NENCIONI, Enrico
NENCIONI, Enrico (Giovanni Battista). – Nacque a Firenze il 1° gennaio 1837 da Angiolo, di origine contadina e intendente in una nobile casa fiorentina, e dalla senese Carolina Mangani, fondatrice e direttrice dell’istituto femminile Nencioni.
Dopo i primi studi all’istituto Rellini, frequentò le Scuole pie di s. Giovannino dei padri Scolopi, dove fu allievo di p. Geremia Barsottini e compagno di Giosue Carducci e Giuseppe Chiarini, al primo dei quali fu legato da duratura amicizia, seppure non esente da periodi critici. Dopo gli studi superiori continuò autonomamente la formazione letteraria, dedicandosi con particolare attenzione alle letterature inglese e francese, in ciò distinguendosi dai suoi «amici pedanti», che pure gli «eran tutti legati […] da sincera amicizia»: rispetto alla loro aspra polemica contro il Romanticismo e la letteratura estera, coltivò «opinioni letterarie in gran parte opposte» (Impressioni..., 1923, p. 73).
Esordì nel 1855 (in Lo Spettatore) con il polimetro In morte di Isolina Materassi-Fanelli, «ispirato dallo spettacolo della morte» (Impressioni..., 1923, p. 69), motivo che sarebbe ritornato frequentemente nelle sue poesie. Seguirono, nello stesso giornale, le ottave AdAlessandro Manzoni. Non ancora diciottenne, fu precettore in casa del conte Gori Digny, e negli anni 1859-70 a Siena del conte Augusto de’ Gori Pannillini, dove ebbe una travagliata relazione con la contessa Giacinta, nata Orsini.
A quell’epoca risalgono i primi rapporti con i salotti letterari anglofoni: fin dal 1859 nella villa di Marciano dei Gori Pannillini conobbe, infatti, lo scultore statunitense William Wetmore Story, che viveva nella vicina villa Orr e che, a sua volta, gli fece conoscere i coniugi Robert ed Elizabeth Browning nonché Walter Savage Landor. Una seconda importante fase del suo rapporto con gli ambienti anglofiorentini coincise poi con la conoscenza di Vernon Lee (pseudonimo maschile di Violet Paget), nella cerchia di Carlo Placci a fine 1880.
Nel 1867 l’amico Ferdinando Martini lo presentò a Stefano Protonotari, direttore della NuovaAntologia, in cui Nencioni pubblicò il suo primo, e a lungo unico – con l’eccezione di qualche rassegna su L’Italia Nuova – lavoro critico sulla poesia di Robert Browning, che contribuì in maniera determinante a diffondere in Italia.
Lasciata la villa dei Gori Pannillini, nel 1870 fece ritorno a Firenze, dove si fidanzò con Talìa Amerighi, che sposò nel 1880. Nel 1875 tornò all’attività di precettore in casa della squattrinata e bigotta principessa Caramanico dei conti d’Aquino a Napoli; nelle lettere di quel periodo emergono i tentativi di Nencioni, alla ricerca di una stabilità economica ed esistenziale, di ottenere un ruolo nella pubblica istruzione, ma anche una certa sua irresolutezza che lo portò al «matto e colpevole rifiuto» (Cicognani, 1940, p. 112) della cattedra di storia offertagli alla Normale femminile di Firenze nel 1875.
La svolta umana e professionale avvenne con la collaborazione al giornale romano Il Fanfulla della Domenica, ove fu chiamato dallo stesso Martini, che lo aveva fondato nel 1879. Gli anni romani (1880-83) furono l’occasione per inserirsi, dopo un lungo periodo di sostanziale silenzio, nel dibattito culturale italiano: oltre che al Fanfulla della Domenica, collaborò con La Domenica letteraria, fondato nel 1882 dallo stesso Martini dopo il polemico abbandono del Fanfulla, e con diverse altre riviste, fra cui La Domenica del Fracassa e La Cronaca bizantina. In questo periodo frequentò i salotti più esclusivi della capitale, divenendo figura di riferimento per diversi ‘dilettanti’, fra cui Gegé Primoli o Carlo Placci; nel vivace clima romano si intensificarono gli scambi con figure eminenti del panorama culturale italiano, come Matilde Serao o Gabriele d’Annunzio, che, ancora giovinetto, trovò in Nencioni l’«eloquentissimo pedagogo» capace di rivelargli, «sotto i cipressi della Villa Ludovisi e tra gli elci della Villa Medici», la «poesia di Roma» (Perla morte di un poeta, in E. Nencioni, Saggi critici di letteratura italiana, Firenze 1898, pp. VII s.) e che significativamente gli dedicò nel 1892 le Elegie romane. Intanto nel 1880 presso Zanichelli uscì, per interessamento di Chiarini e, soprattutto, di Carducci, l’unico suo volume di versi (Poesie), che raccoglieva testi composti tra il 1855 e il 1862.
