Enti bilaterali [dir. lav.]
Abstract
Gli enti bilaterali vengono esaminati nella loro genesi, struttura e forma giuridica. L’analisi tocca poi i diversi ambiti in cui negli ultimi anni, a seguito anche dell’intervento del legislatore, si è registrata una presenza sempre più rilevante degli enti bilaterali. Ne risulta una linea di indagine combinata, tendenzialmente cronologica, ma al contempo articolata in relazione alle diverse funzioni attribuite e al ruolo assunto dagli enti bilaterali nella legislazione più recente, fino a giungere alla nuova normativa sul mercato del lavoro del 2012.
Il modello degli enti bilaterali trova precedenti storici per alcuni aspetti nell’esperienza delle casse mutua, con cui hanno in comune la costituzione e la partecipazione congiunta da parte di lavoratori e datori di lavoro.
Si tratta dell’originario, ma perdurante, ruolo cosiddetto “distributivo” svolto dagli enti bilaterali, attuato nell’offrire sostegno al reddito per soggetti che non trovano nel sistema “legale” adeguate forme di tutela, che si sviluppa, dunque, nell’assenza di un intervento del legislatore. A questa funzione si affiancano presto anche quella di finanziare e organizzare iniziative per la formazione dei lavoratori; quella di organizzare osservatori e svolgere indagini e studi su tematiche di interesse dei lavoratori, in particolare intorno alle situazioni occupazionali locali e ai fabbisogni di professionalità; quella, più recente, di fornire prestazioni di assistenza sanitaria integrativa, ecc. (Leonardi, S., Gli enti bilaterali tra autonomia e sostegno normativo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2004, 443 ss.).
I settori caratterizzati da una diffusa frammentazione e dislocazione della forza lavoro sono stati quelli in cui gli enti bilaterali hanno avuto il maggiore sviluppo, come dimostrano le consolidate esperienze dell’edilizia, che risalgono ai primi anni del ‘900 (sull’esperienza delle casse edili v. Bellardi, L, Istituzioni bilaterali e contrattazione collettiva: il settore edile, Milano, 1989, spec. 161 ss.), e dell’artigianato, con la creazione in tempi recenti di un sistema bilaterale attraverso due accordi interconfederali del 1987 e del 1988, le cui prospettive hanno trovato un deciso rilancio nel recente accordo interconfederale del 14.2.2006.
Rispetto a un’esperienza nata in modo spontanea a iniziativa delle parti sociali, negli ultimi anni, invece, si è assistito a un progressivo intervento del legislatore che ha affidato funzioni sempre più importanti agli Enti bilaterali, che ha prodotto un rinnovato interesse sul tema, con l’emersione anche di posizioni critiche sul ruolo e sulle prospettive di tali soggetti; comunque l’indirizzo prevalente predispone a un cauto ottimismo, in una prospettiva di continua sperimentazione del modello.
Gli enti bilaterali sono definibili quali “organismi privati istituiti dalla contrattazione collettiva” (così, da ultimo, C. cost., 14.5.2010, n. 176), che ne disciplina anche il funzionamento.
Quanto alla forma giuridica assunta dagli enti bilaterali la giurisprudenza ha parlato di enti “assimilabili” alle associazioni non riconosciute ex art. 36 c.c., di mutua assicurazione, formate da associazioni datoriale e sindacali (cfr. Cass., 6.3.1986, n. 1502), anche se non mancano enti che prevedono l’iscrizione delle singole aziende e dei lavoratori.
L’origine contrattuale degli enti bilaterali incide sulla loro composizione, per la quale viene di solito previsto il numero chiuso, in quanto si consente l’adesione all’ente soltanto da parte di quelle associazioni firmatarie del contratto collettivo che lo istituisce. Inoltre, viene applicato il principio di pariteticità, sia fra le parti sociali firmatarie, con conseguente pari numero di rappresentanti per la parte datoriale e per quella sindacale, che tra le stesse sigle sindacali (almeno tra i tre sindacati confederali, ovvero Cgil, Cisl e Uil), senza attribuire rilievo alla rappresentatività effettiva di ognuna di esse. Un simile assetto organizzativo sembra invero funzionale all’operare cooperativo dell’ente bilaterale e favorisce la prassi invalsa finora di decisioni dell’ente adottate all’unanimità, che appare se non l’unico metodo decisionale astrattamente possibile, quello connaturato alla propria natura partecipativa.
