PEA, Enrico
PEA, Enrico. – Secondogenito di Mattia, marmista, e di Giuseppa Gasperetti, nacque a Seravezza (Lucca) il 29 ottobre 1881.
I primi anni della vita di Pea furono segnati da una serie di eventi traumatici. Nel settembre 1885 un’alluvione spazzò via la casa di famiglia e due mesi dopo, il 12 novembre, il padre morì a causa di un infortunio sul lavoro. Giuseppa e i figli si trasferirono temporaneamente nel borgo di Chifenti, presso il nonno materno, Luigi Gasperetti, finché il vecchio non intraprese un periodo di vagabondaggio e la donna dovette abbandonare i bambini per andarsi a cercare lavoro come domestica. Il più grande, Gino, venne accolto dallo zio Giuseppe Pea, che era direttore di piazzale presso le segherie Henraux; il minore, Tito, andò ad abitare dalla moglie del macellaio del paese, ma il 23 dicembre del 1889 morì di convulsioni. Enrico, dopo essere stato affidato allo zio Ermenegildo, fabbro, con cui lavorò come apprendista, nel 1890 raggiunse il nonno che abitava in un piccolo vigneto nei pressi del casone di Ripaino, ultima traccia della tenuta dei Gasperetti.
Gli anni passati con il vecchio acquistarono nella mente di Pea, in seguito, tratti favolistici. Da lui imparò non solo i rudimenti della lettura e della scrittura, ma anche il valore di una vita libera dalle costrizioni della società e un amore profondo per i racconti della cultura contadina versiliese. Verso la fine del 1893, Pea lasciò il nonno per l’ultima volta. Denutrito e malandato, venne fatto ricoverare dal cugino all’ospedale Campana di Seravezza, dove si occupò temporaneamente come inserviente per pagarsi le spese. Qui, il 7 agosto 1894, assistette alla morte del vecchio, ricoverato per un’ischemia. Abbandonato a se stesso, Pea lavorò come garzone, mandriano e rigattiere. Occasionalmente si impegnò anche come comparsa negli spettacoli popolari e andò a lezione da un giovane prete di campagna, don Raffaele Galleni, che lo ispirò a prendere i voti introducendolo nel monastero dei frati di San Torpè a Pisa, dove però non venne accettato a causa del difetto all’occhio destro ferito durante un gioco quando aveva tre anni. Nel 1895 fu meccanico apprendista presso i Cantieri Orlando di Livorno, città che, per la prima volta, gli dette l’opportunità di conoscere quel tipo di problematiche sociali e religiose che marcarono la sua opera teatrale. Poco dopo, il 25 novembre 1895, s’imbarcò come mozzo sul Ciucciariello, un mercantile capitanato da Aristide Aliboni, che trasportava marmi dall’altra parte del Tirreno. Nel 1896, insieme con il fratello maggiore Gino, Pea lasciò la Toscana a bordo di un piroscafo della compagnia Rubattino diretto ad Alessandria in Egitto, dove già da tempo abitava la madre. Giunto a destinazione lavorò come servitore (esperienza raccontata ne Il servitore del diavolo, Milano 1931), successivamente s’impiegò nella fonderia dell’austriaco Sloder, padre dell’amico Edmondo Sloder, successivamente presso un cantiere navale e, infine, nel laboratorio meccanico del Gabari delle Ferrovie dello Stato egiziano di Alessandria. Nel 1901 Pea tornò per un breve periodo in Italia, dove si sottopose alla visita medica militare, ma venne riformato a causa dell’infortunio all’occhio.
Il 5 febbraio 1902 Pea sposò Aida Caciagli, figlia di un mosaicista fiorentino emigrato ad Alessandria d’Egitto, da cui ebbe tre figli: Valentina (1903), Pia (1904) e Marx (1906).
Il 18 aprile 1902, dopo la caduta da una locomotiva in riparazione, Pea si dimise volontariamente per ragioni di famiglia dal servizio delle Ferrovie egiziane di Stato e trovò da vivere come falegname e mercante di marmi. Il suo magazzino si trovava nella celebre ‘Baracca rossa’, così chiamata perché sede di incontro di santoni locali, anarchici, idealisti, emarginati e giramondo che, in quella struttura, istituirono un’università popolare non ufficiale. Grazie alla frequentazione di questi giovani, nel 1908 conobbe il ventenne Giuseppe Ungaretti, che lo invitò a collaborare con il Messaggero egiziano (1909-12) e lo incoraggiò a diventare scrittore.
