Enti pubblici
L'espressione designa una molteplicità di soggetti tra loro diversi, accomunati dal solo fatto di essere dotati di pubblici poteri. La categoria comprende accanto a enti di carattere territoriale - Stato, Regione, Provincia, Comune - varie altre organizzazioni da questi distinte formalmente, in quanto titolari di propria personalità giuridica, e caratterizzate da un elevato polimorfismo. Queste organizzazioni - alle quali soprattutto è riservata, nel lessico corrente, l'espressione 'enti pubblici' - sono sorte nel nostro ordinamento nell'Ottocento e sono sensibilmente aumentate di numero nel secolo 20°, assumendo fino agli anni Settanta una dimensione abnorme rispetto ad altri paesi.
Uguale polimorfismo presentano gli e. p. negli ordinamenti di altri Stati, i quali hanno adottato diverse soluzioni per la disciplina normativa degli e. p. non territoriali. Alcuni sono pervenuti a definizioni legislative onnicomprensive: è il caso degli USA, dove il Federal administrative procedure act del 1946 ha introdotto la categoria di agency nella quale rientra ogni authority distinta dall'apparato burocratico federale e da quelli dei singoli Stati. Altri ordinamenti si sono limitati a definire in maniera organica solo alcune figure: così in Francia l'unica disciplina legislativa uniforme riguarda gli établissements publics interventiomnistes (decreto 15 dic. 1934), mentre gli altri e. p. sono regolati dal loro atto istitutivo che, per l'art. 34 della Costituzione del 1958, può essere solo la legge. Altri hanno creato alcune categorie generali nelle quali vengono compresi tutti gli e. p.: è il caso della Germania, dove sono stati definiti i tre modelli organizzativi della Körperschaft, Anstalt e Stiftung, le cui differenze si sono venute, con il tempo, ad attenuare sensibilmente. Altri, infine, non sono pervenuti né a una definizione generale, né a una normativa di una figura particolare: così in Gran Bretagna sono designati con le espressioni public corporations, quangos, fringe bodies, non-departmental public bodies organismi non statali di varia natura, senza che siano stati precisati i contenuti astratti e definitori di tali categorie.
L'ordinamento italiano ha seguito una soluzione analoga a quella francese. Da un lato, l'e. p. sorge in base a un atto di organizzazione dello Stato, al fine di soddisfare proprie esigenze funzionali e organizzative. Per gestire un servizio pubblico in maniera imprenditoriale, per derogare alla disciplina del pubblico impiego nei confronti del personale, per evitare pesanti controlli, lo Stato affida la gestione di una determinata amministrazione in senso sostanziale a un'organizzazione dotata di personalità giuridica, distinta dalla propria. È un fenomeno che prende avvio a partire dall'epoca giolittiana, con la creazione archetipa dell'Istituto nazionale delle assicurazioni (INA) nel 1912, ma che continua fino ai nostri giorni.
Dall'altro lato, l'e. p. sorge anche tramite il 'riconoscimento' come soggetti pubblichi di preesistenti organizzazioni, in genere ascrivibili all'autonomia privata o sociale, all'origine espressione di interessi propri differenziati rispetto allo Stato. In questo caso la pubblicità permea le preesistenti organizzazioni, attirandole di conseguenza nell'ambito del diritto amministrativo. Si tratta di un fenomeno cui lo Stato italiano è ricorso assai precocemente - gli esordi possono farsi risalire alle leggi crispine (1888-90) sulle Casse di risparmio e sulle Opere pie - e che si è andato ulteriormente intensificando col tempo. Si tratta anche di un fenomeno che crea maggiore incertezza e perplessità all'interprete, posto che quasi mai il riconoscimento pubblico avviene tramite una formulazione esplicita, ma più spesso attraverso l'attribuzione per via normativa di elementi funzionali o strutturali che ne modificano la natura, senza dichiararlo apertamente (il cosiddetto riconoscimento 'implicito' delle persone giuridiche pubbliche).