La presidenza dell’ente di solito è affidata a un rappresentante dei datori di lavoro e la vicepresidenza a un rappresentante dei lavoratori (v. gli statuti delle Casse edili), anche se in più di qualche caso è prevista l’alternanza delle cariche.
Quanto alla struttura, gli enti bilaterali possono essere costituiti a livello nazionale, come anche a livello locale, provinciale o regionale, ma non mancano articolazioni di livello inferiore.
Nel quadro descritto l’esperienza della bilateralità registra un progressivo sviluppo negli ultimi anni, sensibilmente favorito dal legislatore, attraverso una normativa che risulta eterogenea quanto ai diversi e spesso distanti ambiti di intervento, ma, al contempo, univoca quanto alla funzione promozionale svolta.
In tale prospettiva, nell’ambito della normativa in materia di emersione del lavoro sommerso viene attribuita alla certificazione di regolarità contributiva rilasciata dalle casse edili il carattere di requisito obbligatorio negli appalti pubblici, pena la revoca della concessione (art. 2 l. 22.11.2002, n. 266). In linea con la descritta evoluzione si pone la normativa più recente per cui il committente o il responsabile dei lavori, richiede all’impresa: «un certificato di regolarità contributiva. Tale certificato può essere rilasciato, oltre che dall’INPS e dall’INAIL, per quanto di rispettiva competenza, anche dalle Casse edili le quali stipulano una apposita convenzione con i predetti istituti al fine del rilascio di un documento unico di regolarità contributiva» (art. 3, co. 8, lett. b-bis, d.lgs. 14.8.1996, n. 494).
Le stesse Casse edili devono attestare la regolarità contributiva dell’impresa a livello nazionale e non soltanto in relazione ad un determinato ambito territoriale, sicché casse edili di ambito solo regionale non sono legittimate a rilasciare il Durc (C.g.a., 28.4.2010, n. 635).
La centralità e le linee guida delle politiche per la formazione sono state definite in tempi recenti nel Protocollo sul costo del lavoro del 23.7.1993, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e promuovere la valorizzazione professionale delle risorse umane. Anche in questo settore ha modo di svilupparsi l’attività degli enti bilaterali attraverso i Fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua, secondo il modello tracciato, in attuazione delle indicazioni contenute nello stesso Protocollo del ‘93, dall’art. 17, co. 1, lett. d), l. 24.6.1997, n. 196, e definito ulteriormente dall’art. 118, l. 23.12.2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), poi successivamente modificato.
Secondo questo modello nei settori dell’industria, dell’agricoltura, del terziario e dell’artigianato da parte delle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale, possono essere istituiti fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua (art. 118, co. 1, l. n. 388 del 2000), cui destinare il contributo dello 0,30 per cento della retribuzione a carico delle imprese, che l’INPS è tenuto a devolvere al fondo (art. 118, co. 3, l. n. 388 del 2000).
Quanto alla forma giuridica, il legislatore ha previsto la possibilità di optare sia per l’associazione non riconosciuta che per l’associazione riconosciuta (art. 118, co. 6, l. n. 388 del 2000) e verso questa ultima forma si è indirizzata in prevalenza la scelta delle parti sociali (Proia, G., I Fondi interprofessionali per la formazione continua: natura, problemi, prospettive, in Arg. dir. lav., 2006, II, 470 ss.).
Nel quadro delle riforme che hanno toccato il settore della sicurezza sul lavoro, proprio nella prospettiva di sua una gestione condivisa e, quindi, partecipata, la normativa recente ritaglia uno specifico ruolo per gli enti bilaterali, ovvero per «organismi paritetici» costituiti sulla falsariga di quel modello (AA.VV., Sicurezza sul lavoro: controllo e partecipazione sindacale tra iure condito e de iure condendo, in Lav. giur., 2008, 113 ss.).
In particolare, nell’ambito poi del «servizio di prevenzione e protezione», il datore si può avvalere anche di «persone o servizi esterni costituiti anche presso le associazioni dei datori di lavoro o gli organismi paritetici» (art. 31, co. 1, d.lgs. 9.4.2008, n. 81).
