SESSA, Enrico
SESSA, Enrico. – Nacque verosimilmente nella prima metà del XIV secolo da una famiglia ticinese di rango capitaneale di cui sono noti i solidi interessi patrimoniali nel Luganese e in Valtravaglia; non c’è certezza sui nomi dei genitori.
Poiché il ramo del casato da cui discese Enrico – quello radicato in Valtravaglia – è menzionato nella Matricula delle nobili famiglie milanesi del 1377, è plausibile l’identificazione del personaggio con l’omonimo chierico figlio di Pietro Sessa cui nel 1341 Benedetto XII conferì un canonicato della cattedrale milanese, previa rinuncia a un canonicato nella collegiata di S. Vittore di Travaglia e a un beneficio nella chiesa dei Ss. Andrea e Biagio a Cittiglio.
L’origine di Sessa è stata alquanto dibattuta dalla storiografia erudita. Mentre Francesco Ballarini la ricondusse al ramo del casato stanziato nella pieve di Agno, nel Luganese, Ferdinando Ughelli ritenne che il presule fosse oriundo della famiglia Sesso di Reggio. La carica di arciprete della cattedrale di Milano, di cui riferì Ughelli, costituì invece per Primo Luigi Tatti un’efficace certificazione della provenienza milanese del chierico, suffragata dalla menzione della sua famiglia nella Matricula nobilium. Deve essere quindi del tutto respinta anche l’origine laziale del personaggio, proposta recentemente da Jean Glénisson e Guillaume Mollat sulla scorta dell’errata identificazione della località di Sessa con Sezze.
Mancano dati circostanziati sulla formazione del chierico che era qualificato dottore in entrambi i diritti nel 1350, quando leggeva diritto canonico in Romana curia; alla stessa data egli era titolare dell’arcipretura nella cattedrale di S. Maria maggiore di Como. La carriera di Enrico fu certamente esito della profonda intrinsichezza con la Curia pontificia avignonese. Una supplica avanzata in suo favore nel 1352, in particolare, ne attesta il legame con il cardinale Pierre Roger de Beaufort, il futuro pontefice Gregorio XI; ma decisiva per le sue fortune fu l’appartenenza alla familia del cardinale Gil Alvarez de Albornoz, di cui dallo stesso anno è qualificato capellanus e auditor.
Tra l’agosto e il novembre del 1352 l’alto prelato impetrò per Sessa il canonicato nella chiesa di Vercelli vacante per la morte di Giacomo de Miralda e la prepositura curata della chiesa di S. Giulio d’Isola; ancora su richiesta del cardinale, nel gennaio dell’anno seguente Enrico ottenne la riserva del primo canonicato vacante nella chiesa maggiore di Verona. Dalle suppliche presentate in queste circostanze risulta che il familiare dell’Albornoz deteneva anche canonicati nelle cattedrali di Milano e di Novara e nella chiesa di S. Vittore di Travaglia, benefici nelle chiese di S. Giovanni de Quartona e di S. Bartolomeo di Borgolavezzaro (conseguiti in virtù di una riserva su benefici di collazione del capitolo e del vescovo di Novara per un valore non superiore ai 40 fiorini di camera), mentre non era ancora stata perfezionata la presa di possesso dell’arcipretura di Como; probabilmente nel 1353, inoltre, Sessa rinunciò in Curia all’arcipretura della chiesa di S. Maria di Viguzzolo, in quanto in data 10 settembre essa fu impetrata dal milanese Bellonus de Ligatoribus.
