PARIBENI, Enrico
– Nacque a Roma il 4 settembre 1911, primogenito di Roberto, archeologo, e di Francesca Cicconetti. Dopo gli studi presso l’Istituto Massimo, si iscrisse alla facoltà di lettere di Roma, allievo di Gaetano De Sanctis, Pietro Toesca e, per le discipline archeologiche, di Giulio Emanuele Rizzo e Giulio Quirino Giglioli (relatore nel 1932 della sua tesi di laurea), che ebbero entrambi però un’influenza limitata nella sua formazione di archeologo.
In aggiunta a un’educazione molto curata (fu anche ottimo disegnatore e buon pianista), il ruolo del padre nella cultura italiana di quegli anni gli dette modo di frequentare personalità e studiosi italiani e stranieri; tuttavia decisivo per le sue scelte fu l’incontro con Alessandro Della Seta, divenuto durevole rapporto alla Scuola archeologica di Atene; Paribeni ne fu allievo nel 1933-34, partecipando anche allo scavo di Poliochni (Annuario della R. Scuola archeologica, 1932-33, 15-16, pp. 322-332).
La «devozione» per Della Seta (altro modello dichiarato fu Paolo Orsi; Atti e memorie della Società Magna Grecia, III (1992), 1, p. 38) si fondava sulle sue qualità umane e di interprete dell’arte greca dall’«intuizione prodigiosa» (Annuario della Scuola archeologica, 1946-48, 24-26, p. 371), unite a solida preparazione filologica e a un’attenzione – inusuale in clima di critica d’arte idealista – per l’osservazione naturalistica, assunta come base per misurare nelle singole realizzazioni d’arte i modi di aderenza al reale e di convenzione formale; forte motivo di consonanza fu la comune capacità di trasformare in strumento di analisi la propria intensa sensibilità visiva.
Assistente di Evaristo Breccia nello scavo di El-Hibeh in Egitto (dicembre 1934 - maggio 1935), ne pubblicò il rapporto preliminare (un ms. più esteso è nella Biblioteca della Soprintendenza archeologica di Firenze); più conforme ai suoi interessi fu il periodo trascorso a Rodi (1936), borsista dell’Istituto FERT, per studiare le produzioni ceramiche locali. L’esperienza rafforzò il suo proposito di concentrarsi sul mondo greco, con una scelta della cui anomalia fra gli studiosi italiani di età fascista era conscio (Atti e memorie della Società Magna Grecia, cit., p. 38) e che fu letta in seguito come rifiuto di una ‘Romanità’ chiassosamente strumentale (Schwarzenberg, 1996, p. XII) e come segno di opposizione agli interessi e alle convinzioni paterne (R. Bianchi Bandinelli, lettera in M. Barbanera, Archeologia degli Italiani, Roma 1998, p. 226 n. 6; poi integrata in Id., R. Bianchi Bandinelli e il suo mondo, Bari 2000, p. 100 n. 287).
Determinanti furono comunque studi che lesse negli anni di formazione: i lavori di J.D. Beazley, a partire dagli Attische Vasenmaler des rotfigurigen Stils (1925); le Frühgriechische Bildhauerschulen (1927) di E. Langlotz, «il più acuto e il più geniale tra gli storici dell’arte antica viventi» (Atene e Roma, n.s., XV (1970), 1, p. 36); e i Necrocorinthia (1931) di H. Payne, che stava preparando ad Atene il catalogo delle sculture dell’Acropoli e i materiali per Perachora (usciti postumi: 1936, 1940).
Durante il servizio militare (come sottotenente di artiglieria), su indicazione di Della Seta fu assunto da Italo Balbo quale ispettore presso l’Ufficio alle antichità della Cirenaica. A Bengasi dal gennaio 1937, fu impegnato in progetti museali e ricognizioni, nonché sul cantiere di Tolemaide, dove avviò e condusse fino al 1938 lo scavo del Palazzo delle Colonne (G. Pesce, Il Palazzo delle Colonne, Roma 1950, pp. 7 s.). Vincitore del concorso a ispettore e destinato alla Soprintendenza di Firenze (luglio 1937), ne divenne effettivo solo dal maggio dell’anno successivo, e fino al suo trasferimento (21 settembre, ma effettivo dal 1° ottobre 1939) alla Soprintendenza archeologica di Roma I (Shepherd, 1998). Nel periodo fiorentino si saldò il vincolo di stima reciproca con Ranuccio Bianchi Bandinelli, professore prima a Pisa e poi a Firenze, che Paribeni sostituì a Pisa per incarico nel 1939-40.
