POLLASTRINI, Enrico
POLLASTRINI, Enrico. – Nacque a Livorno il 15 giugno 1817 da Giovanni e da Angiola Fantappiè. Uno dei fratelli, Egisto, fu pittore e restauratore.
Pollastrini seguì la scuola privata di Vincenzo De Bonis a Livorno, poi l’Accademia di Firenze (1829-36) come allievo di Pietro Benvenuti e di Giuseppe Bezzuoli. Dipinse un Autoritratto giovanile (1833 circa, Livorno, Museo civico Giovanni Fattori). Nel 1837 espose all’Accademia fiorentina Agar e Ismaele. Il quadro segnò il debutto del pittore, che per S. Maria del Soccorso a Livorno eseguì pure la Resurrezione del figlio della vedova di Naim nel 1839, anno in cui Francesco Domenico Guerrazzi lo introdusse nel circolo della Toscana granducale e alle idee di Giovan Pietro Vieusseux e dell’Antologia. Fu allora che Niccolò Puccini gli commissionò la Morte di Alessandro de’ Medici (Pistoia, Museo civico), in linea con l’iconografia liberale delle pitture nella sua villa a Scornio.
Pollastrini, Antonio Ciseri, Luigi Mussini e altri furono fedeli ai valori e al rigore della pittura toscana fra Quattro e Cinquecento. Nelle opere del livornese ante 1850 si notano l’adesione al romanticismo storico di Bezzuoli e, in seguito, uno stile più incline al naturalismo neosecentesco.
A Livorno, per Francesco de Larderel, tra il 1836 e il 1841, eseguì trentadue pannelli con vicende de I promessi sposi. All’Accademia di Firenze, nel 1841, dopo aver chiesto a Leopoldo II un sostegno agli studi, espose Colombo al convento della Rábida e, nel 1843, Morte di Francesco Ferrucci, eseguita per Enrico Danty. Pietro Selvatico ritenne l’opera degna del tema: l’assedio di Firenze, raffigurato anche nella Morte di Philibert de Chalon duca d’Orange (1843).
Quell’anno iniziò gli Esuli senesi; a settembre preparò il bozzetto, nel 1846 il cartone e dieci anni dopo terminò l’opera. Nel 1844 ebbe da Leopoldo II l’incarico di illustrare, evocando il ‘Sublime’, la piena del Serchio (nel territorio del Granducato): Pollastrini raffigurò il salvataggio di Alessandra Mazzanti con due figli (1845, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna). La stessa calamità fu dipinta per il granduca anche da Giovanni Signorini.
Di Pollastrini ritrattista è nota l’effigie di Elisabetta Salutati Tornabuoni (1846, Firenze, Museo dello spedale degli Innocenti) e il Ritratto di Gaetano Palazzi (1840-50, Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi). Il disegno fu venduto da Mario Palazzi alla Galleria degli Uffizi nel 1893. Il pittore ritrasse Palazzi (suo amico e ‘conservatore’ agli Uffizi dal 1847) anche sul letto di morte, nel 1862 (già Arezzo, collezione Barbiera).
Nel 1846 fu nominato professore all’Accademia di Firenze, in una fase critica dell’istituzione. La nascita nel 1845 della Società promotrice, infatti, aveva messo in crisi le tradizionali strutture artistiche causando il declino delle accademie e delle esposizioni annuali. L’insegnamento privato, inoltre, modificò, in quegli anni, il ruolo dell’istituzione e il rapporto insegnante-allievo.
Pollastrini avviò il suo atelier presso S. Barnaba, esponendo alla Promotrice nel 1846 un’Annunciazione e la Morte di Philibert de Chalon duca d’Orange e poi, nel 1847, Il bertuccione del pittore fiorentino Del Rosso eseguito per Leopoldo II, acquirente anche della Zuffa fra soldati spagnoli e contadini, oggi dispersa.
Nel 1851 terminò Nello alla tomba della Pia (Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna). L’opera, esposta nel suo atelier l’anno seguente, segna la svolta stilistica dell’autore sull’onda del purismo francese (Ingres e seguaci) divulgato a Firenze da Luigi Mussini.
Questi, rientrato da Parigi nel 1851, fu al centro di una vicenda che turbò Pollastrini proprio mentre stava lavorando agli Esuli senesi: la nomina a direttore dell’Accademia di belle arti di Siena. L’assegnazione del direttorato, infatti, andò a Mussini grazie a una lettera dell’amico Giovanni Dupré (1850) al conte Scipione Borghesi-Bichi, causando a Pollastrini grande amarezza. In quegli anni, Pollastrini viveva in difficoltà economiche, accentuate da gravi problemi familiari (il padre morì in manicomio e un fratello ne seguì la sorte).
Isolato e scontroso, lasciò raramente Firenze ed ebbe con i committenti controversie circa i pagamenti e il rispetto dei tempi di consegna. L’abnegazione didattica, tuttavia, malgrado l’inattitudine all’insegnamento, gli fruttò le cattedre di disegno (1853) e di pittura (1856) all’Accademia fiorentina, dove fu direttore dal 1867 al 1875 e preside provvisorio nel 1872 (sulla carriera accademica si vedano le fonti in Torresi, 1996).
