Gli organi di senso ci permettono di essere in relazione con l’ambiente esterno, percependone correttamente i segnali. Molto spesso si precisa che questi ultimi sono di natura fisica (onde elettromagnetiche nel caso della vista, onde meccaniche nel caso di udito e tatto) o chimica (molecole e ioni sia nel caso del gusto che dell’olfatto). In realtà, anche i segnali fisici vengono tradotti in messaggi chimici dai nostri organi di senso, per cui una vera distinzione tra i due non si può fare. Di seguito esamineremo i meccanismi biochimici fondamentali che sono responsabili delle nostre percezioni sensoriali.
L’occhio riceve stimoli luminosi che sono onde elettromagnetiche di lunghezza d’onda compresa tra 400 e 700 nm (“spettro visibile” umano), e li converte in segnali chimici a livello della retina. Qui si trovano i coni, che contengono proteine di membrana note come iodopsine capaci di supportare la visione fotopica (cioè alla luce del sole), e i bastoncelli che contengono rodopsina per la visione scotopica (cioè al buio). Fondamentalmente, il processo della visione è basato sull’isomerizzazione fotochimica dell’11-cis-retinale, che nei bastoncelli si lega con un legame covalente per formare una 11-cis-immina nella rodopsina. Quest’ultima è una proteina a 7 domini transmembrana, accoppiata alla proteina G trimerica trasducina. Raccogliendo i fotoni che penetrano nell’occhio, l’11-cis-retinale si isomerizza a retinale tutto trans, provocando così una serie di cambiamenti conformazionali nella rodopsina che, tramite la trasducina, attiva l’enzima fosfodiesterasi (PDE). Questo a sua volta idrolizza la guanosina monofosfato ciclica (cGMP), un secondo messaggero cellulare che al buio è legato ai canali del sodio (Na+) della membrana cellulare dei bastoncelli, mantenendoli aperti. Alla luce, l’idrolisi del cGMP da parte della PDE fa chiudere i canali del sodio, riducendo la permeabilità di membrana a questo ione e provocando iperpolarizzazione della membrana stessa; come ulteriore conseguenza non viene più rilasciato glutammato e si genera un potenziale d’azione che attraversa il bastoncello fino al suo terminale sinaptico, da cui passa al neurone adiacente e produce un impulso elettrico che arriva fino al cervello come percezione visiva. Dopo l’impulso, il retinale tutto trans viene riconvertito lentamente in 11-cis-retinale mediante reazioni termiche, permettendo la ricostituzione della rodopsina dall’opsina. Si può anche ricordare che il modo in cui i coni, capaci di assorbire la luce dei tre colori primari (blu, rosso e verde) mediante forme diverse di iodopsina, riescono a combinare tra loro gli stimoli per produrre una visione unica dei colori dello spettro visibile rimane ancora da chiarire.
L’orecchio capta onde meccaniche vibrazionali di frequenza compresa tra 20 e 20000 Hz (le onde sonore), trasformandole in segnali elettrici che poi diventano percezioni sonore coscienti. L’udito è, quindi, il risultato di una sofisticata trasduzione meccano-elettrica di segnali ambientali. Si deve notare che la percezione sonora prevede che le onde meccaniche cambino il mezzo nel quale si propagano nell’orecchio interno, passando dall’aria all’acqua; infatti, questi due elementi hanno una diversa impedenza (cioè una diversa capacità di opporsi alla loro propagazione), che essendo molto maggiore nell’acqua permette l’amplificazione dello stimolo. Senza questo cambiamento di mezzo di propagazione non potremmo percepire alcun suono. Un componente fondamentale dell’apparato di trasduzione meccano-elettrica del segnale sonoro è la coclea, dove si trova l’organo del Corti con cellule acustiche interne ed esterne, provviste di file di stereociglia.