Anche sul versante dell’organizzazione della formazione forte risulta il riferimento al ruolo e alle responsabilità dell’organismo paritetico (art. 32, co. 4 e art. 37, co. 12, d.lgs. n. 81 del 2008).
In particolare poi, nell’articolo dedicato alle funzioni svolte da tali soggetti, si prevede che «Gli organismi paritetici possono supportare le imprese nell’individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro (art. 51, co. 3, d.lgs. n. 81 del 2008).
In tale contesto, il legislatore più di recente ha attribuito a «specifiche commissioni paritetiche, tecnicamente competenti» la funzione di “asseverazione” «della adozione e della efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza di cui all’articolo 30 del decreto» (art. 51, co. 3-bis e 3-ter, d.lgs. n. 81 del 2008, inseriti dall’art. 30, co. 1, lett. a, d.lgs. 3.8.2009, n. 106).
La medesima norma prevede espressamente che della predetta asseverazione “gli organi di vigilanza possono tener conto ai fini della programmazione delle proprie attività” (art. 51, co. 3-bis, inserito dall’art. 30, co. 1, lett. a, d.lgs. n. 106 del 2009). Pertanto un primo sicuro effetto della “asseverazione” risiede nell’indurre, ma non nell’obbligare, gli organi di vigilanza di programmare i controlli verso tali aziende in via diremmo “postergata” rispetto alle aziende meno virtuose che non si siano adoperate per ottenere la asseverazione.
Tuttavia, oltre questo sicuro effetto, la formula adottata dal legislatore, insomma, non pare possa essere valorizzata fino al punto di fondare un legittimo affidamento da parte del datore di lavoro in ordine alle misure di sicurezza adottate.
Si potrebbe al contempo ritenere che il precedente asseveramento da parte di un soggetto terzo sia sufficiente non ad escludere l’elemento soggettivo del reato in caso di successivo infortunio, ma quantomeno ad escludere la responsabilità a titolo di dolo, residuando eventualmente quella a titolo di colpa. Peraltro, anche dal punto di vista civilistico della quantificazione del risarcimento del danno l’apprezzamento del grado di colpa del datore potrebbe risentire, in direzione ad egli favorevole, della presenza della “asseverazione” da parte degli organismi paritetici preposti.
In tale quadro legale le modalità di costituzione e le funzioni di tali organismi paritetici trovano la propria regolamentazione integrativa nella contrattazione collettiva, che ne prevede di consueto una articolazione a livello nazionale, regionale e provinciale, anche se ora la norma parrebbe imporre un’articolazione solo territoriale (art. 51, co. 1, d.lgs. n. 81 del 2008).
Nel contesto dei molteplici compiti e prerogative riconosciute agli organismi paritetici spicca, inoltre, il previsto ruolo di prima istanza di soluzione di controversie «sorte sull’applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e formazione, previsti dalle norme vigenti» (art. 51, co. 2, d.lgs. n. 81 del 2008).
Più di recente una diffusa valorizzazione degli enti bilaterali è avvenuta attraverso il d.lgs. n. 276 del 2003 sul mercato del lavoro, che attribuisce tutta una serie di funzioni a questi soggetti, in parte in linea di continuità col passato e in parte di nuove funzioni e compiti che non hanno mancato, invece, di suscitare interesse e interrogativi.
Si può allora partire dal collocamento che rappresenta un nuovo, ma allo stesso tempo risalente terreno di sviluppo dell’azione sindacale che, nella sua moderna formula di «attività di intermediazione della manodopera», la recente legislazione consente di nuovo di svolgere al sindacato anche attraverso gli enti bilaterali (art. 6, co. 3, d.lgs. n. 276 del 2003).
Il sistema vigente prevede l’istituzione di un apposito albo dei soggetti che svolgono attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione di personale, supporto alla ricollocazione professionale articolato in cinque sezioni (art. 4 d.lgs. n. 276 del 2003). L’iscrizione all’albo è subordinata al possesso di determinati requisiti giuridici e finanziari (art. 5 d.lgs. n. 276 del 2003).