In data 15 settembre 1353, durante la sosta che fece a Milano alla vigilia della sua legazione in Italia, Albornoz nominò Sessa suo uditore generale insieme al giurista Juan Martinez, delegando loro la decisione delle cause nelle province comprese nel suo mandato. Effettivamente, da solo o in tandem con il collega spagnolo, da allora Sessa risulta tra i più stretti collaboratori del cardinal legato nella campagna militare e diplomatica volta a ristabilire l’autorità pontificia nell’Italia centrale. Nel giugno del 1354 egli fu tra i testimoni della presa di possesso di Viterbo (14 giugno) e ricevette il giuramento di fedeltà dei cittadini di Orvieto dopo la cessione della città da parte di Giovanni di Vico (22 giugno); in agosto fu incaricato di riscuotere da Giovanni Visconti la somma di 96.000 fiorini corrispondente alle paghe dei 300 militi che, secondo la concessione del vicariato su Bologna nel 1352, l’arcivescovo di Milano si era impegnato a mettere a disposizione della Chiesa quattro mesi all’anno, per un tempo illimitato. In autunno, ancora, Sessa fu incaricato di pacificare le città di Narni (23 ottobre) e di Terni (4-11 novembre) e presenziò quale testimone alla presa di possesso di Viterbo da parte dell’Albornoz (14 dicembre). Nella tarda primavera del 1355 nelle mani di Sessa giurarono fedeltà i cittadini di Recanati (4-5 aprile) e di Macerata (13-15 maggio); in luglio fu tra i testimoni del riconoscimento della signoria della Chiesa su Urbino e alla formalizzazione delle convenzioni tra il cardinale Albornoz e i Malatesta (8 luglio), ottenne da Filippuccio Tani di Jesi l’impegno a restituire la rocca di Roncitelli (9 luglio) e ricevette il giuramento di fedeltà degli anconetani (21-22 luglio). Era vicario spirituale della Marca di Ancona in data 9 novembre 1355, quando assistette all’infeudazione di Tolentino e San Ginesio a Ridolfo di Berardo, mentre tre giorni dopo fu tra i testimoni della concessione in feudo di parte del castrum di Onano a Petruccio di Cola da Farnese; nel 1356 fu presente all’assegnazione ad alcuni fermani delle proprietà confiscate a Vannuccio di Bongiovanni e a Galdino di Monte (4 febbraio) nonché all’assoluzione dalla scomunica degli ascolani (14 giugno), che successivamente prestarono nelle sue mani il giuramento di fedeltà alla Chiesa (2-5 luglio). Nel 1357, ancora, la prossimità con Albornoz è documentata dalla sua presenza al giuramento di Guido da Polenta (5 gennaio) e dal ruolo di commissario del legato, insieme ad Andrea Francesco Piccolomini, nella stipula dei patti triennali con Corrado di Landau a tutela del distretto di Siena (14 settembre).
In data 21 agosto 1357 gli fu conferita la cattedra di Pesaro vacante per traslazione a Chiusi di Biagio Geminelli, ma era ancora vescovo electus della città marchigiana quando il 12 ottobre dell’anno successivo Innocenzo VI lo trasferì alla diocesi di Ascoli. Il governo di Sessa non ha lasciato tracce significative nella storiografia sulla Chiesa ascolana; in ogni caso, già alla fine del 1362 (19 dicembre) Sessa ottenne la diocesi di Brescia vacante per la morte di Raimondo Bianchi di Velate, mentre il canonicato e l’arcipretura da lui occupati nella chiesa maggiore di Milano furono provvisti al decretorum doctor Cristoforo de Medicis.
La documentazione bresciana è scarsa, e concerne solo l’amministrazione della mensa vescovile, oltre a una concessione di indulgenze alla disciplina dei Ss. Faustino e Giovita data nel 1365. È possibile comunque identificare alcuni suoi collaboratori come i vicari generali Enrico da Velate (1362-1364), Francesco da Incisa (1364, 1366) e Domenico da San Severino, i negotiorum gestores Matteo da Incisa, Domenico Bestagni (entrambi originari della diocesi di Acqui) e Gervasio Aldrigoni di Rudiano, responsabili dell’amministrazione del patrimonio dell’episcopio nella seconda metà degli anni Sessanta.
A questo periodo risale infine una lettera indirizzata da Urbano V al legato Androin de la Roche, nella quale si allude alla traslazione del vescovo ad altra sede richiesta da Bernabò Visconti, probabilmente nell’intento di estendere il controllo signorile sulla provvista dei benefici maggiori – richiesta che tuttavia non incontrò il favore del pontefice (28 febbraio 1364).
Ben documentata è invece l’assidua attività diplomatica al fianco dell’Albornoz, di cui è qualificato cancelliere almeno dal 1359 al 1364. Nel 1359, in particolare, il prelato fu tra i testimoni dell’arbitrato pronunciato dal cardinale per dirimere le questioni tra i Comuni di Perugia e Siena (7 maggio-1 giugno) e gli furono delegate la riforma e la pacificazione della città di Spoleto (25 ottobre); due anni dopo ottenne la riconciliazione del rettore di Montalto con Rinaldo Orsini; dall’agosto del 1365 al giugno del 1366 accompagnò Albornoz nella legazione nel Regno di Sicilia; in data 4 aprile 1367 fu incaricato dal presule di rinnovare per sette anni la lega conclusa nel 1362 contro Bernabò Visconti con Este, Della Scala e Carraresi. Nel 1364 Albornoz nominò Sessa suo esecutore testamentario, mentre nel codicillo steso nell’agosto del 1367 lo indicò tra i fiduciari incaricati di agire secondo quanto disposto dagli esecutori; in questa veste, il vescovo di Brescia presenziò alla declaratio testamenti seguita alla scomparsa del suo illustre patrono.