Ogni stereociglio di una fila ha un apice (in inglese tip) che lo collega con quello dello stereociglio adiacente (e più lungo) mediante un filamento proteico detto tip link (in inglese “legame tra le punte”). Questo funziona come una molla: quando l’onda sonora raggiunge l’organo del Corti, causa il piegamento delle stereociglia; in caso di flessione verso lo stereociglio più lungo (cioè di allungamento eccitatorio), i tip link si tendono e fanno aprire i canali di membrana per gli ioni potassio (K+) e calcio (Ca2+), provocando così una depolarizzazione della membrana. Al contrario, nel caso in cui la flessione avvenga verso lo stereociglio più corto (cioè di accorciamento inibitorio), gli stessi canali ionici si chiudono e si ha un’iperpolarizzazione della membrana cellulare. La depolarizzazione della membrana favorisce l’instaurarsi di un potenziale eccitatorio postsinaptico, che a sua volta innesca potenziali d’azione (spike) che si propagano lungo i neuroni fino a tradursi nel cervello in una percezione sonora. Dato il meccanismo basato sui tip link, che implica il cambiamento della forma delle stereociglia, non sorprende che proprio il citoscheletro delle cellule acustiche giochi un ruolo fondamentale nella trasduzione meccano-elettrica del suono, supportando i cambiamenti di forma necessari. Infatti, è sempre più evidente che proteine citoscheletriche come fimbrina, espina e actina mantengono la rigidità delle ciglia e, quindi, sostengono allungamenti e accorciamenti. In particolare, sembrano molto importanti i cambiamenti conformazionali di una glicoproteina di membrana “estensibile”, la prestina, che apre o chiude il passaggio di ioni cloro (Cl-), a seconda della polarizzazione delle cellule ciliate esterne.
L’organo deputato alla sensibilità tattile è la cute, il più esteso di tutto l’organismo. A differenza degli altri sensi, il tatto non presenta una via nervosa specifica, ma come “senso diffuso” sfrutta una trasmissione più generale che viene divisa in tattilità epicritica (deputata al trasporto di sensazioni finemente discriminative e specifiche) e protopatica (per il trasporto di quelle più grossolane). Per svolgere il suo compito, la cute è ricca di recettori tattili, che comprendono i corpuscoli di Meissner (per gli stimoli pressori), i corpuscoli di Pacini (per quelli vibratori), i dischi di Merkel (per gli stimoli statici) e i corpuscoli di Ruffini (per percepire la tensione). A questi si aggiungono i recettori dei follicoli piliferi, che captano specificamente i movimenti dei singoli peli e la loro tensione, e le papille filiformi della lingua che riconoscono stimoli tattili.
Anche in questo caso, come per l’udito, stimoli meccanici devono essere convertiti in segnali chimici e poi elettrici. Le molecole responsabili di tale conversione, identificate di recente, comprendono soprattutto canali epiteliali del sodio (in inglese natrium) della famiglia DEG/ENaC (degenerin/epithelial natrium channel). Questi canali cationici interagiscono tra loro, formando omomultimeri o eteromultimeri di 4-9 subunità, sono insensibili al voltaggio e molto più permeabili agli ioni Na+ che K+. Alcuni di questi canali sono debolmente permeabili anche agli ioni Ca2+. Molti canali DEG/ENaC sono localizzati sui neuroni responsabili della percezione meccano-sensoriale, ma resta ancora da chiarire se tali canali siano essi stessi dei meccanosensori, attivati direttamente dalla pressione meccanica mediante segnali molecolari diversi. Comunque, si può ritenere che la deformazione meccanica di un terminale nervoso attivi un complesso di canali ionici che includono subunità DEG/ENaC come componenti essenziali. Come conseguenza della loro attivazione s’instaura una corrente cationica depolarizzante, che innesca un potenziale d’azione. Al di là dei dettagli molecolari, l’esistenza di una notevole varietà (almeno 9 tipi) di canali DEG/ENaC, oltre che di proteine della matrice extracellulare e/o del citoscheletro a cui essi si associano, permette di avere recettori meccano-sensoriali abbastanza eterogenei da poter essere una valida base molecolare della grande varietà di sensazioni tattili che possiamo riconoscere.
