epanalessi
L’epanalessi (dal gr. epanálēpsis «ripetizione», in lat. geminatio, iteratio o reduplicatio) è una figura retorica che consiste nel ripetere, raddoppiandoli, una parola o un segmento discorsivo all’interno, al centro o alla fine di una identica unità testuale. Essa tende all’amplificazione emozionale del discorso, dato che il termine ripetuto crea una tensione comunicativa per le operazioni interpretative. In questo senso, l’epanalessi è affine all’➔anadiplosi.
Questa figura è già definita nella tradizione retorica più antica (per es., nella pseudociceroniana Retorica a Gaio Erennio: IV, 38, 28); anche Quintiliano nella sua Institutio oratoria riconosce ‘forza’ particolare nella ripetizione di una parola, anche a scopo ironico, e ne sottolinea la possibilità di frapporre un inciso fra la prima e la seconda citazione (IX, 3, 28-29). Acquisita dalle dottrine retoriche del medioevo, l’epanalèssi entra, sia pur in misura moderata, nella Commedia di Dante Alighieri, all’interno dell’invettiva («Ahi Pistoia Pistoia, ché non stanzi / d’incenerarti sì che più non duri / poi ch’n mal fare il seme tuo avanzi?», Inf. XXX, 10-13), con effetto ironico («Non son colui, non son colui che credi», Inf. XIX, 62), per elevare il tono emozionale del turbamento («Io dubitava e dicea “Dille, dille!” / fra me, “dille” dicea a la mia donna / che mi diseta con le dolci stille», Par. VII, 10-12) o ancora per sottolineare l’emozione dell’incontro («Guardaci ben! Ben sem ben sem Beatrice», Purg. XXX, 73). In altri casi, la ripetizione è affidata a complesse modulazioni con incisi (si veda la ripetizione di così: «Opera naturale è ch’uom favella; / ma così o così, natura lascia / poi fare a voi secondo che v’abbella», Par. XXVI, 130-132) sempre in funzione della brevitas.
Nei secoli successivi, l’epanalessi mantiene la strutturazione antica. In italiano occorre attendere soprattutto la stagione dei crepuscolari e del futurismo e in genere della poesia degli inizi del Novecento per una nuova, ricorrente modulazione stilistica della geminatio.
Considerata secondo la tipologia classica, l’epanalessi si distingue a seconda che la ripetizione avvenga all’inizio, al centro o alla fine dell’unità testuale e se essa risulti o meno interrotta da incisi. Si aggiunga che essa può dar luogo a reduplicazioni multiple.
(a) Epanalessi all’inizio (configurazione /XX …/)
Lenta lenta lenta va
nei canali l’acqua verde (Aldo Palazzeschi, “Visita alla contessa Eva Pizzardini Ba”, in Poesie, vv. 19-20)
Ancora parli, ancora parli, e guardi
le cose intorno. Piove … (Marino Moretti, “A Cesena”, in Il giardino dei frutti, vv. 49-50)
Ed io
io le lasciai sua vita;
io ne ho ghermito un’ombra (Umberto Saba, “Tavoletta”, in Cuor morituro, vv. 41-43)
T’amavo. Amavo. Anche per me nel mondo
c’era qualcuno (Camillo Sbarbaro, “Era color del mare e dell’estate”, in Versi a Dina, vv. 23-24)
… E il vuoto.
Il vuoto di quel foglio nel vento
analfabeta. Un vento … (Giorgio Caproni, “Dopo la notizia”, in Il muro della terra, vv. 1-3)
Ho risposto nel sonno: – È il vento,
il vento che fa musiche bizzarre (Vittorio Sereni, “Non sa più nulla è alto sulle ali”, in Diario di Algeria, vv. 8-9)
Che m’aspetti il futuro! che m’aspetti che m’aspetti il futuro (Amalia Rosselli, “Di sollievo in sollievo ...”, in Serie ospedaliera, v. 12).