Con un pezzo nel Fanfulla della Domenica dell’agosto 1883 partecipò alla famosa polemica (poi confluita nel volumetto Alla ricerca della verecondia, Roma 1884) sorta intorno all’Intermezzo di Rime di D’Annunzio, schierandosi, seppure con toni moderati, dalla parte di Chiarini e Panzacchi nella condanna delle tendenze pornografiche di molta letteratura coeva di contro alla difesa della «libertà illimitata dell’artista» (Alla ricerca delle verecondia, p. 65) propugnata da Luigi Lodi.
A differenza del giovane amico D’Annunzio, Nencioni fu lontano dal fiorente mercato editoriale: pubblicò in vita un solo volume di saggi (Medaglioni, Roma 1883), una galleria di dieci ritratti, già apparsi in rivista, di donne più o meno illustri, tratteggiati più con piglio salottiero e romanzesco che storico. Nonostante un’esistenza piuttosto gratificante, era comunque alla ricerca di una stabilità economica, non garantita dalla precaria vita del giornalista letterario. Mirava a un impiego nella pubblica istruzione, che giunse nel 1883, quando ottenne dal ministro Guido Baccelli, con la mediazione di Martini, la cattedra di letteratura italiana all’istituto di magistero e, dal 1884, quella di italiano al collegio della Ss. Annunziata al Poggio Imperiale di Firenze.
Pur gratificato dal lavoro di insegnante che svolgeva con notevole successo, non fu mai del tutto soddisfatto della vita fiorentina, sentendosi attorniato da pedanti «sedicenti letterati» (Spaziani, 1962, p. 92); rimpiangeva la vivace vita romana e vanamente insistette presso gli amici per ottenere un ruolo analogo al magistero di Roma o la cattedra di letteratura comparata all’Università. Continuava, sebbene con minore intensità, a scrivere per il Fanfulla, mentre a Firenze collaborò soprattutto con la NuovaAntologia, intensificando nel contempo la sua brillante attività di conferenziere, nella quale spicca la partecipazione, tra il 1891 e il 1894, al ciclo di incontri sulla Vita italiana, con relazioni su La letteratura mistica, La lirica del Rinascimento, Torquato Tasso, Il barocchismo. Durante questi anni coltivò una tenera amicizia, non aliena da sentimenti amorosi, per la poetessa Vittoria Aganoor, dapprima sua corrispondente, poi conosciuta di persona a Firenze nel 1893: nell’estate del 1994 soggiornò presso la sua residenza estiva a Basalghelle.
L’ultima opera poetica pubblicata in vita (in Il Convito, 12 febbraio 1896) fu Rapsodia lirica. Affetto da angina pectoris si rifugiò, consigliato dai medici, sui colli fiorentini, tra Poggio Imperiale e Arcetri, dove D’Annunzio gli lesse La città morta.
Senza alcun giovamento fu portato ad Antignano, quindi ad Ardenza dove morì il 25 agosto 1896 per un’infezione carbonchiosa e fu sepolto a Firenze nel cimitero di San Felice a Ema.
