RASTELLI, Enrico
RASTELLI, Enrico. – Nacque a Samara, in Russia, il 19 dicembre 1896, da Alberto e da Giulia Bedini, entrambi artisti circensi.
Trascorse l’infanzia in parte con i genitori in giro per il mondo, in parte a Bergamo, dove la madre aveva alcuni parenti e la residenza. Fu avviato allo studio del violino, ma il desiderio di intraprendere la professione circense ebbe presto il sopravvento. Giovanissimo, già si esibiva insieme ai genitori in un ‘numero’ di trapezi, camuffato da ragazza con l’aiuto di una parrucca: «Per la mia disinvoltura, leggerezza, ero il soggetto ideale per essere lanciato dalla cupola […]. Questo andò bene a lungo finché con grande divertimento del pubblico, la mia parrucca non cadde a terra. Questo, per il mio orgoglio, fu un grande colpo e perciò fu l’ultimo giorno in cui lavorai come acrobata. L’agilità degli equilibristi aerei e degli acrobati ebbe una grande importanza quando io divenni giocoliere» (Pandolfi, 1954, p. 512).
Rastelli cominciò dunque a dedicarsi alla giocoleria: a tenere in equilibrio, a lanciare e a riprendere palle, cerchi, piatti, forchette, coltelli, cappelli, birilli, bastoni. Giocolare esige un lavoro costante e tenace. Per tutta la vita gli allenamenti impegnarono Rastelli molte ore al giorno, tra le otto e le dieci, e per un periodo l’artista trascorse le notti su una branda «appesa alle corde del bucato, per imparare a mantenere l’equilibrio anche durante il sonno» (ibid., pp. 511-512).
I genitori compresero lo straordinario talento del figlio e crearono il Trio Rastelli, in cui si esibivano insieme a lui in un ‘numero’ di giocoleria ed equilibrismo. L’artista italiano trascorse la giovinezza tra la Russia e l’Oriente, dove ebbe modo di perfezionare la propria formazione. Prese lezioni di danza da Vaslav Nijinsky e scoprì, grazie al giocoliere giapponese Takashima, i giochi di Awata: su un bastone tenuto tra i denti, faceva rimbalzare, o teneva in equilibrio, una o più palle. Rastelli entrava in scena con un kimono dai ricami sontuosi, sotto il quale indossava un completo di seta bianca. Alla sacralità del gesto appresa dagli orientali, fu capace di affiancare la spettacolarità occidentale e una velocità di esecuzione mai vista prima di lui.
Nel 1915, in Russia, debuttò come solista nel circo Truzzi. Nello stesso anno superò il record di nove palle, detenuto dal giocoliere francese Pierre Amoros, riuscendo a giocolarne dieci: «Nessuno può immaginare quanta fatica ciò mi sia costato! Il pubblico non si accorse nemmeno che io giocavo con una palla di più, ma i miei colleghi lo capirono» (ibid., p. 513).
Nel 1917 sposò Henriette Price, una funambola che aveva dovuto corteggiare per qualche anno prima che il padre di lei, un famoso clown, acconsentisse al matrimonio.
Con l’arrivo della rivoluzione e della guerra, Rastelli e la sua famiglia furono costretti a lasciare la Russia. Nel 1919, a Odessa, riuscirono a imbarcarsi sulla nave italiana Roma, inviata dal governo per recuperare i connazionali, e tornarono in Italia.
In patria, però, Rastelli era quasi uno sconosciuto. La svolta che diede il via al suo successo mondiale, sia economico sia artistico, avvenne nel 1921. Il giocoliere, scritturato in quel momento dal circo Gatti e Manetti, fu notato dall’agente inglese Henry Sherek, che lo ingaggiò per una tournée nei più importanti teatri di varietà europei, tra cui l’Alhambra di Parigi e l’Olympia Hall di Londra.
Dall’Europa agli Stati Uniti: nel dicembre del 1922, Rastelli firmò un contratto con Herbert Marinelli, uno degli agenti più famosi d’America. Per 750 dollari a settimana e con il nome bene evidenziato in cartellone, fece una tournée nel circuito di sale Keith-Albee. Ebbe un immediato, grandissimo successo e si esibì nei più importanti teatri di varietà americani, compreso il celebre Palace di New York. Capitava a volte che qualcuno, tra il pubblico americano, salisse sul palcoscenico per controllare le palle e i bastoni, per constatare che non vi fossero trucchi: «Spesso volevano toccare me per assicurarsi che non fossi cosparso di gomma arabica. […] Se volessero capire che qui non c’è né miracolo né trucco! Un artista ha bisogno di talento e allenamento, nient’altro!» (ibid., p. 511).