Dopo aver scritto i Sonetti dell’Harem, poesiole che Pea cestinò preso da grande sconforto, grazie all’interessamento di Ungaretti uscirono le Fole (Pescara 1910), versi brevi dal tono profetico, misti a prose ambientate in Lucchesia e popolate da personaggi ‘maledetti’. Attraverso l’impiego espressionista del dialetto della Versilia, il poeta accentuò, sublimandola, la natura primitiva delle tradizioni apuane.
Tra il 1910 e il 1912 Pea e Ungaretti conobbero Jean-Léon e Henri Thuile con cui intrattennero una fervida amicizia (cfr. F. Livi, Ungaretti, P. e altri. Lettere agli amici ‘egiziani’. Carteggi inediti con Jean-Léon e Henri Thuile, Napoli 1988). I frequenti viaggi di lavoro in Italia, effettuati nel primo decennio del Novecento, lo misero altresì in contatto con i circoli intellettuali toscani, che comprendevano i collaboratori della rivista fiorentina La Voce e il gruppo di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, fondatore della Repubblica di Apua. Pea ne entrò a far parte con l’esoterico titolo di ‘sacerdote degli scongiuri’.
Durante gli ultimi anni in Egitto, pubblicò le raccolte di poesie Montignoso (Ancona 1912) e le prose poetiche di ispirazione autobiografica Lo Spaventacchio (Firenze 1914), ambientate in una Versilia arcaica e superstiziosa.
Alla fine di marzo del 1914, dopo aver affidato l’attività commerciale al fratello Gino, Pea lasciò definitivamente l’Egitto per stabilirsi con la moglie e i figli a Viareggio, dove risiedette fino alla scoppio della seconda guerra mondiale, facendosi direttore e impresario di una compagnia di «maggi» (forme di rappresentazione a carattere popolare tipiche del territorio Apuano e lucchese), a testimonianza di un forte interesse per la letteratura drammatica e la scena, non solo come autore, ma anche come proprietario e gestore del Politeama di Viareggio (1921-44) e come animatore di un teatro all’aperto costruito nel bosco versiliano dall’architetto Raffaele Uccello.
Il 5 gennaio 1912 andò in scena Sion (poi Rosa di Sion, Napoli 1920) in cui viene affrontata la questione della fede religiosa dal punto di vista della difesa delle proprie credenze di fronte a una cultura ostile. Giuda (Napoli 1918), di ispirazione anarchica, segnò la prima uscita importante di Pea drammaturgo e venne poi ripudiato dall’autore per sopravvenuti scrupoli religiosi e per la sollecitazione di un alto prelato. In Prime piogge d’ottobre (Napoli 1919), rappresentato nel maggio 1923, il tema religioso viene riproposto con la storia dell’amore impossibile fra un’ebrea e un cristiano. Appartengono a un periodo successivo i drammi La passione di Cristo (Viareggio 1923) e L’anello del parente folle (1932) nei quali il tema religioso viene riproposto sul modello delle sacre rappresentazioni.
Nell’opera narrativa di Pea ricorrono il rapporto dell’individuo con la comunità, l’esperienza religiosa, il concetto di moderno, con la sua forza perturbatrice che provoca trasformazioni sociali e politiche, e la condizione dell’esiliato. La Trilogia di Moscardino (Moscardino, Milano 1922; Il volto santo, Firenze 1924; Il servitore del diavolo) si distingue per l’evidente autobiografismo.
Diviso in due parti, Moscardino (soprannome attribuito a Pea ragazzo) racconta il crollo dell’equilibrio domestico in seguito all’arrivo di Cleofe, una serva che suscita il desiderio di tre fratelli (uno dei quali è il nonno Luigi). Il racconto è costruito per strati ed è narrato con un linguaggio espressionistico in cui si fondono il dialetto versiliese e la dizione arcaica, creando quel pastiche linguistico che valse a Pea la fama di ‘scrittore d’eccezione’ del Novecento italiano (il romanzo uscì in inglese nel 1955 con la traduzione di Ezra Pound, conosciuto da Pea nel 1941). Ne Il volto santo continua la storia dell’educazione di Moscardino, contrapposta alla vicenda della follia del nonno. In questo testo in particolare Pea risolve la propria lotta interiore tra credenze anarchiche e importanza della tradizione, dissidio riproposto ne La figlioccia (in rivista nel 1931; poi Firenze 1953) in cui l’autore intende riconciliarsi moralmente con se stesso e con il mondo anche a livello stilistico. Il servitore del diavolo (2° premio Viareggio, 1932) che, nonostante una narrazione affatto lineare, presenta una struttura episodica e frammentata, si concentra sui primi anni di vita di Pea ad Alessandria d’Egitto (esperienza peraltro rivissuta con toni esuberanti in Vita in Egitto, Milano 1949, insignito con il premio Saint-Vincent).