Il gusto rende possibile la percezione dei sapori e degli aromi degli alimenti, in stretta collaborazione con l’olfatto. Quest’ultimo senso è, in realtà, molto più sensibile e “dominante”, come si può facilmente verificare in caso di raffreddore o semplicemente tappandosi il naso: sapori e aromi sono percepiti in modo nettamente ridotto o per nulla. Infatti, sono necessarie da 1014 a 1020 molecole per ml di soluzione (pari a 1 μM – 1 M) per evocare una sensazione gustativa, mentre ne bastano 107 - 1013 volte di meno per percepire un odore. Dal punto di vista evolutivo il gusto svolge una funzione fondamentale nella scelta di fonti di energia, che ci appaiono come sostanze gradevoli, e nella repulsione verso sostanze dannose e tossiche che consideriamo sgradevoli. Fino agli inizi del secolo scorso si sono riconosciuti 4 gusti fondamentali (dolce, amaro, salato e acido), a cui nel 1908 si è aggiunto il 5° gusto, cioè l’umami (“saporito”). Oggi s’ipotizza anche l’esistenza di un recettore specifico per il grasso, che potrebbe essere riconosciuto in futuro come 6° gusto. Altre sostanze come la capsaicina del peperoncino (Capsicum sativum) causano, invece, una sensazione di pseudocalore che percepiamo come “piccante”, ma questo non è in realtà un vero e proprio “gusto”.
Le papille fungiformi, foliate e circumvallate della lingua sono responsabili della sensibilità gustativa, grazie alle loro gemme (o calici) gustative. Le papille filiformi, invece, ne sono sprovviste e agiscono in realtà come meccanocettori che, per esempio, percepiscono l’effervescenza dovuta all’anidride carbonica delle bevande. I meccanismi biochimici alla base della percezione dei 5 gusti fondamentali sono riportati di seguito.
Le sostanze dolci attivano un classico recettore accoppiato a proteine G trimeriche, noto come recettore del gusto 3 di tipo 1 (type 1 taste receptor 3, T1R3), che forma omodimeri nelle papille fungiformi, foliate e circumvallate; ai dolcificanti sintetici, invece, risponde l’eterodimero che T1R3 forma con il recettore del gusto 2 di tipo 1 (T1R2), suo omologo. Attraverso gli omodimeri T1R3/T1R3 le sostanze dolci naturali attivano l’adenilato ciclasi (AC), che a sua volta aumenta i livelli di adenosina monofosfato ciclica (cAMP) e stimola la protein-chinasi A (PKA); questa fosforila canali ionici per K+, che si chiudono e depolarizzano la membrana cellulare provocando il rilascio di neurotrasmettitori. I dolcificanti artificiali, invece, attraverso gli eterodimeri T1R3/T1R2 attivano la fosfolipasi C (PLC), che libera dalle membrane inositolo-trifosfato (IP3) e diacilglicerolo (DAG), con conseguente rilascio di Ca2+ intracellulare; anche in questo caso la membrana cellulare si depolarizza, provocando il rilascio di neurotrasmettitori. L’attivazione di T1R3 e T1R2 può essere accompagnata da quella dei recettori-canale di tipo 5 (transient receptor membrane potential 5, TRMP5), che a loro volta attivano la PLC, provocando rilascio di Ca2+ e stimolazione della protein-chinasi C (PKC).
Anche le molecole responsabili del sapore amaro agiscono su recettori accoppiati a proteine G trimeriche (gustoducine), che vengono denominati recettori del gusto di tipo 2 (taste 2 receptor, T2R o TAS2R). Anche in questo caso i recettori-canale TRMP5 contribuiscono alla percezione dell’amaro, così come del dolce e dell’umami, e quindi non sorprende che la metà delle cellule con recettori del gusto li co-esprima. L’attivazione della subunità α della gustoducina da parte dei recettori T2R provoca l’attivazione della PDE, che riduce i livelli di cAMP al contrario di quanto avviene nella risposta alle sostanze dolci. L’azione della subunità α è rinforzata da quella delle subunità β e γ della gustoducina, che trasducono il segnale amaro attivando la PLCβ2 con conseguente rilascio di IP3 e DAG e, quindi, di ioni Ca2+. La riduzione di cAMP inibisce la PKA, mentre il Ca2+ attiva la PKC, con successiva modulazione di vari bersagli intracellulari.
Entrambi i gusti vengono percepiti mediante l’attivazione di canali ionici presenti sulla membrana delle cellule recettrici del gusto (taste receptor cell, TRC) sulle papille della lingua. Il gusto salato è dovuto tipicamente agli ioni Na+, mentre gli ioni K+ danno un gusto amaro-salato e quelli idrogeno (H+) un gusto acido. Tutti questi segnali chimici vengono convertiti in potenziali d’azione, che raggiungono il cervello per generare percezioni salate e acide. Entrambe provocano la depolarizzazione della membrana cellulare, o perché gli ioni attraversano il loro canale (come nel caso di K+) o perché inibiscono canali di ioni K+ voltaggio-dipendenti (come nel caso di H+). Di particolare rilevanza per la percezione salata sono i canali del sodio epiteliali (ENaC), tetrameri amiloride-sensibili molto diversi dai canali DEG/ENaC già visti per il tatto. Il passaggio di ioni Na+ attraverso canali ENaC produce una depolarizzazione della membrana cellulare; anche gli ioni H+ agiscono sugli stessi canali, chiudendoli e impedendo l’uscita di ioni K+, con conseguente depolarizzazione cellulare.