Analizzata alla luce di questa bipartizione storica, la galassia degli e. p. italiani sembra avviata, alla fine degli anni Novanta, verso forme di semplificazione. Innanzitutto, il problema del riconoscimento come e. p. di preesistenti organizzazioni private e sociali ha suscitato ormai rilevanti problemi di legittimità costituzionale. Con la sentenza nr. 396 del 1988 (i cui contenuti sono stati recepiti dal governo nella direttiva alle regioni con d.p.c.m. 16 febbr. 1990), la Corte costituzionale, con riferimento alla legge fondamentale sulle IPAB (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza), 17 luglio 1890 nr. 6972, ha per la prima volta indicato alcune caratteristiche di organizzazioni e istituzioni, tali da farle ascrivere senz'altro nella sfera privata, rendendone illegittima la 'pubblicizzazione': natura associativa, promozione o amministrazione dominanti da parte dei privati, esplicazione dell'attività dell'ente sulla base delle prestazioni volontarie dei soci, provenienza privata del patrimonio.
La pronuncia della Corte ha avuto effetti limitati anche con riferimento alla specifica materia (secondo dati CIRIEC, Centro italiano di ricerche e di informazione sull'economia delle imprese pubbliche e di pubblico interesse, al 1996 risultava depubblicizzato solo il 6,5% delle oltre 6000 IPAB infraregionali tuttora esistenti). Ascrivibile alla sua ratio è il d. legisl. 30 giugno 1994 nr. 509, emanato in virtù della delega contenuta nell'art. 1 della l. 24 dic. 1993 nr. 537, che ha trasformato in persone giuridiche private 16 enti di previdenza e di assistenza, rappresentanti di determinate categorie sociali e che non usufruiscono di finanziamenti pubblici. Come pure la riforma della legge bancaria emanata nello stesso anno (d.l. 31 maggio 1994 nr. 332, convertito nella l. 30 luglio 1994 nr. 474), che, incentivando le dismissioni del capitale azionario da parte delle fondazioni bancarie ('enti conferenti'), fa prevedere la loro progressiva trasformazione in soggetti giuridici privati. Comunque, la tendenza a ricondurre alla disciplina codicistica, pur con qualche correzione di segno amministrativo, figure tradizionalmente ritenute pubbliche sembra ormai prevalente: ne è prova il d. legisl. 29 giugno 1996 nr. 367, volto a trasformare in fondazioni di diritto privato gli enti lirici e quelli operanti nel settore musicale di rilevanza nazionale, così come il d. legisl. 18 nov. 1997 nr. 426, che depubblicizza il Centro sperimentale di cinematografia. Si tratta, in ogni modo, di una tendenza suscettibile di ulteriori, rilevanti sviluppi: sia perché il primo provvedimento Bassanini di riforma della pubblica amministrazione contiene un'ampia delega di ristrutturazione del comparto e. p. (l. 15 marzo 1997 nr. 59, art. 11, comma 1 b), sia perché la pronuncia della Corte, qualora applicata nell'esperienza positiva in tutto il suo spessore, farebbe ritenere di natura privata molte altre categorie di enti oggi ritenuti pubblici.
L'evoluzione dell'universo degli e. p. in questi ultimi anni si è però definita soprattutto nella crisi della fondamentale dicotomia esistente tra 'enti pubblici non economici' ed 'enti pubblici economici', caratteristica degli anni Ottanta.