La morte dell’Albornoz non segnò la fine dell’impegno diplomatico di Sessa, al quale anzi Urbano V delegò le cause rimaste indecise a causa della scomparsa del cardinale; nel novembre del 1367, inoltre, il nuovo legato Anglic de Grimoard lo designò suo vicario per riformare Urbino e la Massa Trabaria – qualifica, questa, che ricorre anche in alcune lettere indirizzategli da Urbano V nel novembre del 1369 e nel gennaio del 1370. Anche durante il mandato per conto del Grimoard l’opera del reformator, «che per le cose della Flaminia e della Trabaria era il consigliere più ascoltato» (Franceschini, 1954, p. 61), fu improntata al ridimensionamento dei poteri signorili: dopo aver privato i Montefeltro della custodia di Urbino, il presule condusse un’inchiesta sui tumulti scoppiati a Fabriano contro i Chiavarelli, che restituirono alla Chiesa la città, di cui peraltro ottennero la custodia; nel 1369, ancora, egli intervenne a Città di Castello, consolidando il controllo della Sede apostolica su di essa attraverso la proclamazione del podestà Lapo Ricasoli a vicario «pro domino nostro papa et romana Ecclesia» e la riscossione del censo di cinquecento fiorini dovuti alla camera apostolica.
Nell’ottobre dello stesso anno, in seguito alla morte del vescovo Stefano Gatti, Sessa era stato traslato alla diocesi di Como (22 ottobre 1369).
Subito Sessa avviò una politica di recupero e di riaffermazione dei diritti vescovili su beni e diritti usurpati, anche attraverso iniziative di inventariazione e di censimento. Presso la sede episcopale comasca Sessa agì in prima persona solo sporadicamente; sono però noti i suoi vicari e collaboratori, alcuni dei quali a lui legati da vincoli di affinità o originari dello stato della Chiesa: si tratta di Matteo da Rimini, Corrado de Bonominibus, decano di S. Colombano di Bologna, Pietro Sessa (almeno fino al 1372); successivamente Rainaldo de Mellis (arcidiacono di Cortona, procuratore della mensa dal 1372 al 1375), Pescamontino Crepa, Domenico di San Severino, celestiniano, Leonardo Ferrari celestiniano (1374), Giovanni Bonomi di Gallarate (1376), Luchino da Crescenzano (vicario nel 1377), Stefano Nasi (vicario nel 1380), Cristoforo da Sessa, Tommaso Borsieri e Agostino Orelli (1377), Giovannolo da Fenegrò, Alberto Riva (due notai).
Anche nell’ultimo decennio della sua vita, in realtà, Sessa fu attivo prevalentemente nell’Italia centrale. Si trovava ad Arezzo nella primavera del 1370, quando Urbano V lo incaricò di dare esecuzione alla provvista del priorato di S. Savino in Val di Chio, mentre l’anno seguente (4 dicembre 1371) Gregorio XI gli affidò la ricognizione delle cause promosse contro i Chiavarelli, che nel 1368 avevano rinunciato definitivamente alla custodia di Fabriano. All’aprile del 1372 risalgono alcune lettere indirizzate dal pontefice a Niccolò d’Este, Cansignorio della Scala e a Ludovico II Gonzaga affinché sostenessero Sessa, incaricato di trattare negozi della lega antiviscontea; nel corso di questa missione il vescovo di Como prese parte all’incontro tra i procuratori di Venezia e di Padova che a Borgoforte trattarono la definizione dei confini della pieve di Lova contesi tra la Serenissima e i Carraresi (15 maggio).
Le ultime notizie reperite datano al marzo del 1376, quando a Bologna Sessa fu fatto prigioniero nel corso della rivolta che rovesciò il governo del cardinal legato Guillaume de Noëllet. Morì dopo il 19 giugno ed entro il 9 agosto 1380, quando la cattedra episcopale comasca rimasta vacante fu conferita a Beltramo Borsani; secondo Ferdinando Ughelli, fu sepolto nella cattedrale della città lariana.
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