SALERNO, Enrico (Enrico Maria). – Nacque a Milano il 18 settembre 1926 da Antonino, amministratore giudiziario di origini siciliane, e da Milka Storff, violinista slava, secondo di quattro fratelli (Titta, Ferdinando, Vittorio)
Durante la guerra si trasferì con la famiglia nelle Prealpi lombarde e dopo l’armistizio si arruolò nella milizia della Repubblica sociale italiana prendendo i gradi di sottotenente. Con la Liberazione fu catturato dai partigiani e trascorse un periodo di prigionia a Pisa.
Dopo le guerra si avvicinò al mondo della recitazione come autodidatta. Nel 1946 a Pesaro durante il servizio militare per l’esercito italiano studiò dizione e organizzò una compagnia di filodrammatici. Ripresi gli abiti civili si iscrisse alla facoltà di lettere, senza però concludere il percorso di studi; nel 1947 recitò con la famiglia Rame e nel 1948 fece parte della compagnia di operette Trenzi-De Zan. Nei manifesti di questo periodo iniziò ad affiancare al suo nome anagrafico quello di Maria.
Il fisico prestante, il carattere risoluto e lo spirito vivace gli valsero nel 1949 la scrittura come generico della compagnia Tofano-Cimara-Adani. Un anno più tardi l’interpretazione nel dramma Il poverello di Jacques Copeau attirò su di lui l’attenzione di Giorgio Strehler che volle dirigerlo in La morte di Danton (1950) di Georg Büchner. Approdato come attor giovane al Piccolo Teatro di Roma (1951), affinò la sua predisposizione a uno stile essenziale e interiore recitando per Orazio Costa e Mario Ferrero. L’itinerario formativo proseguì con la compagnia Gioi-Cimara (1952-53) – dove si impose nell’Adolescente di Jacques Natanson – e con la formazione milanese del Teatro Stabile di via Manzoni (1953-54) con la quale, a fianco di Memo Benassi, Lilla Brignone e Gianni Santuccio, si distinse nelle interpretazioni de I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij e nell’Allodola di Jean Anouilh. Il nome in ditta con Luigi Cimara e Anna Maria Guarnieri (1954) e la promozione a primo attore presso il Piccolo Teatro di Palermo (1955) completarono la sua ascesa ai ranghi alti del teatro italiano.
Considerato, insieme a Vittorio Gassman e Giorgio Albertazzi, uno dei più promettenti alfieri della nuova generazione di attori, inanellò prestigiose partecipazioni a vari spettacoli all’aperto o d’eccezione in cui si misurò anche con la drammaturgia di Eschilo (Agamennone, 1952) e di Euripide (Ifigenia in Tauride, 1957).
A Roma aveva intanto sposato nel 1951 Fioretta Pierella da cui ebbe quattro figli: Giovan Battista, Eduardo, Petruccio e Nicola.
A scommettere sulla recitazione moderna di Salerno, sulla sua capacità di rendere in maniera asciutta i moti d’animo dei personaggi dalla complessa psicologia, fu il valente impresario Ivo Chiesa che, nell’ottobre del 1955, lo scritturò come primo attore della compagnia del Piccolo Teatro di Genova. Diretto da Alessandro Fersen fu il protagonista di Liolà (1956) di Luigi Pirandello e del Diavolo Peter (1957) di Salvato Cappelli per la cui interpretazione ottenne il premio Saint-Vincent. Per Luigi Squarzina recitò nel 1957 nei Demoni di Dostoevskij nell’adattamento di Diego Fabbri e nella ‘prima’ italiana di Misura per misura di William Shakespeare su traduzione di Salvatore Quasimodo. Fu attore-regista di testi di Vittorio Alfieri, Marco Praga, Carlo Bertolazzi, Luigi Candoni e Armand Salacrou di cui per primo mise in scena Una donna troppo onesta (1956). Nella formazione ligure strinse un legame sentimentale con la collega Valeria Valeri da cui nel 1957 nacque la figlia Chiara, attrice e doppiatrice.