Da una parte, infatti, anche per effetto delle più incisive riforme amministrative compiute nel settore, sembrano perdere mordente le spinte al livellamento organizzativo e finanziario degli e. p. non economici introdotte con la l. nr. 70 del 20 marzo 1975 sul cosiddetto parastato, tanto che i caratteri dell'e. p. statale non economico sono oggi riconducibili, oltre che al raccordo con l'amministrazione dello Stato, alla disciplina speciale a cui è sottoposto. Il fenomeno ha interessato sia strutture tradizionalmente presenti nel nostro ordinamento (l'ICE, riformato con l. 25 marzo 1997 nr. 68; l'ENEA, ristrutturato dalla l. 25 ag. 1991 nr. 282 con la nuova denominazione di Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente; la SIAE, il cui nuovo statuto è stato approvato con d.p.r. 19 maggio 1995 nr. 223), sia quei nuovi organismi recentemente introdotti imitando l'esperienza anglosassone (Agenzia per i servizi sanitari regionali, istituita dal d. legisl. 30 giugno 1993 nr. 266; Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, introdotta dal d. legisl. 3 febbr. 1993 nr. 29; Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente, istituita dal d.l. 4 dic. 1993 nr. 496, convertito nella l. 21 genn. 1994 nr. 61).
Dall'altra parte, l'e. p. economico si è trasformato in un modello organizzativo residuale, destinato all'estinzione. Centrale nelle vicende organizzative italiane fino agli ultimi anni Ottanta, in quanto preposto alla gestione di tutte le imprese pubbliche, l'e. p. economico è andato in crisi in questi ultimi anni. A tale evoluzione non è stato certamente estraneo lo sviluppo della politica della concorrenza nell'ambito della Comunità europea. A un'iniziale indifferenza verso il regime di proprietà delle imprese da parte del Trattato di Roma (art. 90, nr. 1), è infatti gradualmente subentrato, contestualmente al progressivo smantellamento dei regimi di monopolio, un crescente sfavore per le imprese pubbliche, particolarmente accentuato là dove i diritti speciali e gli aiuti a esse concessi dallo Stato provocano effetti distorsivi della concorrenza nel mercato comune.
Il processo di privatizzazione dell'economia italiana ha interessato tutti gli e. p. economici: innanzitutto quelli del credito, comprensivi degli istituti di credito di diritto pubblico, avviati verso una trasformazione volontaria in società per azioni dalla l. 30 luglio 1990 nr. 356 (legge Amato, dal nome del ministro proponente) e dal d. legisl. di attuazione 20 nov. 1990 nr. 356; quindi i tradizionali enti di gestione delle partecipazioni statali (l'IRI e l'ENI sono stati trasformati in S.p.A. con il d.l. 11 luglio 1992 nr. 333, convertito nella l. 8 ag. 1992 nr. 359; l'EFIM è stato posto in liquidazione con il d.l. 19 dic. 1992 nr. 487, convertito nella l. 17 febbr. 1993 nr. 33; l'Ente autonomo di gestione per il cinema è stato a sua volta trasformato in S.p.A. dall'art. 5 bis del d.l. 23 apr. 1993 nr. 118, convertito nella l. 23 giugno 1993 nr. 202); infine, gli enti erogatori di servizi (l'ENEL e l'INA depubblicizzati con il citato d.l. nr. 333 del 1992, le Ferrovie dello Stato ricondotte al modello della S.p.A. con delibera CIPE del 12 ag. 1992). Il modello organizzativo dell'e. p. economico viene ormai adottato nel nostro ordinamento solo come soluzione transitoria in vista di una successiva e integrale privatizzazione: è stato il caso dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni, fino alla sua trasformazione in S.p.A. alla fine del 1996; ma l'opzione è stata ribadita anche dalla riforma dell'Azienda autonoma di assistenza al volo (l. 21 dic. 1996 nr. 665), trasformata nell'e. p. economico Ente nazionale di assistenza al volo - ENAV, in vista della sua ulteriore modifica in S.p.A. entro il 31 dicembre 2000 (art. 35 l. 17 maggio 1999 nr. 144).