(b) Epanalessi al centro (configurazione /… XX …/)
Pregio non ha, non ha ragion la vita
se non per lui, per lui ch’all’uomo è tutto (Giacomo Leopardi, “Il pensiero dominante”, in Canti, vv. 80-81)
eppure non sono cattivo
non sono cattivo se qui ... (Gozzano, “Un rimorso”, in La via del rifugio, vv. 33-34)
«Pettegolezzi! …» – «Ma non Le nascondo / che temo, temo qualche brutta ciarla» (Guido Gozzano, “La signorina Felicita, ovvero della felicità”, in Colloqui, VII, vv. 17-18)
e ancora ti chiamo ti chiamo Chimera (Dino Campana, “La chimera”, in Canti orfici, v. 35).
(c) Epanalessi alla fine (configurazione /… XX/)
Silenzio, bambini! Le amiche – bambini, fate pian piano! – (Gozzano, “L’amica di nonna Speranza”, in Colloqui, II, v. 13)
«Ma bene … ma bene … ma bene …» – diceva gesuitico e tardo / lo zio di molto riguardo – «... ma bene ... ma bene … ma bene» (Gozzano, “L’amica di nonna Speranza”, in Colloqui, III, vv. 9-10)
ma così, cieco e ignavo,
tra morte e morte vil ritmo fuggente,
anch’io t’avrò fatto, anch’io (Clemente Rebora, “Sciorinati giorni dispersi”, in Frammenti lirici, vv. 30-33)
E più tardi la luna. Aiuto, aiuto! (Sandro Penna, “I tuoi calmi spettacoli”, in Croce e delizia, v. 3)
Era ancora amore, tutto era
per divenire chiaro – era
chiaro! … (Pier Paolo Pasolini, “Il pianto della
scavatrice”, in Le ceneri di Gramsci, II, vv. 65-67)
fa’ buonamente un po’
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su (Andrea Zanzotto, “Al mondo”, in La beltà, vv. 20-22).
Nell’epanalessi rientra anche la cosiddetta struttura a cornice o frase foderata, che consiste «nella ripetizione a mo’ di eco, alla fine della frase, del predicato o di una sua parte (il solo verbo servile con gli elementi atoni connessi)» (Sabatini 1985: 243), di cui fornisce moltissimi esempi Belli (Garvin 1985: 287-289) e che poi è frequente anche in Verga:
Lui je prese una buggera,
je prese (Giuseppe Gioachino Belli, Sonetti, sonetto 1559, ed. Vigolo)
Voleva trargli fuori le budella dalla pancia, voleva trargli (Giuseppe Verga, “Cavalleria rusticana”, in Vita dei campi)
Nell’italiano contemporaneo, l’epanalessi pare meno praticata. Tuttavia, essa rimane a disposizione per organizzare strutture grammaticali di tipo orale in cui la seconda citazione pare valere come predicativa rispetto alla prima, come nelle domande (ad es.: a. Dove abiti? b. A Torino a. Torino Torino?).
Cicerone, Marco Tullio (1992), La retorica a Gaio Erennio, a cura di F. Cancelli, in Id., Tutte le opere, Milano, Arnoldo Mondadori, 33 voll., vol. 32°.
Quintiliano, Marco Fabio (2001), Institutio oratoria, a cura di A. Pennacini, Torino, Einaudi, 2 voll.
Garvin, Barbara (1985), La tensione fra sintassi e metro nel Belli, in Merolla 1985, pp. 285-296.
Merolla, Riccardo (a cura di) (1985), G.G. Belli romano, italiano ed europeo. Atti del II convegno internazionale di Studi belliani (Roma, 12-15 novembre 1984), Roma, Bonacci.
Sabatini, Francesco (1985), “I popolari discorsi svolti dalla mia poesia”. Sintassi del parlato nei Sonetti di Belli, in Merolla 1985, pp. 241-264.