In tale quadro sono previsti «Regimi particolari di autorizzazione» per alcuni soggetti pubblici e privati, tra i quali gli enti bilaterali, che debbono possedere, per lo svolgimento della sola attività di intermediazione, alcuni dei requisiti richiesti in generale agli altri soggetti (v. art. 6, co. 3, d.lgs. n. 276 del 2003). Al fine di ottenere l’autorizzazione ministeriale per l’iscrizione all’Albo gli enti bilaterali «devono presentare adeguata documentazione comprovante tutti i requisiti necessari» (art. 12, co. 4, d.m. 23.12.2007 de Ministero del lavoro). È possibile ottenere un’autorizzazione regionale per enti bilaterali di rilievo solo regionale (art. 6, co. 6, d.lgs. n. 276 del 2003).
Tra le funzioni assunte nel tempo dagli enti bilaterali acquista rilievo sempre maggiore, come abbiamo già notato, quella di valutazione e certificazione di determinate attività svolte dal datore di lavoro. In tale prospettiva si inseriscono le disposizione del d.lgs. n. 276 del 2003 che collocano gli enti bilaterali nel novero dei soggetti abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro. La legge individua a tal fine le commissioni istituite presso gli enti bilaterali (art. 76 d.lgs. n. 276 del 2003).
Dall’analisi della formula dettata dall’art. 2, lett. h), d.lgs. n. 276 del 2003, si può desumere la possibilità di una pluralità di enti bilaterali e quindi di commissioni di certificazione per la medesima categoria professionale o area territoriale, con la facoltà per i singoli, laddove si vogliano avvalere dell’istituto e della sede sindacale, di scegliere tra più enti bilaterali. Infine, per la composizione delle commissioni istituite presso gli enti bilaterali, le procedure, nonché la competenza territoriale, in mancanza di qualsivoglia rinvio a fonti regolamentari, possono essere definite dalla contrattazione collettiva. Tali commissioni sono istituite presso: «gli enti bilaterali costituiti nell’ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell’ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale» (art. 76, co. 1, lett. a, d.lgs. n. 276 del 2003).
Sempre in tema di certificazione la legge prevede che gli enti bilaterali abbiano la competenza «a certificare le rinunzie e transazioni di cui all’articolo 2113 del codice civile a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse» (art. 82 d.lgs. n. 276 del 2003; Ghera, E., La certificazione dei contratti di lavoro, in De Luca Tamajo, R.-Rusciano, M.-Zoppoli, L., a cura di, Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, Napoli, 2004, 282; Tursi, A., La certificazione, in Magnani, M.-Varesi, P., a cura di, Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali. Commentario ai Decreti legislativi n. 276/2003 e n. 251/2004, Torino, 2005, 632).
Inoltre, un sistema particolare per la formazione e l’integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto di somministrazione è costruito nell’ambito della medesima normativa dettata dal d.lgs. n. 276 del 2003.
Nel vigente assetto viene imposto l’obbligo per i soggetti autorizzati alla somministrazione del versamento di un contributo pari al 4 per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato e indeterminato, per l’esercizio di attività di somministrazione.
I contributi dovuti vengono versati «a un fondo bilaterale appositamente costituito, anche nell’ente bilaterale, dalle parti stipulanti il contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro» (art. 12, co. 4, d.lgs. n. 276 del 2003), che, come abbiamo già notato, può assumere la forma di associazione non riconosciuta ex art. 36 c.c. ovvero di soggetto dotato di personalità giuridica.
Le suddette risorse vengono «destinate per interventi a favore dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato intesi, in particolare, a promuovere percorsi di qualificazione e riqualificazione anche in funzione di continuità di occasioni di impiego e a prevedere specifiche misure di carattere previdenziale» (art. 12, co. 1, d.lgs. n. 276 del 2003).
Invece, per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato «Le risorse sono destinate a: a) iniziative comuni finalizzate a garantire l’integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato in caso di fine lavori; b) iniziative comuni finalizzate a verificare l’utilizzo della somministrazione di lavoro e la sua efficacia anche in termini di promozione della emersione del lavoro non regolare e di contrasto agli appalti illeciti; c) iniziative per l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori svantaggiati anche in regime di accreditamento con le regioni; d) per la promozione di percorsi di qualificazione e riqualificazione professionale» (art. 12, co. 2, d.lgs. n. 276 del 2003; Filì, V., I fondi bilaterali per i lavoratori somministrati, in Miscione, M.-Ricci, M., a cura di, Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro, Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, coordinato da Carinci, F., I, Milano, 2004, 263 ss.).