Tali riforme di struttura, che per novità di contenuto e gravità di conseguenze reggono il confronto solo con le modifiche istituzionali degli anni Trenta, hanno comportato l'emergere di nuovi soggetti pubblici, che stentano a trovare un posto nelle classificazioni tradizionali. Innanzitutto, la privatizzazione delle forme giuridiche dei precedenti enti economici, in assenza di sostanziali dismissioni delle azioni in mano pubblica (per il momento appena avviate), ha dato vita a figure organizzative private nella forma, ma pubbliche nella sostanza: le nuove società per azioni, sottoposte alla disciplina generale del codice civile, restano comunque titolari (sia pure a titolo diverso) dei medesimi diritti esclusivi e riservati dei vecchi enti, rapportabili in parte all'art. 43 Cost., e continuano a esercitare poteri amministrativi in senso tecnico (in tema di dichiarazioni di pubblica utilità e di necessità e di urgenza). Tanto che la Corte costituzionale, con la sua sentenza nr. 466 del 28 dic. 1993, ha deciso di far prevalere la sostanza sulla forma privatistica, tenendo fermo il controllo della Corte dei conti (riservato agli "enti pubblici" in base all'art. 12 della l. 21 marzo 1958 nr. 259) sulle società per azioni derivanti dalla trasformazione dei principali e. p. economici.
In secondo luogo, la crisi dello Stato imprenditore ha coinciso con l'emergere e la crescita di inedite forme di intervento pubblico in quegli ambiti individuati come 'settori sensibili' o 'settori di attività complesse', che sono stati scorporati dagli apparati dell'ordinaria vita amministrativa, e affidati, sia in ragione della tecnicità della materia sia per le implicazioni di diritto pubblico dell'economia che la materia stessa presenta, a organi speciali dotati di indipendenza in funzione di garanzia oltre che di efficienza.
Si tratta di quegli organismi per i quali si è adottata la denominazione convenzionale di 'Autorità amministrative indipendenti', emersi copiosi nell'esperienza più recente (al settembre 1997 la dottrina era concorde nel riconoscere tale qualifica a 11 istituzioni). Tali organismi si differenziano per alcuni tratti organizzativi caratteristici e comuni, tra i quali si segnalano: la particolare garanzia dal lato dello stato giuridico dei titolari degli organi, nominati da parte di autorità non governative (presidenti delle Camere) e tutelati da norme tendenti ad assicurare al massimo la loro capacità di resistenza a ingerenze esterne; l'ampia autonomia organizzativa e funzionale, particolarmente accentuata dal lato del potere regolamentare; l'assenza di qualsiasi collegamento organizzativo con le autorità di governo, che in nessun caso risultano responsabili dell'attività da questi svolta. Il modello delle autorità amministrative indipendenti realizza in tal modo la dislocazione, fuori dai tradizionali circuiti di dominanza politica, di poteri pubblici autoritativi di particolare incisività nella vita sociale, per i quali rispondono, in proprio, al Parlamento. Per quanto non siano riconducibili alla categoria degli e. p. (anche in ragione della loro dubbia personalità giuridica), e per almeno una parte della dottrina neanche catalogabili tra i poteri amministrativi (in base alla varietà dei poteri autoritativi a essi attribuiti), importa rilevarne l'emergere in questa sede per due ordini di motivi. In primo luogo, perché il modello dell'autorità amministrativa indipendente si staglia come la forma organizzativa di governo dell'economia destinata a prevalere negli anni a venire, in quanto portatrice del valore costituzionale dell'imparzialità sul piano della concorrenza regolata (significativo in tal senso l'art. 1 bis del d.l. 31 maggio 1994 nr. 332 inserito dalla legge di conversione 30 luglio 1994 nr. 476, che condiziona le privatizzazioni alla preventiva istituzione di un'autorità di settore). In secondo luogo, perché alla categoria delle cosiddette autorità amministrative indipendenti vengono ormai assimilati gli e. p. preposti a ordinamenti sezionali: la Banca d'Italia, per gli enti del credito; la CONSOB, per la borsa; l'ISVAP, per le imprese assicuratrici. E ciò tenendo conto dei poteri regolamentari e conformativi dei privati sottoposti al loro ambito di 'garanzia', che sembrano prevalere sulla loro struttura di enti strumentali, pur trovandosi in una posizione di massima autonomia tecnica garantita.