Un maggior impegno sul piano politico e civile caratterizzò l’attività di Salerno dopo l’improvviso allontanamento dalla compagnia di Genova, consumato nel corso di una tournée sudamericana nel 1958 durante la quale si erano acuite le incomprensioni artistiche e caratteriali con Chiesa. Nel 1960 fu tra i fondatori della Società attori italiani e, insieme a Giancarlo Sbragia e Ivo Garrani, inaugurò la compagnia Attori associati recitando in opere inedite e di denuncia sociale tra cui Sacco e Vanzetti (1960) di Mino Roli e Luciano Vincenzoni con cui vinse il premio della critica San Genesio. Bissò poi quel riconoscimento con Chi ha paura di Virginia Woolf? (1964) di Edward Albee in cui per la direzione di Franco Zeffirelli comparve al fianco di Sarah Ferrati. La sua curiosità lo spinse a tentare anche il filone musicale. Diretto da Claudio Abbado nel 1966 cantò la parte principale nel Manfred di Byron al Teatro dell’Opera di Roma per la regia di Mauro Bolognini e due anni più tardi figurò nella commedia di Pietro Garinei e Sandro Giovannini Viola, violino e viola d’amore.
Il cinema e i palinsesti radiotelevisivi contribuirono alla popolarità nazionale di Salerno. In radio, dove aveva debuttato nel 1948, l’attore fu piuttosto assiduo per tutto il corso degli anni Cinquanta, prediligendo la drammaturgia italiana del Novecento (da Ugo Betti a Diego Fabbri a Primo Levi) con alcune incursioni nel repertorio francese di Molière e Jean Racine. In televisione spaziò dalla prosa, in cui assecondò la predilezione per i testi shakespeariani (Romeo e Giulietta, 1959; Macbeth, 1960; Antonio e Cleopatra, 1965), a sceneggiati di ottimo livello e dai gratificanti indici di ascolto: Orgoglio e pregiudizio (1957), Umiliati e offesi (1958), I figli di Medea (1959), Mastro don Gesualdo (1964), La famiglia Benvenuti (1968). Ospite di alcuni sketch di Carosello, si occupò sporadicamente di programmi di intrattenimento: fu tra gli ideatori e conduttori di Concerto di prosa (1961-62) e fu direttore di gara del Cantagiro (1962 e 1965); presentò l’edizione 1970 del Festival di Sanremo e la trasmissione nostalgica Ieri e oggi (1978-79). Per il piccolo schermo diresse i TV-movies Disperatamente Giulia (1987, premio Flaiano) e Il barone (1989) e prese parte ad alcuni recitals tra cui il Paradiso di Dante (1989).
Al cinema, genere cui si era accostato nei primi anni Cinquanta, partecipò a più di novanta film. Dette ottime interpretazioni drammatiche in ruoli di contorno come il presuntuoso gerarca fascista di Estate violenta (1959) di Valerio Zurlini e soprattutto l’ambiguo farmacista Piero Barillari di La lunga notte del ’43 (1960) di Florestano Vancini, personaggio con il quale vinse il Nastro d’argento. Dal sodalizio artistico con il regista ferrarese videro la luce anche l’intellettuale in crisi esistenziale di Le stagioni del nostro amore (1966), con cui Salerno si aggiudicò la Grolla d’oro, e il pubblico ministero di La violenza: quinto potere (1971). Collaborò inoltre con registi del calibro di Pasquale Festa Campanile, Antonio Pietrangeli, Roberto Rossellini e Luigi Zampa, imponendosi poi come il prototipo del commissario con La polizia ringrazia (1972) di Steno.