Nei romanzi post-trilogia (Il forestiero, Firenze 1937; La Maremmana, Firenze 1938) Pea cerca di superare le limitazioni imposte dalle atmosfere fiabesche delle opere precedenti, con l’impiego di una cornice storica più solida. Nonostante la spinta conservativa dei romanzi degli anni Trenta, il rapporto di Pea con il regime fascista fu difficile; la rappresentazione, dapprima ambigua, poi negativa, della violenza fascista nella sezione finale di La Maremmana documenta tale antagonismo. Nel 1943 Pea vinse il primo premio al concorso del Giornale d’Italia, con Rosalia (Roma).
Nell’ottobre del 1943 cessò le attività di impresario teatrale e, sospettato di antifascismo, dovette allontanarsi da Viareggio per rifugiarsi a Lucca. Intanto, a seguito di un bombardamento aereo, il teatro Politeama venne pesantemente distrutto dai tedeschi (1944). Pea continuò a trascorrere le estati in Versilia, diventando uno dei gestori del «Quarto platano» del Caffè Roma in Forte dei Marmi, noto luogo di incontro per gli intellettuali italiani del dopoguerra. Nel 1948 cominciò a collaborare al Corriere d’informazione che pubblicò molti fra i suoi ultimi elzeviri. L’attività letteraria di Pea negli anni della guerra da una parte si limitò alla riedizione di opere già pubblicate (v. l’antologia poetica Arie bifolchine, a cura di E. Falqui, Firenze 1943; Il romanzo di Moscardino, Milano 1944), dall’altra si concentrò sulla produzione di opere per ragazzi quali L’Acquapazza (Firenze 1941) e Magoometto (Milano 1942) in cui prevale il tono fantastico-sentimentale. Nelle opere successive (Lisetta, Milano 1946; Malaria di guerra, Milano 1947) si evidenziò una partecipe attenzione ai tragici risvolti della guerra. Negli anni Cinquanta, l’autore tornò a dedicarsi alla rappresentazione e allo studio dei «maggi» (Il ‘maggio’ in Versilia, in Lucchesia e in Lunigiana, Sarzana 1954).
Tra il 1952 e il 1954 venne istituito il premio Lerici, su iniziativa di Pea e di altri intellettuali locali (che, dopo la scomparsa dell’autore, divenne il premio Lerici-Pea). Nel 1953 interpretò il ruolo del vecchio naturalista nel film per ragazzi Gli orizzonti del sole di Giovanni Paolucci (1956).
Pea trascorse gli ultimi anni della sua vita tra Lucca, Lerici e Sarzana, ritirandosi infine nella sua casa di Forte dei Marmi dove, tre mesi dopo la scomparsa della moglie, morì, affetto da turbercolosi, l’11 agosto 1958.
Opere. Oltre a quelle citate, Parole di scimmie e di poeti (commedia, in Il Convegno, 25 settembre-25 ottobre 1922, n. 9-10), Il trenino dei sassi (antologia di racconti, Firenze 1940), Solaio (Firenze 1941), Zitina (Firenze 1949), Tre alberi (dramma, in Botteghe oscure, 1951, Quaderno VII), Peccati in piazza (Firenze 1956), Makarà (operetta, in Inventario, n.s., 1983, n. 19, pp. 3-21).
Fonti e Bibl.: E. P.: bibliografia completa (1910-2010) e nuovi saggi critici, a cura di G. Tuccini, Pontedera 2012. Titoli principali apparsi dopo il 2010: Archivio E. P.: inventario, a cura di M.C. Berni, introduzione di G. Manghetti, con una nota di E. Lorenzetti, Firenze 2011; M. Fabrèges, E. P.: le mythe de l’écrivain autodidacte, in Revue des études italiennes, 2012, n. 1-2, pp. 61-74; G. Tuccini, Cleofe e le altre. La donna nei romanzi di E. P. degli anni Trenta, in Studi e problemi di critica testuale, 2014, vol. 88, 1, pp. 199-225.