FARINI, Epaminonda
Nacque a Russi, nella Legazione di Ravenna, da Pietro Evangelista e da Teresa Zanzi, il 19 nov. 1827, in una famiglia tutta pervasa da fermenti illuministici e liberali, dallo zio Domenico Antonio al cugino Luigi Carlo. Membri di questa famiglia si incontrano in tutte le varie fasi e sulle diverse posizioni politiche delle lotte per l'unità e la libertà: il F. deve considerarsi il più "a sinistra", dei pochi riniasti fermamente fedeli all'idea repubblicana, spingendo la pregiudiziale antimonarchica fino all'intransigente rifiuto di partecipare alle elezioni, in una sorta di non possumus laico.
Il ricordo dello zio, vittima nel 1834 di un delitto maturato in ambienti sanfedisti, costantemente coltivato dai familiari, ispirò a lui ed ai fratelli Aristide e Leonida (anch'essi studenti in chimica e poi farmacisti) la più convinta avversione alla Chiesa e al suo potere temporale. Nel 1848, appena ventenne, il F. combatté a Vicenza e a Treviso fra i volontari pontifici; l'anno dopo partecipò alla difesa della Repubblica Romana, compresi gli epici scontri del Vascello. Rientrato a Russi, iniziò un'attività cospirativa per la quale fu arrestato nel 1853 insieme con altri: incarcerato prima a Imola poi a Bologna, conobbe la Giovine Italia attraverso il contatto con certe guardie ungheresi che pare vi fossero affiliate. Emigrò poi a Genova, dove nel 1855 si adoperò a favore dei colerosi. Incontrato qui un conterraneo, Rubicondo Barbetti (fratello del più noto Eusebio, compagno di Felice Orsini e condannato alla galera a vita nel 1845), che era agente della società francese concessionaria delle saline di Sardegna, si recò a Cagliari e lavorò in quell'amministrazione fino al '57, quando fu arrestato nell'ambito delle indagini conseguenti al tentativo di C. Pisacane e particolarmente rivolte contro i mazziniani. Dopo alcuni mesi nelle carceri cagliaritane di S. Pancrazio, fu espulso dagli Stati sardi e riparo prima m Algeria poi a Tunisi, dove visse lavorando come cameriere in un caffè. Nel 1859, non essendogli stato concesso il rimpatrio (malgrado l'interessamento del cugino Luigi Carlo, intanto divenuto importante a Torino) per essere fra coloro contro i quali era stato posto un veto francese, fuggì a Malta, donde riuscì a raggiungere Livorno e quindi Firenze, e si arruolò con i volontari del gen. L. Mezzacapo che peraltro rimasero acquartierati a Cattolica. Da qui con alcuni ferventi mazziniani pensò di raggiungere Garibaldi in Sicilia; ma il governo piemontese, ad evitare che fra i Mille questa componente si ingrossasse, li fece arrestare per diserzione e tradurre a Saluzzo e poi a Tortona, dove rimasero alcuni mesi. Prosciolto, il F. si recò comunque in Sicilia come emissario di Mazzini e diffusore dei documenti da lui redatti. Nel 1862 fu ancora con Garibaldi in Aspromonte e l'anno seguente, dopo un altro processo, a Lugano con Mazzini, poi a Neuchâtel. Partecipò infine alla guerra del 1866, nonostante le distanze prese dal Mazzini rispetto a quella campagna, per riprendere al ritorno l'attività politica e di propaganda.
Centro di quest'azione sarà per quasi quarant'anni la farmacia che il F. aprì non a Russi, dove già esercitavano i suoi fratelli, ma a San Pietro in Vincoli, popolosa frazione del Comune di Ravenna. Qui morì il 10 genn. 1903.