Una volta ritornato nel vecchio continente, i teatri di varietà di tutta Europa fecero a gara per accaparrarsi il meraviglioso giocoliere; tra i tanti anche il Wintergarten di Berlino, all’epoca considerato un vero e proprio ‘tempio’ per il mondo dello spettacolo.
Rastelli ottenne un successo dietro l’altro, sia di pubblico sia di critica, e attirò l’attenzione di artisti e intellettuali del tempo. Le sorelle Vesque, illustratrici, lo ritrassero in alcuni disegni; il direttore della sezione teatrale del Bauhaus, Oskar Schlemmer, raccomandò ai propri studenti di studiarne gli allenamenti; lo scrittore Joachim Ringelnatz gli dedicò una poesia; e ancora: «Divenni superbo come un bimbo quando a Parigi il poeta René Bizet mi disse: “Lei ha istinto e naturalezza prodigiosi, come le foche del capitano Winston!”» (ibid., p. 512).
L’artista italiano divenne una vera e propria star. Rastelli fu fotografato in ogni posa, sia durante i suoi esercizi, sia nella vita quotidiana; perfino dentro la vasca da bagno, mentre leggeva il giornale tenendo in equilibrio un pallone sulla testa.
Fu anche un testimonial pubblicitario per diversi prodotti: calze di seta – capo d’abbigliamento che il giocoliere indossava in scena –, palloni, sigarette, addirittura macchine da scrivere.
Rastelli e la moglie ebbero tre figli: Elvira (1919), Anna (1921) e Roberto (1929). Ogni estate tornavano a Bergamo, per trascorrere del tempo con i bambini e gli altri familiari. Il giocoliere fece costruire una grande villa in via Mazzini, dove spiccava una torre, nella quale allestì il proprio laboratorio personale. Qui si divertiva a costruire gli attrezzi che poi avrebbe utilizzato in scena, a fabbricare piatti e bastoncini di legno, a colorare nuove palle. A chi gli chiedeva se a Bergamo dedicasse del tempo anche al riposo, Rastelli rispondeva perentorio: «Oh mai più! Mi metterò a giocolare all’aria aperta, nel mio giardino. Mi eserciterò a nuove idee, a nuove difficoltà. Riposare, non mi dice proprio niente. Io voglio gettare palle in aria, fare un salto e riprenderle a volo» (Da Silva, 1932, p. 41). Inoltre l’infaticabile giocoliere proseguiva i lunghi, quotidiani, allenamenti presso il teatro Duse.
Apprezzato per il suo «eterno sorriso fra il timido e l’ironico, come un bravo ragazzo pieno di modestia e di naturalezza» (ibid.), Rastelli, oltre che dal pubblico e dalla critica, fu stimato anche dai colleghi artisti, per la sua disponibilità a dare qualche consiglio su come preparare un esercizio, o a regalare qualche attrezzo che a lui non serviva più.
Il genio di Rastelli si manifestò non solo nella ferrea disciplina con cui si allenava, ma anche nella curiosità insaziabile che lo portava alla continua ricerca di idee su cui costruire ‘numeri’ sempre nuovi. Così, dopo essere tornato nel 1928 a esibirsi in America, nel 1930 debuttò in Germania come giocoliere ‘calciatore’. Con palle di cuoio cucito, eseguiva i suoi incredibili esercizi come se fosse su un campo di calcio: «si faceva lanciare uno dopo l’altro una ventina di palloni senza toccarli colle mani, se li faceva passare dal calcagno alla nuca, di qui al ginocchio, dal ginocchio alla testa e li lasciava infine cadere a piombo, per calciarli con violenza nel goal costruito in fondo al palcoscenico» (ibid., pp. 38-40). Come sempre il successo fu clamoroso, e Rastelli fu invitato come ospite d’onore in diverse manifestazioni sportive.
Nel 1931 si presentò finalmente l’occasione per uno spettacolo in Italia, dove Rastelli non si esibiva da anni e dove la sua notorietà non era così grande come nel resto del mondo.
Firmò un contratto con la ditta Suvini-Zerboni: il debutto era previsto per i primi giorni di dicembre proprio nella ‘sua’ Bergamo, al teatro Duse, poi sarebbe stata la volta di Milano.