Ѐ un gusto che si associa alla sensazione di cibo di qualità, in linea con il suo significato giapponese di “saporito”, “delizioso” o “carnoso”. Esso dipende dalla risposta ad L-amminoacidi, soprattutto L-glutammato, oltre che a ribonucleotidi quali inosinato e guanilato, presenti nei cibi ricchi in proteine (come carni e formaggi). Il recettore specifico dell’umami, presente soprattutto sulle papille fungiformi, è l’eterodimero T1R1/T1R3 che stimola la PDE e riduce la concentrazione di cAMP analogamente a quanto avviene per il gusto amaro. Tale riduzione del cAMP provoca il rilascio di neurotrasmettitori e la generazione di un potenziale d’azione, che nel cervello si traduce nel sapore umami.
Ricapitolando, dei cinque gusti tre vengono percepiti attraverso variazioni delle concentrazioni di cAMP (aumentate dal dolce e ridotte dall’amaro e dall’umami), mentre gli altri due (salato e acido) si basano sulla regolazione del passaggio di ioni attraverso canali specifici.
La particolarità di questo senso appare già dal fatto che le sue cellule recettoriali sono anche “protoneuroni” della via nervosa, che inizia dalla mucosa olfattiva (una piccola area di appena 5 cm2) e capta gli odori con una sensibilità di 0.1 pM, pari a circa 107 molecole per ml. L’epitelio olfattivo della mucosa sintetizza proteine specifiche che legano gli odori (odorant binding protein, OBP), tra cui le lipocaline umane; queste trasportano le molecole odorigene attraverso il muco che circonda le cellule, fino ad uno specifico recettore degli odori (odorant receptor, OR). L’attivazione degli OR inizia una tipica cascata di reazioni mediata da proteine G trimeriche (note come Golf), che attivano l’adenilato ciclasi con aumento di cAMP, apertura di canali per il Ca2+ (e per l’Na+) che così entra nella cellula e, legato alla calmodulina, attiva un canale per il Cl-. Tale anione esce dalla cellula e ne fa depolarizzare la membrana, che così genera la percezione odorosa. Uno scambiatore Na+/Ca2+ contribuisce a mantenere ai due lati della membrana cellulare le concentrazioni necessarie dei due cationi. A valle di OR si trovano altre proteine effettrici, oltre all’adenilato ciclasi; tra queste PLC (e, quindi, IP3 e DAG), canali per il K+, guanilato ciclasi (e, quindi, cGMP) e ossido nitrico sintasi neuronale (e, quindi, NO), con l’effetto complessivo di modulare per esempio il rilascio di glutammato dai neuroni. In generale, i dati disponibili suggeriscono che diversi gruppi di odori possono stimolare vie di trasduzione differenti, ma comunque le due principali sembrano essere sempre quelle cAMP-dipendenti e quelle IP3/DAG-dipendenti.
Infine, si può osservare che neppure l’interpretazione dei meccanismi alla base dell’olfatto è univoca, esistendo ad oggi tre teorie diverse per spiegare il riconoscimento delle sostanze odorigene da parte di OR: teoria sterica (o formista), che dà peso a forma e dimensione di una molecola come elemento critico; teoria vibrazionale, che invece dà maggior rilievo alla vibrazione dei legami chimici di una molecola; teoria del tunneling elettronico, che rivisita la precedente teoria vibrazionale introducendo il concetto di “tunneling elettronico inelastico” indotto dalla vibrazione molecolare stessa. Resta ancora da chiarire anche l’esistenza di eventuali “amplificatori” e “collanti” degli odori, sostanze cioè che veicolano meglio o trattengono più a lungo gli odori sui loro recettori.
Mauro Maccarrone, Fondamenti di biochimica umana, Bologna 2021, pp. 1-450.