EPHEDRISMOS (ἐϕεδρισμός)
Gioco fanciullesco dell'antica Grecia.
Polluce (ix, 119) spiega in che cosa esso consistesse: "Si mette una pietra ritta ad una certa distanza e si cerca di rovesciarla prendendola di mira con palle ed altre pietre; chi non riesce porta sul suo dorso il vincitore; quest'ultimo gli copre gli occhi con le mani. Il perdente deve camminare portando il vincitore fino a quando arriva, alla cieca, alla pietra che è chiamata pietra limite (δίορος)". Una tecnica di gioco pressoché analoga è descritta da Polluce (ix, 122) anche per il gioco ἐν κοτύλῃ, avvertendo che esso ha i nomi di ἱππάς e di κύβησις. Esichio poi ci precisa che l'ἐϕεδρισηός in Attica era chiamato ἐν κούλῃ.
Su un'oinochòe del museo di Berlino è rappresentata la seconda parte del gioco, quella che potremmo definire "della penitenza". Il ragazzo che ha fallito il colpo porta sulle spalle il vincitore che si appoggia con le ginocchia piegate al palmo delle mani del compagno coprendogli gli occhi; questi, con passo esitante, si dirige verso un sasso, il δίορος presso il quale è seduto un altro ragazzo.
Forse non hanno nulla a che fare con l'e. altre rappresentazioni, in cui una figura giovanile e femminile, regge sulle spalle un'altra, come si può vedere in pitture vascolari, in terrecotte, nel gruppo del Museo dei Conservatori o in quello dell'agorà di Atene. Si può pensare per essi ad altri giochi fanciulleschi.
Bibl.: Dict. Ant., II, i, p. 636 s.; Jüthner, in Pauly-Wissowa, V, 2, 1905, c. 2747; H. Thompson, in Hesperia, XVIII, 1949, p. 241; M. Bieber, in Studies Presented to D. Robinson, I, S. Louis 1951, p. 556 s.; G. Van Hoorn, Choes and Anthesteria, Leida 1951, p. 104, n. 315.