Rastelli però, pochi giorni prima di arrivare in Italia, si ferì alla bocca durante uno spettacolo in Germania. Con un bastoncino, stretto tra i denti, riceveva delle palle lanciate dal pubblico. Una di queste però, scagliata con troppa violenza contro il bastoncino, gli procurò una ferita.
A dispetto delle precarie condizioni di salute, Rastelli proseguì la preparazione della tournée in Italia e il perfezionamento del proprio ‘numero’, portando quest’ultimo all’eccezionale durata di un’ora così da onorare al meglio le date italiane. Arrivato a Bergamo, si sottopose ad alcune visite mediche: gli fu diagnosticata l’emofilia e consigliato un periodo di riposo. Rastelli decise di andare comunque in scena. Dopo alcune repliche, le sue condizioni peggiorarono.
Morì nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1931. Aveva 34 anni.
I funerali si svolsero a Bergamo il 15 dicembre: il corteo funebre, che partì dalla villa di via Mazzini, era gremito di artisti e di persone comuni. Il centro della città fu chiuso al traffico, le lezioni nelle scuole furono interrotte per permettere a insegnanti e alunni di rendere omaggio al meraviglioso giocoliere, i teatri osservarono un minuto di silenzio. La scomparsa di Rastelli ebbe una potente eco, la notizia fu rilanciata dalle radio e dai giornali nazionali e internazionali. Orio Vergani scrisse sul Corriere della sera un lungo e commosso articolo: «Enrico Rastelli non si “racconta”. Non si spiega quello che fu il suo “numero”, l’esercizio che ogni sera, davanti ai pubblici di tutto il mondo, avvicinò al prodigio quest’uomo che, nel centro della pista di un circo o alla ribalta di un teatro, mostrava di poter vincere, sorridendo, tutte le leggi della gravità e dell’equilibrio […]. L’allenamento gli costava una fatica immensa. Il suo esercizio richiedeva una fissità estenuante di attenzione che logorava i nervi e creava una paurosa anemia. Pallido, esangue, compiva il suo “numero” con uno sforzo terribile che, ad ogni esercizio, lo lasciava prostrato. Ma anche un giocoliere può soffrire di quell’allucinante amore che è l’amore per l’arte. […] Tornava adesso, dopo dieci anni di assenza, a ripresentarsi in patria, in Italia […] e la sua grande gioia era di tornare, celebre, davanti ai pubblici nostri che di lui, italiano nomade, dovevano così poco rammentare. […] Si presentò sorridente al pubblico. Trionfò. Non temeva l’insidia» (O. Vergani, Il giocoliere prodigio, la morte di Enrico Rastelli, in Corriere della sera, 14 dicembre 1931, p. 3).
La moglie di Rastelli ripose nella bara anche due bastoncini di legno e una piccola palla, il «simbolo stesso della vita del più grande artista di circo del ventesimo secolo […] vittima della propria professione e di una passione fanatica» (Seldow, 1955, p. 5).
Il mausoleo del giocoliere, nel cimitero Monumentale di Bergamo, è ancora oggi meta di pellegrinaggio per gli artisti circensi di tutto il mondo. Qui una statua a grandezza naturale ricorda e celebra le gesta di Rastelli, ritratto mentre tiene in equilibrio una palla su un dito.
Fonti e Bibl.: M. Da Silva, Rastelli, in Scenario, febbraio 1932, 1, pp. 37-41; V. Pandolfi, Antologia del grande attore, Bari 1954; W.M. Seldow, Il giocoliere Rastelli pagò il suo trionfo con la vita, in La Fiera Letteraria, 9 gennaio 1955, p. 5; A. Cervellati, Questa sera grande spettacolo. Storia del circo italiano, Bologna 1961 ad ind.; J. Medrano, Une vie de cirque, Parigi 1983, pp. 63-73; P. Barachetti, E. R., Bergamo 1996; K.-H. Ziethen, E. R. und die besten Jongleure der Welt, Berlino 1996; A. Serena - K.H. Ziethen, Luci della giocoleria, Viterbo 2002, ad ind.; L. Angelini, L’attore-giocoliere. Da E. R. al nuovo circo, Roma 2008; A. Serena, E. R., il giocoliere, in Quaderni dello Spettacolo, febbraio 2008, pp. 9-31.