Il regolare versamento della contribuzione prevista al fondo costituisce requisito essenziale per la concessione dell’autorizzazione (provvisoria e definitiva) all’esercizio dell’attività di somministrazione (art. 5, co. 2, lett. d e co. 3, lett. c, d.lgs. n. 276 del 2003).
Un ruolo rilevante nella disciplina dei contratti formativi per gli enti bilaterali emergeva negli ultimi anni già nel Protocollo sul costo del lavoro del 23.7.1993, che in merito al futuro del contratto di apprendistato rimarcava la necessità di valorizzarne «la funzione di sviluppo della professionalità, anche mediante l’intervento degli enti bilaterali e delle Regioni, e la certificazione dei risultati».
Da ultimo – in linea di continuità rispetto a quanto delineato in precedenza nel d.lgs. n. 276 del 2003 in materia di contratto di apprendistato e per questo ascrivibile al modello fatto proprio da quella normativa – nell’ambito della nuovo recente T.U. in materia di apprendistato viene riconosciuto un ruolo rilevante agli enti bilaterali.
Così, gli enti bilaterali possono stabilire e predisporre moduli e formulari relativi al contratto e al relativo piano formativo individuale (art. 1, lett. a, d.lgs. 14.9.2011, n. 167). Va sul punto segnalato che alcune clausole contrattuali collettive prevedono, in relazione al Piano formativo individuale (PFI), il rilascio del parere di conformità da parte degli enti bilaterali, che a volte viene considerato requisito necessario per la successiva stipula di un contratto di apprendistato, tanto da suscitare diffusi interrogativi circa la legittimità e la cogenza di suddette clausole (Carinci, F., E tu lavorerai come apprendista (L’apprendistato da contratto “speciale” a contratto “quasi–unico”), in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 145/2012, 81).
Agli organismi paritetici viene poi attribuito in sede di regolazione della formazione professionale, il ruolo di possibile sede di determinazione delle modalità di erogazione della formazione aziendale, per l’apprendistato del primo tipo (art. 3, co. 2, d.lgs. n. 167 del 2011).
Inoltre, sempre agli enti bilaterali viene attribuito il compito di determinare le modalità per il riconoscimento della qualifica di maestro artigiano o di mestiere, per l’apprendistato del secondo tipo (art. 4, co. 4, d.lgs. n. 167 del 2011).
In ogni caso, a garanzia delle rilevanti funzioni attribuite, il legislatore precisa che tali compiti sono devoluti “esclusivamente” agli enti bilaterali che possano rientrare nella definizione dettata dall’art. 2, co. 1, lett. h), del d.lgs. n. 276 del 2003 (art. 7, co. 5, d.lgs. n. 167 del 2011). Deve trattarsi, quindi, di «organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative».
Negli ultimi anni il legislatore aveva già legato la possibilità di concedere misure per il perseguimento di politiche attive di sostegno del reddito alla costituzione da parte della contrattazione di appositi fondi, gestiti in modo paritetico, per i settori sprovvisti di ammortizzatori sociali (art. 2, co. 28, l. 23.12.1996, n. 662; Miscione, M., Un modello privatistico di ammortizzatore sociale, in Dir. prat. lav., 1998, 1510 ss.), che ha favorito l’ulteriore sviluppo delle già rilevanti esperienze del turismo, del commercio, del credito e dell’industria.
Questo modello viene ora generalizzato e rafforzato attraverso l’ultima normativa sul mercato del lavoro dettata dalla l. n. 92 del 2012 che, comunque, prevede la sopravvivenza di quei fondi, dietro adeguamento della loro disciplina alle sue norme (art. 3, co. 42, l. n. 92 del 2012).
Così, nel quadro di una ridefinizione complessiva del nostro modello di welfare, a cui sono chiamati a partecipare organicamente gli enti bilaterali, il legislatore affida anche a soggetti privati l’istituzione e la gestione di strumenti di sostegno del reddito dei lavoratori in presenza di crisi aziendali, nei settori in cui non opera l’istituto della cassa integrazione guadagni, il quale, come noto, garantisce parte del reddito ai lavoratori coinvolti in crisi di impresa le quali abbiano comportato la sospensione, anche parziale, del rapporto di lavoro e, dunque, della retribuzione. Ci si trova di fronte a un modello con connotazioni prevalentemente di stampo privatistico sul fronte degli oneri finanziari e prevalentemente di stampo pubblicistico sul piano regolativo (così Cinelli, M., Gli ammortizzatori sociali nel disegno di legge di riforma del mercato del lavoro. A proposito degli artt. 2-4 della l. n. 92/2012 in Riv. dir. sic. soc., 2012, 253).
