Epatite
L'epatite (dal francese hépatite, derivato del greco ἧπαρ, -ατος, "fegato") è una malattia acuta o cronica del fegato, caratterizzata da alterazioni degenerative e necrotiche delle cellule epatiche e da infiammazione reattiva. La più frequente causa delle epatiti acute e croniche è un'infezione virale (epatiti virali), ma la malattia può anche essere provocata da abuso alcolico (epatite alcolica), da sostanze tossiche (epatiti tossiche), da farmaci (epatiti da farmaci) e da alcune infezioni batteriche e micotiche. Si definisce cronica un'epatite con durata superiore ai sei mesi.
Si definisce epatite virale acuta un'epatite infettiva e contagiosa, provocata da alcuni virus epatotropi che hanno la prerogativa di localizzarsi e moltiplicarsi preminentemente nel fegato. L'epatite virale acuta, nella sua forma itterica, ha una durata variabile da 3 a 10 settimane; i sintomi più frequenti e caratteristici sono, oltre l'ittero, l'astenia, l'inappetenza e la nausea. La malattia, nell'assoluta maggioranza dei casi, si risolve con una completa guarigione, senza conseguenze cliniche. Lo spettro di variabilità clinica è amplissimo, il decorso e l'esito sono influenzati dall'agente eziologico, dall'età e, in minor misura, dal sesso e da particolari condizioni fisiologiche o patologiche preesistenti. L'esistenza di una malattia contagiosa itterica era nota sin dall'antichità, ma la prima descrizione dell''ittero catarrale epidemico' risale ai primi anni del Novecento. Già durante la Seconda guerra mondiale, sulla scorta di criteri clinici ed epidemiologici, furono distinti due differenti tipi di epatite virale, l'epatite infettiva o epidemica, a trasmissione fecale-orale, e l'epatite da siero o da siringa, trasmessa per inoculazione. Nel 1947, F.O. MacCallum suggerì che le due epatiti venissero distinte con le lettere dell'alfabeto e precisamente: epatite A ed epatite B. Successivamente sono stati individuati altri tre tipi di epatite virale, l'epatite C, la Delta e la E. Di tutte queste cinque epatiti sono stati isolati o individuati i virus responsabili, che sono stati denominati rispettivamente HAV, HBV, HCV, HDV, HEV (Hepatitis A, B, C, D, E virus). Di questi, HAV e HEV provocano solo epatiti acute, mentre HBV, HCV ed HDV possono provocare epatiti sia acute sia croniche. Negli anni più recenti sono stati identificati due virus, denominati HGV e TTV (v. oltre), i quali sono in grado di provocare epatite acuta e infezione cronica. Il loro potere patogeno è limitato e non vi sono ancora evidenze cliniche ed epidemiologiche per includerli tra i virus epatici.
Sono noti alcuni virus spiccatamente epatotropi, responsabili di malattie tropicali caratterizzate da epatiti molto gravi con elevata letalità (per es., il virus della febbre gialla, il virus di Marburg e il virus di Ebola); questi virus non vengono inclusi tra quelli delle epatiti virali. Nel corso di alcune malattie virali (per es., mononucleosi infettiva, infezione da virus citomegalico) possono inoltre verificarsi episodi di epatite, che hanno tutte le caratteristiche delle epatiti virali: nemmeno i virus responsabili di queste condizioni morbose sono inclusi tra quelli epatici. Le stime fornite dall'Istituto superiore di sanità indicano che, per le migliorate condizioni igienico-sociali e in seguito alla vaccinazione obbligatoria, si è ottenuto il controllo dell'epatite B, la cui incidenza, che nel 1985 e 1986 era di 12 casi per 100.000 abitanti e per anno, si è ridotta a 3 casi per 100.000 abitanti e per anno dal 1994 al 1997. Le norme igieniche, finalizzate a prevenire la trasmissione parenterale dell'epatite C, e lo screening dei donatori di sangue per anti-HCV hanno ridotto l'incidenza dell'epatite C da 5 casi per 100.000 abitanti e per anno (1985) a 1 caso per 100.000 abitanti e per anno (periodo 1995-97). L'endemia di HAV non è ancora del tutto controllata: infatti l'incidenza dei casi di epatite A ha fluttuato irregolarmente da 10 casi per 100.000 abitanti e per anno nel 1985, a 17 casi per 100.000 abitanti e per anno nel 1997, con incidenze più basse nel decennio 1986-95. Solo una minoranza dei casi di epatite acuta (circa 1-2%) è da attribuire, in Italia, a virus differenti da HAV, HBV, HCV.