Richiamato alle armi e assegnato nel 1941 al Comando superiore delle Forze armate in Grecia, svolse servizio nel 1942 presso la Legazione d’Italia ad Atene, fino al suo fermo (12 settembre 1943) trasformato in internamento per il rifiuto di aderire alla Repubblica sociale italiana (RSI). Scampato alla deportazione quale membro di corpo diplomatico e rimpatriato nel maggio 1944, in agosto tornò al lavoro nella Soprintendenza di Roma I; direttore presso il Museo nazionale romano dal 28 aprile 1953, dal 28 febbraio 1955 fu trasferito alla Soprintendenza archeologica di Roma IV (Palatino e Foro Romano).
Negli anni romani – marcati da legami crescenti con gli ambienti e la cultura archeologica anglosassone, nonché dall’esplorazione tenace di musei, magazzini e raccolte private – intraprese il recupero sistematico degli originali greci presenti a Roma, impostandone lo studio storicizzato per epoche e contesti di presenza (sintesi negli Atti dell’VIII Convegno sulla Magna Grecia, Taranto... 1968, Napoli 1969, pp. 83-89). In parallelo pubblicò il catalogo delle Sculture greche del V secolo del Museo nazionale romano (Roma 1953), trattando sia gli originali sia la loro tradizione copistica, come documento irrinunciabile e segno di una fortuna stratificata; vi si collegano nuove ricomposizioni (Persefone regina, in Bollettino d’arte, XL (1955), 2, pp. 97-102) e sondaggi sul senso delle scelte degli artisti neoattici attivi per la clientela romana (1951, 1952). Per coerente estensione, le forme e il ruolo dell’arte ellenica nelle culture d’Italia tra l’età orientalizzante e quella classica (per importazione, o per proprio sviluppo nelle colonie di Magna Grecia e Sicilia, ovvero per relazioni delle culture non greche con i centri della Grecia propria e con il mondo coloniale) divennero da allora tema primario – e ritornante fino agli ultimi scritti – di molte delle sue ricerche più innovative e storicamente incisive: quelle sulle presenze di ceramiche attiche a Roma (Foro Romano, Sant’Omobono: 1958-59; 1959-60; 1968-69), Sibari (1969, 1972-73), Pyrgi (1970), Cortona (1972, 1992), Lavinio (1975), Chiusi (1992, 1993, 1996), ma anche nel Mantovano e nelle Marche (1986; 1991, 1992); oppure sulle produzioni e sulle linee di sviluppo della cultura figurativa di poli della grecità occidentale (Taranto, Locri, Sibari, Metaponto, Selinunte); o sugli «incontri e contatti» tra Magna Grecia ed Etruria (1957, 1980). Originali e copie di sculture greche in un ambiente di crocevia furono materia del Catalogo delle sculture di Cirene (Roma 1959), ove fu inviato in missione durante le procedure di consegna alla Libia dei materiali scavati dagli italiani. L’acquisita competenza, «forse unica in Italia» (Beschi, 1998, p. 10), sia sulla scultura di età arcaica e classica sia sulla ceramografia greca contemporanea ne fece un collaboratore prezioso per l’Enciclopedia universale dell’arte (Venezia-Roma, dal 1958 al 1963) e per l’Enciclopedia dell’arte antica, classica e orientale Treccani (Roma), cui contribuì, fra il 1958 e il 1970, con più di cinquecento lemmi: i circa trecentocinquanta sulla ceramografia attica ne rappresentano una messa a punto critica, rigorosa quanto attraente.
Larga parte di questa attività ha base e specchio nel suo archivio di lavoro (notizie in Marzi, 2005), alimentato fino all’ultimo anno di vita, che ne mostra il modo onnivoro e analitico di raccolta di informazioni, e la loro organizzazione primaria per categorie, personalità artistiche, ambiti produttivi, soggetti e temi mitici. Elenchi critici di materiale edito e inedito, spogli di ogni genere di fonti, migliaia di disegni e fotografie – spesso eseguiti personalmente – compongono e affiancano i dossier monografici; altri fascicoli in apparenza eterogenei, in realtà composti nel tempo a «raggruppare il più di fatti possibili sotto un unico interrogativo» (E. Paribeni, Sculture greche..., cit., p. 5), definiscono le coordinate di un problema e corrispondono a studi in nuce.