La nuova normativa prevede, in estrema sintesi, che tramite accordi collettivi vengano costituiti fondi di solidarietà bilaterali con la finalità di assicurare ai lavoratori una tutela in costanza di rapporto di lavoro nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria.
I suddetti fondi vengono successivamente istituiti, con decreto del Ministro del lavoro, presso l’Inps (art. 3, co. 4 e 5, l. n. 92 del 2012), non hanno personalità giuridica e costituiscono gestioni dell’INPS (art. 3, co. 8, l. n. 92 del 2012).
La legge prevede che l’istituzione di tali fondi «è obbligatoria per tutti i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale in relazione alle imprese che occupano mediamente più di quindici dipendenti» (art. 3, co. 10, l. n. 92 del 2012). La suddetta obbligatorietà viene declinata attraverso la previsione, in mancanza di loro costituzione, di un fondo residuale istituto con decreto del Ministro del lavoro (v. infra).
Quanto alle prestazioni, i fondi assicurano almeno l’erogazione di un assegno ordinario di importo pari all’integrazione salariale, con riferimento alle stesse causali previste dalla normativa in materia di cassa integrazione ordinaria o straordinaria. Inoltre, i fondi possono erogare le seguenti tipologie di prestazioni: a) prestazioni integrative, in termini di importi o durate, rispetto a quanto garantito dall’Aspi; b) assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, a lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni; c) contributi al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali o dell’Unione europea (art. 3, co. 11, 31 e 33, l. n. 92 del 2012).
Il sistema delineato dalla nuova normativa del 2012, come già notato, tende comunque a salvaguardare e a far sopravvivere le precedenti esperienze della bilateralità, in relazione alla tutela del reddito dei lavoratori.
A tal fine, in formale “alternativa” al modello precedente, nei settori nei quali siano operanti consolidati sistemi di bilateralità, come quello (nominato) dell’artigianato, le organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale possono adeguare le fonti istitutive dei rispettivi fondi bilaterali alle nuove finalità perseguite dal legislatore sopra descritte (art. 3, co. 14, l. n. 92 del 2012).
Inoltre, come già notato, la rimarcata “obbligatorietà” del sistema viene declinata attraverso un intervento sussidiario da parte dello Stato, in caso di mancata costituzione dei fondi previsti dall’art. 4, co. 4, l. n. 92 de 2012, tanto che l’obbligo in realtà pare potersi assimilare all’onere, mettendo al riparo in tal modo tale normativa da censure di incostituzionalità (in tal senso anche Sigillò Massara, G., Le tutele previdenziali in costanza di rapporto di lavoro, in A. Vallebona, La riforma del lavoro 2012, Torino, 2012, 90).
Così, per i settori in cui i suddetti accordi non vengano stipulati entro il 31.3.2013, viene istituito, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze un fondo di solidarietà residuale, cui contribuiscono i datori di lavoro (con più di quindici dipendenti) dei settori in questione (art. 3, co. 19, l. n. 92 del 2012).
Mediante decreto sono anche determinate le aliquote di contribuzione ordinaria, ripartita tra datori di lavoro e lavoratori, nella misura, rispettivamente, di due terzi e di un terzo, in maniera tale da garantire la precostituzione di risorse adeguate sia per l’avvio dell’attività sia per il suo svolgimento a regime.
La legge prevede, inoltre, a regolare ulteriori aspetti del suddetto fondo (art. 3, co. 20 ss., l. n. 92/2012). Tra questi, vanno sottolineate le stringenti regole in materia di finanziamento e erogazione delle prestazioni, per cui «I fondi istituiti ai sensi dei commi 4, 14 e 19 hanno obbligo di bilancio in pareggio e non possono erogare prestazioni in carenza di disponibilità» (art. 3, co. 26, l. n. 92 del 2012) e «Gli interventi a carico dei fondi di cui ai commi 4, 14 e 19 sono concessi previa costituzione di specifiche riserve finanziarie ed entro i limiti delle risorse già acquisite» (art. 3, co. 27, l. n. 92 del 2012; sul nuovo complessivo sistema cfr. amplius Cinelli M., Gli ammortizzatori sociali, cit., 227 ss.).