Il virus dell'epatite A (HAV) appartiene alla famiglia delle Picornaviridae, nell'ambito della quale forma probabilmente un proprio genere (Heparnavirus). È costituito da un capside proteico sferico del diametro di 27 nm, che contiene un filamento di acido ribonucleico. Il virus si replica in colture di cellule diploidi umane e ne sono state ottenute varianti attenuate. L'epatite da HAV può essere sperimentalmente trasmessa a molte specie di scimmie. Il virus viene eliminato con le feci; nei soggetti con epatite acuta itterica l'eliminazione fecale inizia nella fase prodromica preitterica e termina nel corso della prima o seconda settimana del periodo itterico, prima della guarigione. Il virus viene anche eliminato con le feci dai soggetti con infezione asintomatica o con epatite anitterica, per un periodo di 1 o 2 settimane. Non esistono portatori cronici del virus e la malattia o l'infezione asintomatica producono un'immunità permanente. La trasmissione naturale della malattia avviene per via fecale-orale, sia con il contatto diretto sia con l'ingestione di cibi contaminati, quali per es. frutti di mare crudi, che costituiscono una frequente sorgente di infezione. L'epatite A è stata endemica in Italia fino al 1980-82; negli anni successivi, a seguito delle migliorate condizioni igieniche e sociali, la sua incidenza si è gradualmente ridotta. Il virus, però, è ancora presente nell'ambiente ed è responsabile di casi sporadici e di piccoli focolai epidemici. È disponibile un vaccino efficace e innocuo costituito da virus inattivato; la vaccinazione è indicata per operatori sanitari, insegnanti, alimentaristi, militari, viaggiatori diretti in aree iperendemiche, e, se eseguita entro breve tempo dall'esposizione al contagio, è efficace nel prevenire la malattia nei soggetti esposti.
Il virus dell'epatite B (HBV) è un virus sferico del diametro di 42 nm, con un involucro lipoproteico (envelope) costituito dall'antigene di superficie HBsAg (Hepatitis B surface antigen) e da un nucleocapside (core) contenente l'antigene proteico HBcAg (Hepatitis B core antigen); vi è anche una seconda forma della proteina del core che costituisce l'antigene 'e' (HBeAg). All'interno del capside vi è il genoma del virus, costituito da un doppio filamento circolare di DNA. HBV appartiene alla famiglia Hepadnaviridae; il virus umano provoca infezione o malattia solo nell'uomo e nelle scimmie antropomorfe, mentre altri membri della famiglia sono patogeni per alcuni Mammiferi o per alcuni Uccelli. Tutti gli Hepadnavirus possono replicarsi in colture di cellule in vitro. Anche per l'epatite B è disponibile un vaccino efficace e innocuo costituito da HBsAg, prodotto con tecniche di ingegneria genetica. Nell'uomo, l'infezione da HBV può essere asintomatica o provocare un'epatite acuta itterica o anitterica. L'infezione da HBV, sia apparente sia inapparente, evolve in cronicità in una piccola percentuale di casi (1-2%). L'infezione cronica può essere responsabile di un'epatite cronica (v. oltre), ma può anche non accompagnarsi a segni di malattia; in tal caso il soggetto infetto si definisce 'portatore sano'. La cronicizzazione è più frequente in età neonatale o infantile. Nelle infezioni croniche da HBV si può verificare l'integrazione del DNA virale nel genoma delle cellule epatiche; ciò rappresenta un fattore di rischio d'insorgenza del carcinoma epatocellulare, un tumore primitivo del fegato. Nei soggetti che superano l'infezione sintomatica o asintomatica, con formazione di anti-HBs, si instaura un'immunità permanente. L'immunità per HBV protegge anche dall'infezione da HDV. Il virus è presente nel sangue e in alcuni liquidi biologici (saliva, sperma, secrezioni vaginali ecc.) dei malati di epatite acuta e cronica e dei portatori sani con replicazione virale; non viene eliminato con le feci. L'infezione da HBV può essere trasmessa solo per via parenterale. L'inoculazione può essere apparente (trasfusione, uso promiscuo di siringhe non sterili, uso di strumentari chirurgici non correttamente sterilizzati ecc.), oppure inapparente (rapporti sessuali, uso promiscuo di pettini, posate, stoviglie ecc.). Vi sono poi casi di trasmissione dalla madre, con infezione acuta o cronica, al nascituro durante la gravidanza, oppure al neonato durante il parto o nel periodo neonatale (trasmissione verticale). La percentuale di portatori del virus nella popolazione varia, in rapporto al livello di endemia, da meno dello 0,5% fino a oltre il 10%. Si calcola che nel mondo vi siano più di 200 milioni di portatori, il maggior numero dei quali è distribuito in Africa centrale e in Asia. In Italia, fino al 1980, vi è stato un livello di endemia intermedio, con una percentuale di portatori superiore al 3,5%. Negli ultimi anni del 20° secolo, grazie alle migliorate condizioni sociosanitarie e alla prevenzione della trasmissione verticale e intrafamiliare del contagio, il livello di endemia si è progressivamente abbassato. A partire dal 1991, nel nostro paese, la vaccinazione per HBV è stata resa obbligatoria per tutti i neonati e i dodicenni, e questo provvedimento dovrebbe portare al controllo completo dell'endemia nei prossimi dieci anni.