Usò i toni del grottesco, del cinismo e dell’ironia per caratterizzare molti dei personaggi da commedia come il delirante santone dell’Armata Brancaleone (1966) di Mario Monicelli, il pacato ragioniere di Vedo nudo (1969) di Dino Risi, il colonnello papalino di Nell’anno del Signore (1969) di Luigi Magni, il maturo professore universitario di Amori miei (1978) di Steno, l’avido mantenuto di Il volpone (1988) di Maurizio Ponzi. Fu anche un eccellente doppiatore. Prestò la sua voce nitida e suadente al fascinoso Farley Granger di Senso (1954) di Luchino Visconti, al pistolero Clint Eastwood della ‘Trilogia del dollaro’ di Sergio Leone, al ‘Cristo’ del Vangelo secondo Matteo (1964) di Pier Paolo Pasolini. Fu inoltre il narratore di Guerra e pace (1965) di King Vidor.
Come regista guardò con interesse alla realtà sociale del suo tempo proponendo un cinema intimistico e dalle atmosfere rarefatte: con la struggente opera prima Anonimo Veneziano (1970) vinse il David di Donatello ex aequo con Nino Manfredi (Per grazia ricevuta) e Visconti (Morte a Venezia). Deluso dal minor successo di Cari genitori (1973) ed Eutanasia di un amore (1978), tornò con dedizione alla prosa che non aveva peraltro mai abbandonato recitando, nel frattempo, con Paolo Stoppa in Giochi da ragazzi (1970) di Robert Marasco e in Le rose del lago (1974) di Franco Brusati. Nel 1979 fondò una propria compagnia di cui fu capocomico, attore e regista e con la quale, dopo l’esordio con Il magnifico cornuto di Fernand Crommelynck, ottenne il permesso da Eduardo De Filippo di allestire i testi Io, l’erede (1980) e Questi fantasmi (1981). Nel 1987 si unì in seconde nozze con l’attrice Laura Andreini e nel periodo successivo, nel pieno della maturità, mise il sigillo su una carriera interpretativa di prim’ordine attraverso memorabili prove di scena: l’allucinato Kerzencev del Pensiero (1989) di Leonid Andreev, il Padre dei Sei personaggi in cerca d’autore (1991) di Luigi Pirandello, Willy Loman di Morte di un commesso viaggiatore (1993) di Arthur Miller. Colto da gravi segni di un male incurabile dovette invece rinunciare al progetto di allestire Re Lear.
Morì a Roma il 28 febbraio 1994.
Fonti e Bibl.: L’archivio privato dell’attore è conservato a Castelnuovo di Porto (Roma) presso il Centro studi Enrico Maria Salerno. Per un resoconto dei documenti si veda M. Procino, E.M. S.: un attore e un archivio tutto da riscoprire, in Il Mondo degli archivi, XIII (2005), http://enricomariasalerno.it/archivio.htm (2 luglio 2017).
Tra le voci in enciclopedie e dizionari biografici è tuttora valida per notizie sulla prima parte della carriera dell’attore quella di F. Savio nell’Enciclopedia dello spettacolo, VIII, Roma 1961, coll. 1419 s.; per un inquadramento dell’attività per il piccolo e grande schermo si consultino, rispettivamente, la voce nell’Enciclopedia della televisione Garzanti, a cura di A. Grasso, Milano 2008, p. 701 e quella nel Dizionario del cinema italiano. Gli attori, a cura di R. Chiti et al., Roma 1998, pp. 437 s. Per la carriera radiofonica si rimanda al lemma nell’Enciclopedia della radio, a cura di P. Ortoleva - B. Scaramucci, Milano 2003, pp. 765 s. Per quanto riguarda l’attività teatrale si vedano i brevi profili di U. Ronfani, Salerno, un addio da grande attore, in Hystrio, VII (1994), 2, p. 46, e G. Geron, E.M. S. Il piacere della provocazione, in Sipario, 2001, n. 630, pp. 44-46; A. Di Mario, S. E.M., in Enciclopedia del cinema, IV, Roma 2004, pp. 749 s.
Tra i contributi bibliografici si segnalano: M. Giammusso, Il teatro di Genova: una biografia, Milano 2001, pp. 35 ss.; V. Salerno, E.M. S. mio fratello, Roma 2002; E.M. S.. Eutanasia di un filmaker, a cura di F. Francione, Alessandria 2002.