Di fronte al crescente numero di coloro che volevano, sia pure sul piano meramente tattico, il superamento della pregiudiziale istituzionale per partecipare alle elezioni politiche; e, d'altra parte, contro il dilagare dell' internazionalismo bakunista che appariva - specie dopo la ne di Parigi e la malcompresa condanna mazziniana - una lacerante eresia, il F. rappresentò un punto di riferimento per chi respingeva ogni lusinga collettivistica ma anche ogni illusione partecipazionista. La sua intransigenza su quest'ultimo punto lo spinse a distaccare le società popolari della sua zona d'influenza dal partito repubblicano per aderire a quello mazziniano: scissione che rimase aperta fino alla sua morte.
Aveva però apprezzato le possibilità di apostolato e di azione offerte dall'attività amministrativa (nella quale si impegnò talvolta anche m prima persona quale consigliere comunale di Russi) secondo la costante tradizione municipalista del repubblicanesimo romagnolo. In essa il F. innestava le sue mai spente illusioni insurrezionistiche, auspicando che gli enti locali, "rappresentanti il vero popolo", si scuotessero "risvegliando le coscienze e le virtù nonché le rivoluzioni degli avi nostri, ribellantisi ai prepotenti signorotti, nostrani e stranieri" (lettera del F. ad Andrea Costa, San Pietro in Vincoli, 13 nov. 1893, in Imola, Bibl. com., Carteggio A. Costa, b. 1518).
Era stato arrestato un'ultima volta nel 1874 non a Villa Ruffi (come qualcuno ha ritenuto) ma nel quadro del successivo giro di vite di G. Cantelli, ministro dell'Intemo nel gabinetto Minghetti, contro tutti "i sovversivi", fra i quali verrà sempre annoverato. Ancora vent'anni dopo un rapporto prefettizio confermerà che il F. "è il capo della società democratica repubblicana di S. Pietro in Vincoli ed il presidente della Lega repubblicana delle ville limitrofe", aggiungendo che "i partiti rivoluzionari di Ravenna lo hanno in buon concetto" essendo egli "uomo assai abile nell'aggruppare intorno a sé aderenti, nel far proseliti e nel dirigerli e guidarli".
La salma del F. fu portata a Bologna per esservi cremata e, a dispetto di ogni polemica, ebbe a Forlì il saluto del Partito repubblicano italiano recato da quel Giuseppe Gaudenzi che era stato il protagonista della sua formale ricostituzione dopo lo scioglimento del Patto di fratellanza. Le sue ceneri furono collocate nel famedio del cimitero di Russi che allora fungeva anche da cappella; il che determinò l'autorità ecclesiastica a vietare in quel luogo lo svolgimento di sacre funzioni.
Fonti e Bibl.: Forlì, Bibl. comunale, lettere del F. sono conservate in Fondo Piancastelli. CarteRomagna (part. buste 545 e 575), e Imola, Biblioteca comunale, Fondo Costa (part. busta 1518). Per il F. consigliere comunale cfr. Archivio comunale di Russi, 1879, buste 390 e 391; Epistolario di L. C. Farini, a cura di L. Rava, I, Bologna 1911, p. 314; IV, ibid. 1935, p. 74; A. Mambelli, Lettere inedite di L. C. Farini nella Biblioteca Piancastelli, in Il Risorgimento e L. C. Farini, I (1959), 1, p. 112; A. Comandini, Cospirazioni di Romagna e Bologna nelle memorie di Federico Comandini e di altri patriotti del tempo (1831-1857), Bologna 1899, pp. 222 s.; P. Franciosi, Mazzinianesimo in Romagna, in Rass. stor. del Risorgimento, XVIII (1931), 1, pp. 14 s.; E. Michel, Esuli italiani in Algeria (1815-1861), Bologna 1935, pp. 223, 226, 247; L. Lotti, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza 1957, p. 15; L. Montanari, Un fiero romagnolo: E. F., in Almanacco ravennate, 1964, pp. 453-462; S. Mattarelli, E. F. e gli ultimi mazziniani intransigenti nel Ravennate, in Arch. trimestrale, XII (1986), 1, pp. 111-126; M. Isnardi Parente, E. F. a Domenico Farini (Lettere 1866-1879), in Rassegna stor. d. Risorgimento, LXXXI (1994), pp. 34-43; Diz. del Risorgimento nazionale, III, pp. 41 s.