Il virus dell'epatite C (HCV) non è stato ancora isolato, ma, con tecniche di ingegneria genetica, è stato individuato il suo genoma, la cui struttura lo ha fatto includere nella famiglia delle Flaviviridae. HCV è costituito da un envelope, una matrice e un capside di natura proteica (aventi un diametro di 45 nm), che contengono un filamento lineare di RNA. Sono stati identificati almeno 6 distinti genotipi del virus, ciascuno comprendente più sierotipi. Nel corso dell'infezione cronica, la sequenza nucleotidica dell'RNA virale cambia lentamente per una serie di mutazioni, e quindi il virus che ha prodotto l'infezione persiste come un insieme di virus molto simili tra loro, 'quasi specie'. Questo fenomeno favorisce la resistenza del virus alle difese immunitarie dell'ospite e rappresenta uno degli ostacoli all'allestimento di un vaccino preventivo. Il virus si replica in vitro stentatamente, con una resa limitatissima, in colture primarie di epatociti e T linfociti; è patogeno tanto per lo scimpanzé, nel quale provoca infezione acuta e cronica, quanto per l'uomo. Il contagio avviene (così come è stato descritto per HBV) in seguito a inoculazione apparente o inapparente. La trasmissione sessuale e verticale di HCV è meno frequente di quella di HBV. Il contagio provoca un'infezione inapparente nella maggioranza dei casi e un'epatite acuta sintomatica nel 10-15% di essi; l'infezione, apparente o inapparente, cronicizza in circa l'80% dei casi. Il livello di endemia di HCV si valuta in relazione alla percentuale dei soggetti anti-HCV positivi nella popolazione, che varia da meno dello 0,5% nelle aree ipoendemiche fino al 5-10% nelle aree iperendemiche. In Italia vi è un livello di endemia intermedio, con una percentuale di soggetti anti-HCV positivi pari a circa l'1,5% della popolazione.
Il virus dell'epatite Delta (HDV) è una particella sferica con un diametro di circa 36 nm, costituita da un envelope di HBsAg (prodotto da HBV, che, come vedremo, è il virus helper) contenente una ribonucleoproteina che codifica la sintesi di una proteina specifica (HDAg). HDV non ha analogie con altri virus animali e ne presenta invece con i viroidi e i virusoidi, agenti infettivi che, prima della scoperta di HDV, si riteneva fossero patogeni solo per i vegetali. Il genoma di HDV è costituito da un filamento circolare di RNA. HDV non è in grado di replicarsi da solo e ha bisogno di HBV quale virus helper. I due virus HBV e HDV coesistono quindi nel sangue, nel fegato e nei liquidi biologici dei soggetti con epatite acuta o cronica da HDV. Le modalità di contagio sono identiche a quelle di HBV, ma, per le sue peculiari caratteristiche, HDV può dar luogo a coinfezione o a superinfezione. La coinfezione si verifica quando un soggetto indenne viene infettato contemporaneamente da HBV e HDV, con conseguente epatite acuta, che può avere un decorso severo, ma che nella quasi totalità dei casi si conclude con la guarigione. La superinfezione si verifica quando HDV infetta un soggetto con infezione cronica da HBV, sintomatica o asintomatica. La superinfezione provoca di solito un'epatite grave con evoluzione in cronicità in circa il 70% dei casi. La trasmissione verticale di HDV è infrequente. HDV può provocare coinfezione e superinfezione, oltre che nell'uomo, anche nelle scimmie antropomorfe.
Il virus dell'epatite E (HEV) è un piccolo virus sferico, del diametro di 30 nm, privo di envelope e costituito da un capside proteico contenente un singolo filamento di RNA. Le sue caratteristiche lo assimilano ai virus della famiglia Caliciviridae. HEV si replica stentatamente in vitro in colture primarie di epatociti; è patogeno per diverse specie di scimmie; il virus viene eliminato con le feci; la trasmissione avviene per via fecale-orale. HEV è endemico in Africa, India, Cina, America Centrale e altri paesi in via di sviluppo. L'acqua contaminata è frequentemente implicata nella trasmissione dell'infezione; sono state descritte numerose epidemie idriche in Africa e in Asia. In Italia sono stati segnalati rari casi autoctoni o da importazione.
