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Enrico VIII Re d'Inghilterra

Dizionario di Storia (2010)
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Enrico VIII Re d'Inghilterra


Enrico VIII

Re d’Inghilterra (Greenwich 1491-ivi 1547). Secondo figlio di Enrico VII e di Elisabetta di York, erede al trono dopo la morte (1502) del fratello Arturo, ebbe un’educazione molto accurata e vivi interessi umanistici. Incoronato re d’Inghilterra il 22 aprile 1509, sposava, per volere del Consiglio privato e con la dispensa di papa Giulio II, Caterina d’Aragona, vedova del fratello Arturo. Nel 1511, rompendo il lungo isolamento inglese, E. si unì alla Lega santa di Giulio II e di Ferdinando il Cattolico contro Luigi XII di Francia; nel 1512 Wolsey, favorito di E., ottenne dal Parlamento i fondi per la disastrosa campagna di Guascogna, compensata l’anno dopo dalle vittorie di E. a Guinegatte (13 agosto) e del conte di Surrey a Flodden Field (9 settembre), dove veniva sconfitto e ucciso Giacomo IV di Scozia. È l’inizio della politica di potenza del Wolsey, che avrebbe dominato fino alla morte, in qualità di lord cancelliere, la politica interna ed estera del Paese: mentre E. curava la formazione d’una grande flotta e sollecita, in rivalità con la Spagna, grandi viaggi d’esplorazione, Wolsey mirava al consolidamento del potere monarchico attraverso una progressiva centralizzazione burocratica e lo scioglimento del Parlamento, ma soprattutto si impegnava in una complessa azione diplomatica che, legando il papato all’Inghilterra, ne affermasse l’egemonia di contro a Francia e Spagna in lotta. Così, dopo la pace con la Francia (1514), Maria, la sorella di E., andò sposa a Luigi XII re di Francia e, dopo l’incoronazione imperiale di Carlo V, il figlio di Francesco I sposò la figlia di Enrico. Ma l’alleanza di Gravelines (10 luglio 1520) con Carlo V spostava l’ago della bilancia verso la Spagna; e nel 1523 la guerra contro la Francia aveva inizio. La mancanza di denaro costrinse però Wolsey a convocare il Parlamento, che gli rifiutò i sussidi e l’indusse a ricorrere a un prestito forzoso ch’ebbe presto effetti insostenibili. Nel 1524 l’Inghilterra si ritirò dalla lotta; l’anno dopo, la vittoria di Carlo V a Pavia segnò la disfatta della diplomazia di Wolsey. Seguì un’alleanza precipitosa dell’Inghilterra con la Francia e col papa, quindi il sacco di Roma (1527) e la Pace di Cambrai (1529). Con la politica diplomatica di Wolsey naufragava anche la sua politica religiosa: legato a latere a vita (1524), egli si era attirato l’ostilità del Parlamento antipapale e del clero inglese. Inoltre alla richiesta di E. perché sostenesse il suo divorzio da Caterina e gli consentisse di sposare Anna Bolena (matrimonio da cui sperava di ottenere l’auspicato erede maschio), Wolsey, temendo che se ne sarebbe avvantaggiato il partito anticlericale, sollecitò in vario modo il differimento della causa, aiutato in ciò dal cardinale Campeggi, legato del pontefice. Per tutta risposta, E. convocò il Parlamento e, sbarazzatosi di Wolsey, prese l’iniziativa dell’attacco contro il clero e il papa: sostituì i funzionari ecclesiastici con altri secolari e, dopo aver attaccato (1530) le rendite ecclesiastiche, la pluralità dei benefici e la non residenza del clero, estese a tutto il clero l’accusa già rivolta al Wolsey d’aver violato lo Statute of praemunire (1353), che faceva divieto ai cittadini inglesi di sottoporsi alla sovranità papale, e lo costrinse a riconoscere in lui il capo della Chiesa inglese (1531); nel 1533 l’Act in Restraint of appeals vietava conseguentemente ogni appello a Roma. T. Cromwell era intanto successo a Wolsey come segretario del re (1534) mentre T. Cranmer, nominato da E. arcivescovo di Canterbury, intraprendeva l’edificazione della Chiesa anglicana. Era stato lui a proclamare (23 aprile 1533) l’annullamento del primo