Secondo in una terna di concorso a cattedra (concluso nell’aprile 1961), il suo ingresso nei ruoli universitari fu duramente osteggiato, anche con accuse pretestuose; nell’attesa, preferì rinunciare all’ospitalità di Andreas Alföldi per un semestre di lavoro presso l’Institute for advanced study di Princeton (documenti a Roma, Archivio familiare Paribeni); a una nomina ‘di salvataggio’ presso l’Istituto superiore Suor Orsola Benincasa di Napoli (1° novembre 1963) fece seguire le dimissioni, rientrando nella Soprintendenza di Roma. Infine, la facoltà di lettere di Firenze fece proprie le convinzioni di Bandinelli sulle sue qualità scientifiche e personali (M. Barbanera, Archeologia degli Italiani, cit., poi in Id., R. Bianchi Bandinelli e il suo mondo, cit.), chiamandolo alla cattedra di archeologia e storia dell’arte greca e romana (15 dicembre 1964), tenuta fino al pensionamento (1° novembre 1981).
Uomo «schivo dell’ufficialità», alla quale «preferiva studiare così come viveva» (Guzzo - Romualdi, 1991-92, p. 7), proseguì tra insegnamento e viaggi di studio le sue ricerche per nodi tematici, di norma partendo da documenti non vistosi o non nuovi, ma rivelatori di connessioni fra produzioni artistiche, culture e società, esaminati con singolare acume ermeneutico e fiducia nel dato di stile come «coefficiente di storia» (Beschi, 1998, p. 11). Scritte in un linguaggio inconsueto fra gli archeologi per sintesi ed elegante efficacia (M. Robertson, in In memoria di E. P., 1998, p. 363), vi spiccano letture penetranti delle ragioni e dei modi del racconto mitico (La perplessità di Atena, in Archeologia classica, XXI (1969), pp. 53-57; Problemi d’iconografia…, in Prometheus, X (1984), 3, pp. 193-204); testi sulle continuità e metamorfosi dell’immagine di Artemide nella religiosità mediterranea (1961, 1979, 1981, 1991); o sul peso delle convenzioni e della meccanica teatrale sui mutamenti dell’arte figurata tra arcaismo e prima classicità (1981). Saggio estensivo delle sue vedute e del suo metodo sono le schede dell’Arte nell’Antichità classica, I, Grecia (Torino 1976); gli Scritti (Roma 1985), scelti personalmente, riflettono il suo itinerario critico.
In materia di scultura greca, fu sollecitato il suo intervento sulle scoperte di originali greci più clamorose e discusse (come i bronzi di Riace e Porticello, 1984); rimase invece diffidente e critico verso la rivalutazione crescente della creatività degli scultori di età romana in forme classiciste o arcaizzanti. Alla ceramica attica (scrisse in due volumi del Corpus Vasorum, Italia, LI e LVII), dedicò tutti gli ultimi appunti e lavori, anche riallacciandosi con essi ai prediletti temi della cultura figurativa greca in Italia.
Paribeni morì a Castelbonsi (San Casciano-Firenze) il 4 ottobre 1993.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio familiare Paribeni (documenti e carte personali); Firenze, Archivio della Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, Pos. I Ins. personali (1925-1950) / P.; Firenze, Università degli studi, Archivio del personale docente, f. P. E.; Firenze, Università degli studi, Biblioteca umanistica, Archivio Paribeni.
A.M. Esposito, Bibliografia, in Scritti di E. P., a cura di G. Capecchi et al., Roma 1985, pp. IX-XIII; P.G. Guzzo - A. Romualdi, In ricordo di E. P., in Studi e documenti di archeologia, VII (1991-92), pp. 7 s.; L. Beschi, E. P. Appunti in margine all’ed. dei vasi della Collezione Casuccini, in La Collezione Casuccini: ceramica attica, ceramica etrusca, ceramica falisca, Roma 1996, pp. VII-X; E. Schwarzenberg, Ricordo di E. P., ibid., pp. XI s.; D. Musti, P. E., in Enciclopedia Italiana, Appendice V, Roma 1995, s.v.; L. Beschi, E. P.: alcune linee del suo impegno di ricerca, in In memoria di E. P., a cura di G. Capecchi et al., Roma 1998, pp. 9-15; G. Capecchi - A.M. Esposito - O. Paoletti, E. P.: nota biografica e bibliografica, ibid., pp. 17-23; E.J. Shepherd, Portrait of the archaeologist as a young man. E. P. e lo scavo di Casalmarittimo (1937-1938), ibid., pp. 427-450; M.G. Marzi, Il «Museum chartaceum» di E. P., in Il greco, il barbaro e la ceramica attica..., Atti del convegno, Catania... 2001, a cura di F. Giudice - R. Panvini, III, Roma 2005, pp. 179-182.