Il virus GBV-C, denominato anche HGV (Hepatitis G virus), è stato recentemente clonato e studiato con tecniche di biologia molecolare. La sua struttura genomica, simile a quella di HCV, lo ha fatto includere tra i membri della famiglia Flaviviridae. Il virus è trasmesso con le trasfusioni di sangue e con l'inoculazione parenterale; la sua epidemiologia è sovrapponibile a quella già descritta per HBV e HCV. Solo una minoranza dei soggetti infetti sviluppa epatite acuta e, malgrado la frequente cronicizzazione dell'infezione, vi sono solo indizi per la responsabilità eziologica di HGV in epatiti croniche; infatti, l'infezione cronica è autolimitantesi e, anche in assenza di terapia, si risolve entro 2-3 anni con formazione di anticorpi specifici. HGV è presente nell'1-2% della popolazione normale e dei donatori di sangue, ma solo un'esigua minoranza dei soggetti infetti presenta segni di malattia. In una percentuale variabile di soggetti con epatite cronica da HBV o HCV vi è coinfezione con HGV, ma ciò non è fattore di aggravamento dell'infezione principale. Non è stato ancora dimostrato che il fegato sia il sito primario di replicazione di HGV, né è stato chiaramente definito il ruolo patogeno di questo virus.
Il virus TTV (Transfusion transmitted virus) è stato di recente identificato con tecniche di biologia molecolare nel siero di un paziente con epatite post-trasfusionale a eziologia non conosciuta. È un virus privo di envelope, contenente un singolo filamento di DNA, presente nel sangue e anche nelle feci dei soggetti infetti. Il contagio avviene per via parenterale (e si ipotizza anche per via fecale-orale). Il virus è stato ritrovato in circa l'1% dei donatori di sangue degli Stati Uniti e in una piccola percentuale di soggetti con epatiti croniche e cirrosi a eziologia non nota. È stata osservata la coinfezione con HBV e HCV. La storia naturale dell'infezione non è ancora ben definita e i dati della letteratura suggeriscono che TTV sia un virus di limitato potere patogeno.
2. Patogenesi, anatomia patologica, clinica e terapia delle epatiti virali acute
Il principale fattore patogenetico è la necrosi, più o meno estesa, delle cellule epatiche, che è provocata dalla moltiplicazione dei virus epatitici negli epatociti. Il quadro istopatologico è costituito da degenerazione e necrosi diffusa delle cellule epatiche, più accentuate nella zona centrolobulare. All'interno del lobulo si nota anche la presenza di un essudato infiammatorio con cellule mononucleari. Gli spazi portali sono sede di un'infiammazione linfocitaria. Il quadro clinico ha un ampio spettro di variabilità; si riporta sinteticamente quello caratteristico delle epatiti virali acute con ittero 'acquisite nella comunità'. Le epatiti post-trasfusionali (ormai rare, perché lo screening dei donatori ha quasi eliminato il rischio di contagio) hanno un decorso più severo e le epatiti contratte con iniezione endovenosa di droga ne hanno uno atipico per la frequente coinfezione da più virus. Le epatiti virali di differente eziologia presentano sintomatologia simile, ma un differente periodo di incubazione (2-5 settimane per l'epatite A; 8-24 settimane per l'epatite B e Delta; 2-10 settimane per l'epatite C; 5-10 settimane per l'epatite E). Le forme cliniche sintomatiche e itteriche rappresentano circa il 25% dei casi, mentre la maggioranza di essi è anitterica, oligosintomatica o asintomatica (epatite anitterica). La percentuale delle forme itteriche, l'intensità dell'ittero, la durata e la severità della malattia crescono in concomitanza con l'età in cui si verifica il contagio. Nell'epatite virale acuta itterica, il decorso tipico comprende il periodo preitterico, quello itterico e la fase di risoluzione. Il periodo preitterico ha una durata di pochi giorni ed è caratterizzato da astenia, anoressia e nausea, che si accompagnano spesso a un episodio febbrile di breve durata. In alcuni casi vi sono anche vomito, dolori addominali, diarrea, più raramente artromialgie e prurito cutaneo. Già in questa fase l'esame clinico può evidenziare l'ingrandimento del fegato e gli accertamenti di laboratorio mostrano un notevole aumento delle attività transaminasiche del siero. Il passaggio dal periodo preitterico a quello itterico è contraddistinto dalla caduta della febbre accompagnata dalla rapida insorgenza dell'ittero; le urine diventano color marsala, le feci si scolorano. Dopo aver raggiunto l'acme in pochi giorni, l'ittero si attenua lentamente fino a scomparire entro 2-6 settimane; in questo periodo di tempo i sintomi soggettivi si attenuano e l'epatomegalia e la splenomegalia si riducono. Con la scomparsa dell'ittero inizia la fase di risoluzione, che ha la durata di 2-3 settimane. Il paziente avverte un progressivo miglioramento della cenestesi, i valori delle transaminasi diminuiscono gradatamente fino a raggiungere valori normali. La guarigione completa dell'epatite virale si ha quando, contemporaneamente o poco dopo la normalizzazione delle transaminasi del siero, gli esami sierologici e virologici documentano la risoluzione dell'infezione virale responsabile dell'epatite (v. oltre).