matrimonio di E. e a incoronare (1° giugno) Anna Bolena: il 7 settembre nasceva Elisabetta. L’atto di successione (1534), che poneva la corona sul capo di Elisabetta, e l’atto di supremazia, dello stesso anno, secondo il quale era tradimento negare la supremazia ecclesiastica di E., completarono la separazione della Chiesa inglese da Roma e la sua sottomissione alla monarchia. Intanto nel luglio 1533 Clemente VII aveva scomunicato E. il quale, appoggiato dal Parlamento e dalla nazione, reagì giustiziando (1535) fra gli altri Tommaso Moro e il vescovo J. Fisher, e avviando la soppressione dei monasteri. L’incameramento dei beni ecclesiastici favorì l’ascesa dei proprietari più ricchi e dinamici, sostenuti dai riformatori luterani già attivi in Inghilterra. E., che per un momento s’era lasciato persuadere da T. Cromwell a introdurre la Riforma e a stabilire alleanze coi protestanti di Germania, di fronte al pericolo di organismi religiosi che sfuggissero al suo controllo s’irrigidì nell’opposizione, appoggiandosi al Parlamento, e nel 1539 faceva approvare il Six articles act che comminava la pena di morte a chi negasse le dottrine cattoliche della transustanziazione, della comunione sotto una sola specie e del celibato dei preti (nel 1521 E. aveva composto e inviato a Leone X una Assertio septem sacramentorum adversus M. Lutherum che gli era valsa il titolo di Defensor fidei, attribuitogli dal papa con una bolla dell’11 ottobre di quell’anno). Con altrettanta decisione E. perseguiva la sua politica matrimoniale: preoccupato della stabilità dinastica, non garantita appieno da un’erede femminile, nel 1536 faceva giustiziare Anna, accusata di adulterio, e sposava Jane Seymour il 30 maggio dello stesso anno; il 12 ottobre nasceva Edoardo, ma dieci giorni dopo la madre moriva. Il 3 gennaio 1540 Cromwell, proseguendo la politica filoprotestante, induceva E. a sposare Anna di Clèves; ma Anna fu subito ripudiata e Cromwell condannato e giustiziato (28 luglio). La caduta del ministro segnò l’apice del dispotismo di E.; nel 1540 E. sposò Caterina Howard, sostenuta a corte dal vescovo Gardiner capo del partito «cattolico». Due anni dopo, però, anche lei venne giustiziata (1542); il 12 luglio E. sposò la sesta e ultima moglie, Caterina Parr, mentre il distacco del partito «cattolico» sembrava farsi più accentuato (sono di questi anni alcune riforme in senso protestante). Gli ultimi anni sono ancora segnati da alcuni fatti militari: la campagna scozzese (1542), conclusasi con la vittoria di Solway Moss, la lotta contro la Francia (occupazione di Boulogne, 1544) legata alla Scozia, la rivolta della Scozia. Ma pure in questi anni l’Inghilterra restava fedele al sovrano che l’aveva fatta nazione: scomparso il feudalesimo medievale, l’aristocrazia aveva appreso dalla lotta contro Wolsey e Cromwell la necessità d’appoggiarsi al sovrano e di ottenerne, con la pace interna, favorevole sostegno per le grandi imprese commerciali cui fin da allora mirava. Di ciò E. ebbe negli ultimi anni di regno piena consapevolezza, attribuendo al dispotismo Tudor questo carattere nazionale e tentando un superamento del conflitto religioso attraverso una formula conciliativa che avrebbe fatto, dopo i regni di Edoardo VI e Maria I, la grandezza di Elisabetta.

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enrico s. m. (pl. -chi). – Nome di varie monete fatte coniare da sovrani di nome Enrico o portanti il suo nome: tra esse, il denaro poi chiamato bolognino, coniato a Bologna dal 1191 e che portava il nome dell’imperatore Enrico VI al quale...
buòn Enrico
buon Enrico buòn Enrico locuz. usata come s. m. – Erba perenne della famiglia chenopodiacee, detta anche colubrina, tutta buona, spinacio selvatico (lat. scient. Chenopodium bonus-Henricus): ha fusti poco ramosi, foglie triangolari, ondulate...
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