Già cavaliere della Corona d’Italia, fu insignito, poco prima della morte, della croce dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
La poesia di Nencioni, vicina al carduccianesimo per taluni accenti classicisti e soluzioni metriche, si muove tra motivi convenzionali tardoromantici (come un certo velleitarismo sociale dei primi testi: Lo spedale, Un paradiso perduto), derivatigli dalla frequentazione continua della letteratura europea contemporanea, di scapigliati o addirittura simbolisti, come nel caso del celebre Un giardino abbandonato, in cui «il compiacimento decadente è […] scoperto» (Baldacci, 1958, p. 1130), fino al preannuncio di esiti dannunziani nel misticismo estetizzante di San Simone stilita. La sua fama deriva però peculiarmente dalla sua attività di giornalista, critico e conferenziere, che lo promosse come interprete raffinato della letteratura contemporanea, particolarmente della civiltà tardo-vittoriana, della quale fu importante mediatore in Italia. I limiti del suo metodo critico, già messi in luce da Benedetto Croce e Giuseppe Antonio Borgese, si evidenziano nella mancanza della «capacità sintetica dello storico» e di «quel rigore filologico che impone al critico di accostarsi alla pagina con riservatezza e discrezione» (Guglielminetti, 1969, p. 1118), laddove, invece, Nencioni si lascia andare spesso a impressioni personali e divagazioni, con un ricorso frequente all’analogia tra autori e opere richiamati dalla sua preziosa memoria letteraria; questo gusto divagante meglio si esprime nei saggi, che volle, alla maniera di William Thackeray, denominare Roundabout papers, particolarmente felici allorché la sua memoria può rincorrere ricordi e ambienti della Firenze di un tempo (Consule Planco, Resurrezioni fiorentine). Critico «perennemente scontento e all’opposizione» (Lugnani Scarano 1967, p. 429), difese, non senza contraddizioni, un ideale di letteratura prettamente romantico, con peculiare attenzione verso un’arte comunicatrice di alti valori morali e di un sentimento positivo della vita, di contro alle opposte, ma per lui deprecabili, ‘degenerazioni’ del naturalismo, reo di costringere nella gabbia del determinismo la varia vita dell’animo umano, e del parnassianesimo degli «abilissimi meccanici della parola», privi di vera «ispirazione lirica» e di «seconda vista poetica» (Nuovi saggi critici, 1909, p. 377).
Opere. Per una ricognizione dei numerosi articoli e recensioni pubblicati in rivista, per le conferenze pubblicate in volume e per la sua opera di traduttore cfr. la bibliografia dettagliata nell’antologia Le più belle pagine scelte da B. Cicognani, Milano 1943, pp. 329-342 e l’inventario del fondo Nencioni presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze, in Le carte di E. N., a cura di M.M. Angeli, Firenze 1999 (anche per i numerosi articoli commemorativi su N.). Per gli scritti raccolti in volume postmortem cfr. Nuovi saggi critici di letterature straniere e altri scritti, prefaz. di F. Martini, Firenze 1909; Saggi critici di letteratura inglese, prefaz. di G. Carducci, ibid. 1910; Saggi critici di letteratura italiana, preceduto da uno scritto di G. D’Annunzio, ibid. 1911; Nuovi Medaglioni, prefaz. di G.S. Gargano, Bologna 1922; Impressionie rimembranze, Firenze 1923.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Stato civile, vol. 241, c. 69v, n. 11; Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale (1860-80), b. 1467; F. Pera, Biografia di E. N., Livorno 1896; F. Martini, Confessioni e ricordi (Firenze granducale), Firenze 1922, pp. 207-219; E. Caramelli, E. N., in Id., Figure di altri tempi, Firenze 1931, pp. 79-113; G. Carducci, Lettere, in Edizionenazionale delle opere, Bologna 1938-68, passim; G. D’Annunzio, Lettere ad E. N. (1880-89), a cura di R. Forcella, in Nuova Antologia, XVIII (1939), pp. 3-30; B. Cicognani, L’età favolosa, Milano 1940, passim; Con Gégé Primoli nella Roma bizantina, a cura di M. Spaziani, Roma 1962, pp. 87-104; G. Fatini, D’Annunzio e N., in Quaderni dannunziani, XVIII-XIX (1960), pp. 645-670; P. Pimpinella, Lettere di E. N. a Vittoria Aganoor, in Boll. per la Deputazione di storia patria per l’Umbria, LXX (1973), pp. 147-215; M. Serao, Lettereinedite a E. N. (1881-1891), a cura di A. Tagliaferri, in Nuova Antologia, 2002, n. 2223, pp. 304-313. Per un primo essenziale inquadramento: G.A. Borgese, Storia della critica romantica in Italia, Napoli 1905, passim; Id., E. N., in Id., La vita e il libro, I, Bologna 1923, pp. 207-221; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, II, Bari 1943, pp. 116-124; L. Baldacci, E. N., in Poeti minori dell’Ottocento, Milano-Napoli 1958, I, pp. 1129-1143; E. Lugnani Scarano, E. N., in Belfagor, XXII [1967], p. 429; M. Guglielminetti, E. N., in Letteratura italiana (Marzorati), I critici, Milano 1969, II, pp. 1117-1136; L. Russo, N. scrittore europeizzante, ibid., pp. 1136-1139; E. Sormani, E. N. scrittore e critico militante, in La letteratura italiana (Laterza): storia e testi, VIII, 2, Bari 1975, pp. 550-556; I. Nardi, Un critico vittoriano: E. N., Perugia 1985. Da ultimo v: G. Pieri, E. N.: an Italian Victorian, in Biographies and autobiographies in modern Italy. A Festschrift for John Woodhouse, London 2007, pp. 38-54.