Altre forme cliniche dell'epatite virale sono: l'epatite anitterica (già menzionata); l'epatite colestatica, con ittero intenso e di lunga durata; l'epatite a decorso protratto o polifasico; l'epatite severa, con notevole compromissione dello stato generale e della funzionalità epatica; l'epatite fulminante, con necrosi massiva del fegato e quadro clinico caratterizzato da ipoglicemia, tossiemia, edema cerebrale, encefalopatia epatica con coma, coagulopatia con emorragie. L'epatite fulminante ha quasi sempre esito infausto ed è responsabile della letalità che varia nelle differenti eziologie. La letalità per l'epatite A è circa dello 0,05%, per l'epatite B è dello 0,5-1%, per l'epatite C è praticamente inesistente, per l'epatite E è dell'1-2%. La letalità è notevolmente più elevata nell'epatite A degli anziani, nell'epatite E delle donne gravide, nella coinfezione e la superinfezione Delta. Il principale dato di laboratorio per la diagnosi di epatite virale acuta, indipendentemente dalla sua eziologia, è un notevole aumento (oltre 10 volte il valore normale) delle transaminasi del siero AST e ALT, con aumento di ALT molto più marcato di quello di AST. Nelle epatiti itteriche vi è anche iperbilirubinemia. L'ipertransaminasemia è presente anche nelle epatiti anitteriche e in quelle asintomatiche. Nei casi gravi si ha una notevole diminuzione del tasso di protrombina e/o un notevole aumento della bilirubinemia. La diagnosi differenziale dei differenti tipi di epatite virale acuta (v. il capitolo Le analisi di laboratorio) è basata sulla ricerca dei marcatori sierologici specifici e può essere schematizzata come segue.
a) Epatite A: presenza di anticorpi anti-HAV della classe IgM; con la guarigione scompaiono gli anticorpi IgM mentre persistono quelli IgG, la presenza dei quali documenta l'acquisizione di un'immunità completa.
b) Epatite B: presenza di HBsAg, che nelle fasi precoci è quasi sempre associato a HBeAg, presenza di anti-HCV della classe IgM. La guarigione dell'infezione da HBV è documentata dalla scomparsa di HBsAg con formazione di anticorpi anti-HBs e dalla scomparsa degli anticorpi anti-HBc della classe IgM, che vengono sostituiti da anti-HBc della classe IgG. La sieroconversione ad anti-HBs documenta l'acquisizione di un'immunità efficace e duratura. Nei casi con decorso tipico, nei quali entro 1-2 mesi si consegue la guarigione clinica e di laboratorio con sieroconversione ad anti-HBs, non è necessario sorvegliare la sieroconversione da HBeAg ad anti-HBe, né ricercare lo HBV-DNA nel siero. Questi accertamenti sono indicati solamente nelle epatiti a decorso protratto oppure in quelle croniche. L'evoluzione in cronicità dell'infezione è attestata dalla persistenza nel siero di HBsAg, per un periodo di tempo superiore a 6 mesi.
c) Epatite C: presenza di anticorpi anti-HCV, la cui comparsa è relativamente tardiva, per cui il test va eseguito 2 settimane dopo l'insorgenza dell'epatite e ripetuto, se necessario, dopo 1, 3 e 6 mesi. Nei casi dubbi deve essere ricercato nel siero HCV-RNA, che è presente sin dalle fasi iniziali della malattia. Dopo la guarigione clinica e la stabile normalizzazione delle transaminasi, l'eradicazione dell'infezione virale deve essere documentata dalla negatività della ricerca di HCV-RNA, da eseguire dopo 6 mesi. Successivamente alla guarigione, gli anticorpi anti-HCV persistono a lungo nel siero e vi sono indizi per l'acquisizione di un'immunità incompleta.
d) Epatite Delta: presenza nel siero di HDAg e di anti-HD della classe IgM; nel siero è sempre presente anche HBsAg, perché HBV è il virus helper. La guarigione è caratterizzata dalla sieroconversione da HBsAg ad anti-HBs e dalla scomparsa di anti-HDV. La cronicizzazione è, invece, testimoniata dalla persistenza di HBsAg e di anti-HDV. Poiché HAV, HBV, HCV e HDV sono complessivamente responsabili di circa il 99% delle epatiti virali in Italia, non è necessario specificare i marcatori sierologici per le altre eziologie.