Bisogna infine segnalare, come ultima tendenza emersa in questi ultimi anni, l'affermazione di quelli che sono stati definiti uffici pubblici in forma di società per azioni. Con l'espressione ci si riferisce a quelle società per azioni, costituite per legge o sulla base di specifiche disposizioni di legge, dotate di capitale imputato allo Stato o a enti strumentali, col compito prevalente di gestire interventi finanziari in funzione di programmazione di settore. Di tali figure è dubbia la natura giuridica: non è chiaro se lo schema formale delle S.p.A. con cui sono strutturate abbia forza sufficiente da assoggettarle senz'altro al diritto comune, considerato che la loro organizzazione sembra integralmente assimilabile agli enti strumentali dello Stato. L'incertezza, d'altronde, è imputabile allo stesso legislatore che almeno in un caso, specificatamente per l'Age control S.p.A., incaricata di gestire contributi agricoli CEE (art. 18 della l. 22 dic. 1984 nr. 887), ha usato la dizione incongrua di 'società per azioni con personalità di diritto pubblico'.
Accanto agli e. p. statali (tali perché inseriti in una relazione organizzativa con lo Stato), il nostro ordinamento ha accolto, da vent'anni a questa parte, una diversa forma di 'entificazione' imputabile alle Regioni. È un fenomeno più sfuggente, e poco considerato in dottrina, ma le cui dimensioni sembrano destinate ad aumentare.
Con l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario e i conseguenti trasferimenti a esse di funzioni amministrative, i confini e l'articolazione dell'amministrazione per enti hanno subito sensibili variazioni. La regionalizzazione apportata dal d.p.r. 24 luglio 1977 nr. 616, insieme alla riforma sanitaria del 1978, ha sì comportato la soppressione di molti enti, ma ha pure procurato lo smembramento di molti altri a livello regionale, trasformando tale tipo di amministrazione in subapparato (entificato) direttamente soggetto all'indirizzo amministrativo delle singole giunte regionali (si pensi ai consorzi di bonifica, agli enti per l'edilizia residenziale pubblica, agli istituti zooprofilattici sperimentali ecc.). Si è venuta in tal modo a creare un'amministrazione indiretta mista, a doppio referente Stato-Regioni, nel senso che almeno in alcuni settori è ancora riservata allo Stato la prefigurazione di tipo formale degli e. p. di serie. Senonché, a questi enti, il cui jus vitae risiede ancora in mano allo Stato e che potrebbero venire soppressi in un prossimo futuro (sempre che non siano individualmente confermati dalle singole Regioni, in nome della propria autonomia normativa), si è aggiunta anche la proliferazione di enti (e microenti) istituiti con legge regionale. Negli anni 1986-92, per es., le figure soggettive pubbliche istituite direttamente dalle Regioni sono aumentate del 20% circa (emblematici appaiono i quasi 30 enti gestori delle aree protette della Regione Piemonte), registrando solo una lieve flessione negli anni seguenti, in seguito alla soppressione di quegli organismi più direttamente connessi alla programmazione (come la maggioranza degli enti di sviluppo agricolo).
In ambito regionale si è in presenza di una forma di entificazione che nella maggioranza dei casi non sembra derivare dall'esigenza di autonomia funzionale e operativa, considerata l'indifferenziata disciplina dei mezzi, dei controlli, del personale che la contraddistingue rispetto alle singole Regioni; essa piuttosto è da ricondurre alla volontà di cooptazione di gruppi sociali potenzialmente interessati a determinati ambiti decisionali. Un elemento, quest'ultimo, che rende ancora più frastagliato e proteiforme il pluralismo organizzativo del nostro sistema positivo.
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