Sebastiani, ministro degli Affari esteri: Parigi 11 sett. 1831, Italia 1831; Lettera del sig. Misley diretta al signor Casimirro Perier, presidente del Consiglio di ministri: estratta dalla Tribuna, s.l. 1831; Deuda española y medios de estinguirla, Barcelona 1841; Mémoires justificatifs d’un proscrit, Genève 1853.
Fonti e Bibl.: Madrid, Archivo histórico nacional, Fondo María Cristina, reina gobernadora, Diversos titulos - Familias, 3390, leg. 94, exp. 14; Ed. nazionale delle opere di G. Mazzini, II/2, Indici, a cura di G. Macchia, Imola 1973, ad nomen; G. Sercognani, Risposta del general Sercognani a due ministri estratta dal Corrier francese del 23 ag. 1831 e lettera del sig. Misley, 1831; P. Zajotti, Semplice verità opposta alle menzogne di E. M. nel suo libello L’Italie sous la domination autrichienne, Milano 1834; G. Siotto Pintor, Segreti politici di E. M. e cronache italiane e francesi dal 1831 al 1850, Torino 1852; L. Generali, Ricordanze, in Archivio emiliano del Risorgimento nazionale, I (1907), pp. 22-42; N. Fabrizi, Lettera di Nicola Fabrizi a Tommaso Sandonnini, in Arch. emiliano del Risorgimento nazionale, II (1908), pp. 13-19; G.B. Morandi, Francesco IV di Modena e gli esuli italiani di Londra, ibid., pp. 8-12; E. Ruffini, Rapporti politici di M. e Menotti con Francesco IV di Modena, ibid., pp. 252-266; G. Sforza, Le trame di E. M. e di Francesco IV, in Rass. storica del Risorgimento, IV (1917), pp. 409-457; G. Ruffini, Luigi Napoleone ed E. M., ibid., X (1923), pp. 875-879; Id., L’azione politica di E. M. nel ’48, ibid., XI (1924), pp. 1-45; G. Canevazzi, Memorie di Francesco Cialdini. Contributo alla storia delle cospirazioni, Milano-Roma-Napoli 1924, ad ind.; F. Lemmi, La congiura estense, in Civiltà moderna, II (1931), 3, pp. 482-494, 496 s.; G. Ruffini, Le cospirazioni del 1831 nelle memorie di E. Misley. Biografia del cospiratore, Bologna 1931; N. Tommaseo, Delle cospirazioni italiane, II, in Nuova Antologia, 16 apr. 1931, pp. 415-418; R.V. Miraglia, E. M. e l’intervento francese in Italia nel 1848 alla luce di alcuni docc. inediti, in Rass. storica del Risorgimento, XIX (1932), pp. 289-304; C. Spellanzon, Storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia. Dai moti del 1820-21 alla elezione di papa Pio IX (1846), II, Milano 1934, pp. 292-310, 331-339, 361-370, 416, 448-463, 466; G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna. Dalla Restaurazione alla rivoluzione nazionale, II, Milano 1958, pp. 163-172, 185, 193; L. Amorth, Storia di Modena e dei suoi duchi dal 1598 al 1860, Modena 1961, pp. 343-347; V. Ruffini Tucci, Vita di Giovanni Battista Ruffini modenese, Modena 1976, pp. 11-13, 27-29, 51; A. Scirocco, L’Italia del Risorgimento 1800-1860, Bologna 1990, ad ind.; G. Spini, Gli esuli modenesi del ’31 e la Spagna, in La congiura estense. Atti del Convegno internazionale: Modena, Carpi, Spezzano … 1998, a cura di W. Boni - M. Pecoraro, Modena 1999, pp. 350-361; F. Tarozzi, Il ruolo di Ciro Menotti ed E. M. nella «Congiura estense», ibid., pp. 217-225; A. Arisi Rota, Il collegio Ghisleri della Restaurazione (1818-1848): fermenti e tentativi di controllo amministrativo, in Annali di storia delle Università italiane, VII (2003), pp. 155 s.; Diz. del Risorgimento nazionale, III, sub voce.