La terapia delle epatiti virali varia in relazione alla patogenesi e in rapporto alla severità del quadro clinico e dell'insufficienza funzionale del fegato. L'ospedalizzazione è solo raramente necessaria (nei casi gravi o quando non sia attuabile l'isolamento domiciliare). Per quanto riguarda la differenza dei trattamenti nelle varie eziologie, solo nell'epatite acuta da HCV gli esperti concordano sull'utilità del trattamento con interferone, al fine di ridurre il rischio di cronicizzazione. Nella maggioranza delle epatiti non è necessaria alcuna terapia. Se il paziente non è in grado di alimentarsi per la nausea o il vomito, sono indicate infusioni di soluzione di glucosio e, quando occorre, anche di soluzioni saline. Le bevande alcoliche sono assolutamente da evitare, ma non sono indicate altre particolari restrizioni dietetiche. Nelle epatiti severe con compromissione delle condizioni generali, aumento molto rilevante delle attività transaminasi, associato a ittero intenso e deficit dell'attività protrombinica, è necessaria l'ospedalizzazione. I casi di epatite fulminante devono essere ricoverati in un reparto di terapia intensiva. I pazienti con coma profondo e gravissima insufficienza epatica sono inseriti con priorità nella lista dei candidati a ricevere con urgenza assoluta il trapianto epatico.
L'epatite alcolica acuta è causata da abuso etilico acuto o cronico. È caratterizzata da ittero, dolori addominali, febbre, leucocitosi e, talvolta, ascite. Il reperto istopatologico è costituito dalla presenza di corpi ialini e di cellule balloniformi; la necrosi degli epatociti si associa a infiltrazione di polimorfonucleati. I dati di laboratorio utili alla diagnosi sono l'ipertransaminasemia (5-6 volte i valori normali, con aumento preminente di AST) e il notevole aumento della gamma-glutamiltranspeptidasi del siero; nei casi gravi si verifica anche una riduzione del tasso di protrombina e ipoalbuminemia. La malattia può essere reversibile; tuttavia, nei pazienti che continuano ad assumere alcol è di solito progressiva.
Le epatiti tossiche sono caratterizzate da necrosi epatica con limitata o assente risposta infiammatoria; sono causate da inalazione, ingestione o inoculazione di sostanze epatotossiche per errore o incidente. Le sostanze epatotossiche più frequentemente implicate sono il tetracloruro di carbonio, il fosforo e alcuni funghi velenosi, come l'Amanita phalloides. L'intossicazione dovuta all'ingestione di Amanita phalloides provoca un'epatite fulminante, mentre il tetracloruro di carbonio, oltre a una grave necrosi epatica, determina anche danno renale.
Le epatiti da farmaci si distinguono in tossiche e idiosincrasiche. Le epatiti tossiche, che sono prevedibili, vengono causate dall'intrinseca epatotossicità di un farmaco; gli effetti tossici sono proporzionali alla dose. Esse si verificano quando il farmaco (per es. 6-mercaptopurina) viene somministrato a dosi elevate per particolari esigenze terapeutiche, o quando (per es. paracetamolo) viene assunto a dosi molto alte per errore o a scopo suicida. Le epatiti idiosincrasiche, imprevedibili, sono invece dovute a un accelerato o aberrante metabolismo del farmaco stesso. Tra i numerosi farmaci implicati si ricordano la idrazide dell'acido isonicotinico e l'alotano. Sia le epatiti tossiche sia quelle idiosincrasiche possono presentarsi in due forme cliniche, di cui una con prevalente citonecrosi, simile a un'epatite virale, e l'altra con prevalente colestasi, simulante un ittero ostruttivo. Le epatiti idiosincrasiche si accompagnano spesso a rash cutanei, orticaria ed eosinofilia. L'intossicazione da paracetamolo provoca un'epatite fulminante. La diagnosi delle epatiti da farmaci è basata sull'accurata anamnesi, sull'esclusione di altre possibili cause e sulla risoluzione dell'epatite stessa a seguito dell'interruzione del farmaco. La presenza di rash, orticaria ed eosinofilia deve far sospettare l'epatite idiosincrasica.