Infine, nell’ambito della stessa l. n. 92 del 2012, occorre segnalare la riproposizione di un peculiare modello già utilizzato nel recente passato, in cui l’attribuzione di un determinato trattamento pubblico viene riconosciuto laddove vi sia la contemporanea partecipazione dell’ente bilaterale, come avvenuto con riguardo ai contratti di solidarietà nel settore artigiano, in cui viene concesso un contributo pubblico per i lavoratori che percepiscano metà del contributo dagli enti bilaterali (art. 5, co. 8, l. 19.7.1993, n. 236; Varesi, P., Azione sindacale e tutela nel mercato del lavoro: il bilateralismo alla prova, in Dir. rel. ind., 2004, 231).
Al medesimo schema poteva essere assimilato anche un più recente intervento del legislatore, teso, in via sperimentale per il triennio 2009–2011, ad assicurare, nei settori scoperti, un trattamento, in caso di sospensione per crisi aziendali o occupazionali ovvero in caso di licenziamento, pari all’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali per i lavoratori assunti con la qualifica di apprendista, nel caso in cui fosse garantito un intervento integrativo pari almeno alla misura del venti per cento dell’indennità stessa a carico degli enti bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva (art. 19, co. 1, lett. c), d.l. 29.11.2008, n. 185, conv. nella l. 28.1.2009, n. 2).
Il legislatore del 2012 ripropone il medesimo modello, prevedendo, in via sperimentale per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, che l’indennità assicurata in caso di disoccupazione dalla nuova Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego, art. 2, co. 1, l. n. 92 del 2012) possa essere riconosciuta anche in favore dei lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali, «subordinatamente ad un intervento integrativo pari almeno alla misura del 20 per cento dell’indennità stessa a carico dei fondi bilaterali di cui al comma 14, ovvero a carico dei fondi di solidarietà di cui al comma 4 del presente articolo» (art. 3, co. 17, primo periodo, l. n. 92 del 2012).
Nella fase presente, in un momento di attesa sperimentazione del nuovo modello, non appare possibile valutare appieno la portata del recente intervento del legislatore. Ad ogni modo l’affidamento di funzioni a soggetti privati può rilevarsi comunque apprezzabile in ambiti in cui gli ammortizzatori sociali di fonte legale non trovavano applicazione, cioè in chiave comunque espansiva della tutela offerta dal sistema di protezione sociale pubblico. Tuttavia, non si può non rilevare che in altri casi l’intervento dei fondi bilaterali valga, invece, a supplire, in una sorta di sussidiarietà capovolta, a un intervento statale in ritirata, come nel caso di assegni straordinari per il sostegno al reddito nei processi di agevolazione all’esodo, che lascia intravvedere il delinearsi di un panorama frammentato e disorganico, a incidenza variabile di tutela, disomogenea quanto a settori produttivi e a contesti territoriali (anche Gragnoli, E., Gli strumenti di tutela del reddito di fronte alla crisi finanziaria, Relazione al XVII Congresso Nazionale dell’Aidlass, Pisa 7–9 giugno 2012, su “Il diritto del lavoro al tempo della crisi”, dattiloscritto).
Art. 5, co. 8, l. 19.07.1993, n. 236; art. 3, co. 8, b-bis, d.lgs. 14.08.1996, n. 494; art. 2, co. 28, l. 23.12.1996, n. 662; art. 17, co. 1, lett. d), l. 24.06.1997, n. 196; art. 118 l. 23.12.2000, n. 388; art. 2 l. 22.11.2002, n. 266; d.lgs. 10.09.2003, n. 276; d.lgs. 9.04.2008, n. 81; art. 19, co. 1, lett. c), d.l. 29.11.2008, n. 185, convertito nella l. 28.01.2009, n. 2); d.lgs. 14.09.2011, n. 167; art. 3 l. 28.06.2012, n. 92.
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