Furono suoi allievi Giuseppe Bellucci, Odoardo Borrani, Niccolò Cannicci, Annibale Gatti, Francesco Gioli, Silvestro Lega, Tito Lessi, Stefano Ussi, Francesco Vinea, frequentatori del caffè Michelangelo e attratti dal dipingere ‘a macchia’. Il divario tra i giovani emergenti e il loro maestro fu così evidente da essere spia di un cambiamento epocale, non solo nell’arte.
Nel 1854 Pollastrini iniziò due opere per la città di Livorno: l’Immacolata Concezione, per la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo, terminata nel 1857, e l’Elemosina di s. Lorenzo, commissionata da Lorenzo Palma per la cappella di famiglia in S. Maria del Soccorso, ultimata nel 1862 e presentata all’Esposizione universale di Parigi nel 1867.
Nel 1856 terminò gli Esuli senesi: evento pittorico che fu considerato il più importante dell’anno. Il quadro ottenne un consenso così straordinario che il suo studio divenne meta di pellegrinaggi. Nel 1861 fu presentato alla prima Esposizione nazionale e in seguito collocato nel Palazzo pubblico di Livorno; andò perduto nella seconda guerra mondiale.
Pollastrini, con Ciseri, Antonio Puccinelli e altri, costituì una società editrice che ebbe vita breve (1858-59) e pubblicò Ricordi fotografici degli artisti contemporanei toscani.
Dal 1860 al 1870 fu membro della commissione consultiva di Belle Arti occupandosi del restauro della tribuna del Duomo di Lucca (1860) e nel 1867 del riallestimento della Galleria dell’Accademia di Firenze. Nel 1861 fu nella commissione che selezionò le opere per l’Esposizione di Londra.
Nel sesto e settimo decennio Pollastrini dipinse, in linea con il gusto borghese, temi contemporanei e soggetti profani: il Trionfo di Cupido con corteo di putti (1870 circa, Firenze, collezione privata); la Battaglia di Legnano (1860, Genova, Palazzo Bianco), esposta all’Accademia di Firenze nel 1864; un Autoritratto (1865, Firenze, Galleria degli Uffizi); il Ritratto di Vittorio Emanuele II a cavallo (1866-67, Livorno, palazzo Larderel).
Nel 1875 si dimise dall’Accademia e, dopo lunga malattia, assistito da fra Fortunato da Empoli, morì, celibe, a Firenze il 12 gennaio 1876. Fu sepolto a Montenero (Livorno).
La sua effigie, scolpita in marmo da Giovanni Paganucci per il municipio di Livorno, è al Museo civico Giovanni Fattori che, nel marzo del 1877, con una pubblica sottoscrizione, acquistò centotredici disegni e bozzetti del pittore, fra i quali La moglie di Francesco Burlamacchi con Cosimo I e Il cardinale Richelieu con Maria Cristina di Savoia.
Fonti e Bibl.: Livorno, Biblioteca Labronica Francesco Domenico Guerrazzi, Fondo Pollastrini, f. 21; Archivio di Stato di Lucca, Commissione d’Incoraggiamento delle belle arti, arti e manifatture, f. 18: Pensioni di studio […] 1866; F. Pera, Appendice ai ricordi e alle biografie livornesi, II, Livorno 1877, pp. 205-223.
Disegni italiani del XIX secolo (catal.), a cura di C. Del Bravo, Firenze 1971, pp. 59-61; E. Spalletti, Gli anni del Caffè Michelangelo (1848-1861), Roma 1985, pp. 13, 15, 50-52, 72, 77, 124 s., 160, 234; Id., La pittura dell’Ottocento in Toscana, in La pittura in Italia. L’Ottocento, I, Milano 1990, pp. 312-316; L. Bassignana, ad vocem, ibid., II, p. 971; A.P. Torresi, Neo-medicei. Pittori, restauratori e copisti dell’Ottocento in Toscana. Dizionario biografico, Ferrara 1996, pp. 20, 172, 177-179, 253; C. Sisi, Percorso di E. P., in Museo Civico «G. Fattori». L’Ottocento, Pisa 1999, pp. 49-58; Storia delle arti in Toscana. L’Ottocento, a cura di C. Sisi, Firenze 1999, pp. 86, 88, 91, 132 s., 163, 179; E. Spalletti, Giovanni Dupré, Milano 2002, p. 104; V. Carpita, Antologia di documenti…, in I. Amadei - V. Carpita - M. Patti, Patrimonio artistico e identità cittadina. Storia del Museo civico «G. Fattori» di Livorno, Livorno 2008, pp. 15-22; A. Nannini, Michele Marcucci a Firenze durante gli anni di perfezionamento (1866-1875): relazioni e corrispondenza tra l’Accademia lucchese di Belle arti e i docenti fiorentini E. P. e A. Ciseri, in Luk, 2011, n. 17, pp. 68-77; M. Patti, Disegni e incisioni della collezione civica livornese, in Il Museo civico Giovanni Fattori. Il Novecento. Opere su carta, a cura di M. Patti, Livorno 2013, pp. 7-11.