Vi sono, infine, epatiti da infezioni batteriche e micotiche. Nel corso di diverse infezioni batteriche (per es., leptospirosi, sifilide, brucellosi, tubercolosi) oppure di micosi sistemiche (per es., candidiasi, aspergillosi) può insorgere un'epatite causata dall'invasione del fegato da parte dell'agente patogeno; in particolari eziologie (per es., tubercolosi, brucellosi), l'epatite è caratterizzata dalla formazione di granulomi nel parenchima epatico (epatite granulomatosa). La compromissione epatica, in questo gruppo di patologie, si accompagna sempre al quadro clinico caratteristico dell'infezione che è responsabile dell'epatite stessa. Le epatiti micotiche sono frequenti nei pazienti con deficit dell'immunità, quali quelli con AIDS, con leucemie e granulocitopenia, o quelli sottoposti a terapia immunosoppressiva.
Viene definita epatite cronica un'infiammazione del fegato che perdura senza miglioramento per oltre 6 mesi. La maggioranza delle epatiti croniche ha un decorso oligosintomatico o asintomatico per lungo tempo (anni, decenni). L'evoluzione e l'esito sono correlati con l'eziologia e con altri fattori, quali età, sesso, stile di vita ecc. L'esito è variabile e va dalla guarigione completa alla stazionarietà, all'evoluzione più o meno rapida verso la cirrosi epatica. Numerose sono le cause di epatite cronica; quelle più frequenti sono l'infezione cronica da HBV, HCV, HDV e l'abuso alcolico, talora associati tra loro. Le epatiti croniche da HBV possono essere determinate sia dal 'ceppo selvaggio', sia da 'ceppi mutanti' che non esprimono l'antigene 'e'. Cause più rare sono alcuni errori congeniti del metabolismo (per es., morbo di Wilson, deficit di alfa-1 antitripsina, emocromatosi ecc.), l'autoimmunità e l'idiosincrasia ad alcuni farmaci; alcuni tipi di epatiti autoimmuni possono associarsi a infezioni croniche da virus. L'incidenza delle singole eziologie varia nel tempo e nelle differenti aree geografiche. In Italia, negli ultimi anni del 20° secolo, l'infezione cronica da HCV è responsabile di circa il 50% dei casi; l'infezione cronica da HBV (raramente associata a HDV) di circa il 10%; l'anamnesi di abuso alcolico, associato spesso all'infezione da HCV, è presente in circa il 30% dei casi; le epatiti croniche autoimmuni e gli errori congeniti del metabolismo sono responsabili di circa il 5% dei casi, mentre nel residuo 5% l'agente eziologico non viene identificato.
La diagnosi generica di epatite cronica deriva dal rilievo, spesso occasionale, di ipertransaminasemia anche modesta, ma di lunga durata, associata o meno a epatomegalia e splenomegalia. Per le epatiti croniche virali la diagnosi eziologica è basata sulla rilevazione nel siero di marcatori specifici: HbsAg, HBV-DNA e HBeAg per le epatiti da ceppo selvaggio di HBV; HbsAg, HBV-DNA e anti-HBe per le epatiti da ceppi mutanti di HBV; anti-HCV e HCV-RNA per le epatiti da HCV; anti-HDV e HBsAg per le epatiti da HDV. Nella maggioranza dei pazienti con epatiti croniche virali l'infezione persiste molto a lungo e talora per l'intera vita. Le epatiti autoimmuni vengono diagnosticate con la ricerca di autoanticorpi non organo-specifici, differenti per le varie forme, spesso associati a ipergammaglobulinemia e a elevati valori delle transaminasi. La diagnosi delle epatiti croniche da errori congeniti del metabolismo richiede accertamenti specifici per ciascuno di essi; per quella delle epatiti croniche da farmaci va ricercata, con un'accurata anamnesi, l'assunzione di farmaci potenzialmente responsabili di epatite cronica. In tutti i pazienti con epatite cronica l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) raccomanda di valutare il consumo di alcol con uno specifico questionario. Lo studio completo di un paziente con epatite cronica richiede quasi sempre l'esame microscopico di un campione di tessuto epatico, prelevato con agobiopsia epatica. Tale indagine comporta, dopo anestesia locale, la puntura del fegato con un ago particolare, che consente di prelevare un sottile cilindro di tessuto lungo circa 1,5-3 cm. Il rischio dell'agobiopsia epatica è praticamente nullo se è eseguita da un operatore esperto, sotto guida ecografica. L'esame microscopico del preparato istologico del frustolo epatico consente di valutare l'entità della necrosi e dell'infiammazione (attività istologica) che viene graduata in: minima, mite, media o severa. Esso consente anche di valutare, attraverso l'estensione della fibrosi, lo stadio della malattia e la fase di progressione verso la cirrosi (v.). La fibrosi, secondo una delle più accreditate classificazioni, viene distinta in vari stadi: fibrosi portale, setti fibrosi senza nodulazione, sospetta cirrosi, cirrosi certa. La diagnosi istologica di cirrosi può precedere di molti anni la comparsa dei sintomi della malattia. L'esame microscopico del tessuto epatico permette, talvolta, di orientare la diagnosi verso alcune eziologie (per es., autoimmunità, abuso alcolico, idiosincrasia a farmaci) in base all'osservazione delle alterazioni epatocitarie e del tipo degli infiltrati infiammatori, con prevalenza di linfociti o plasmacellule o neutrofili o eosinofili. Esso permette anche di diagnosticare malattie congenite del metabolismo, per mezzo di particolari colorazioni o specifici esami, che consentono di evidenziare l'accumulo intraepatico di ferro, di rame, di particolari proteine ecc. È anche possibile evidenziare, con particolari colorazioni, alcuni antigeni virali nel tessuto epatico (HBsAg, HBcAg e HDAg) o, con tecniche di biologia molecolare, i genomi virali.
L'evoluzione e la prognosi delle epatiti croniche variano in relazione all'eziologia, all'efficacia dei trattamenti terapeutici disponibili e a molteplici altri fattori, quali l'età, il sesso, l'etnia, lo stile di vita, la presenza concomitante di due o più fattori eziologici ecc. Le epatiti croniche da errori congeniti del metabolismo hanno prognosi severa o infausta; per molte di esse è indicato il trapianto epatico. Per il morbo di Wilson e l'emocromatosi esistono terapie efficaci, che debbono essere continuate per tutta la vita del paziente. Le epatiti croniche autoimmuni hanno decorso severo e rispondono favorevolmente alla terapia immunosoppressiva, sono però frequenti le recidive. Per le epatiti croniche da HDV, ormai rare, non vi è una terapia costantemente efficace e si osserva quindi frequentemente la progressione verso la cirrosi; solo in pochi casi il decorso è mite e indolente. Le epatiti croniche da ceppo selvaggio di HBV sono divenute poco frequenti dopo l'istituzione della vaccinazione per HBV. Per esse è indicata la terapia con interferone, che provoca una remissione stabile della malattia in circa il 40% dei casi trattati e la guarigione con eradicazione dell'infezione in circa il 5%. La remissione stabile si verifica spontaneamente in una percentuale minore di casi (circa 10% per anno), la guarigione spontanea con eradicazione dell'infezione è molto rara. Le epatiti croniche da ceppi mutanti di HBV sono divenute, per contro, molto più frequenti e hanno decorso severo, perché i ceppi mutanti sono resistenti sia alle difese immunitarie dell'ospite, sia alla terapia con interferone, che agisce esaltando le difese immunitarie. La remissione e la guarigione spontanea sono eccezionali. Il decorso è caratterizzato da periodici episodi di riacutizzazione e dall'evoluzione relativamente rapida verso la cirrosi. Diversi nucleosidici analoghi, e in particolare la lamivudina, se somministrati ininterrottamente, inducono una remissione stabile della durata di alcuni anni, ma non la guarigione.
Le epatiti croniche da HCV sono caratterizzate da una sintomatologia lieve e sfumata, dal modesto aumento delle transaminasi e delle gammaglobuline del siero, dalla frequente stazionarietà del quadro clinico e istologico per molti anni (fino a 10-15) e dalla lenta progressione verso la cirrosi. Ciò nonostante la guarigione spontanea è eccezionale, quella ottenuta dalla terapia con interferone è poco frequente (circa 20% dei casi trattati). La percentuale di guarigione è superiore (circa 40% dei casi trattati) a seguito di terapia con l'associazione di interferone e ribavirina. La progressione verso la cirrosi nelle epatiti croniche da HCV è più rapida nei pazienti con notevole attività istologica dell'epatite ed è accelerata dall'abuso alcolico e dalla concomitante infezione da HBV e da HDV. In conclusione, HCV deve essere considerato un nemico subdolo e temibile; ciò è comprovato dal fatto che la più frequente causa della cirrosi epatica in Italia è l'infezione cronica da esso provocata.
Oxford textbook of clinical hepatology, ed. J. Bircher et al., Oxford, Oxford University Press, 1999.
M. Piazza, Epatite virale acuta e cronica, Milano, Ghedini, 1994 (aggiornamento dell'opera 1997).
S. Sherlock, J. Doodley, Diseases of the liver and biliary system, Oxford, Blackwell, 1997.