CORBINO, Epicarmo
Nacque ad Augusta (Siracusa) il 18 luglio 1890 da Vincenzo, modesto artigiano, ma con cultura superiore alla media, e da Rosaria Imprescia. Egli fu quarto maschio di sette figli, di cui il secondo, Orso Mario, poi illustre fisico, esercitò un notevole influsso sul C. per la sua eccezionale personalità. Le condizioni economiche della famiglia non erano le migliori, aggravate dalla crisi che attraversava l'artigianato meridionale. Il C. frequentò le scuole elementari ad Augusta e proseguì gli studi presso la scuola tecnica locale dove si licenziò nel 1904. Ebbe tra gli insegnanti di quella scuola Mario Barbagallo, padre dello storico Corrado, che seppe svegliare nel giovane talune attitudini che successivamente appariranno singolari. Diplomato ragioniere nel, 1908, poiché le condizioni economiche della famiglia non gli consentivano di frequentare l'università il C. trovò un impiego presso la ditta dei fratelli Franco, titolari di una grande azienda che esercitava attività nel campo dell'armamento a vela e il commercio di vino, cereali e legnami. Questo lavoro divenne per il C. un fecondo campo di osservazione, poiché qui egli cominciò ad avere una chiara idea della complessità del mondo economico e interesse per lo studio dei fatti economici. In questo periodo si interessò anche alla vita politica locale, fondando una associazione giovanile operaia, nucleo intorno al quale sorse più tardi la Camera del lavoro di Augusta, e partecipò (benché non ancora elettore) alla campagna per alcune elezioni amministrative. Cominciò anche ad approfondire gli studi di economia accostandosi ai-classici.
Il C. lasciò i Franco nel maggio del 1911, allorché fu nominato, per concorso, sottotenente nel corpo delle capitanerie di porto: comincio allora una fase nuova della sua vita. Il contatto con il mare e con le attività congiunte lo poneva dinanzi a problemi molto più complessi di quelli che aveva avuto modo di osservare entro la ristretta cerchia del suo paese natale. Il C. prestò servizio undici anni nelle capitanerie: fu a Bari, a Genova, a Catania, alla Spezia, a Porto Maurizio e a Salonicco. Cominciò allora a scrivere piccoli saggi, sfruttando per questo e per la lettura le ore serali: la sua prima pubblicazione fu una monografia, l'Emigrazione in Augusta (Catania 1914), in cui analizzava le condizioni delle campagne, dei contadini e degli altri lavoratori prima del 1900, le cause e lo svolgimento dell'emigrazione nel campo economico, le ripercussioni nel campo politico e sociale, i mezzi per impedire l'incremento del fenomeno.
In questi anni, il C. prese contatto con alcuni dei maggiori economisti italiani che saranno i suoi maestri: G. Mortara, L. Einaudi, U. Ricci, L. Amoroso, G. Salvemini. Questi gli pubblicò sull'Unità numerosi articoli intorno a questioni marittime, raccolti poi nel volume Marina mercantile italiana (Milano 1919), in cui il C. discuteva dei complessi aspetti del problema marittimo italiano, caratterizzato dal contrasto di molteplici interessi, la cui armonizzazione era essenziale per la rinascita delle energie produttive del paese.
Negli anni della guerra egli riteneva che una grande marina mercantile fosse necessaria per la vittoria sulla Triplice e, poiché i bisogni di tonnellaggio erano enormi, dovesse essere incoraggiato ogni sforzo per il suo aumento; ma, a guerra finita, a una fase nella quale non si doveva fare questione di costi, ne subentrava un'altra in cui il principio dell'economicità riacquistava valore preminente; di qui la condanna del protezionismo marittimo e dei connessi oneri per lo Stato, che lasciava invece campo al favoritismo legalizzato.
Tra il 1919 e il 1921,'il C. continuò a studiare intensamente questo tema, pubblicando il suo primo lavoro organico, Il protezionismo marittimo in Italia (Roma 1922), che il Mortara pubblicò anche a puntate sul Giornale degli economisti.
Dalle conclusioni cui il C. perveniva scaturivano indicazioni drastiche di politica economica marittima. "In qualunque forma - egli argomentava - il protezionismo marittimo ha costituito per l'erario una spesa che non trova compensi di ordine politico, che ha avuto nel campo tecnico risultati relativamente ed assolutamente esigui e dove li ha trovati ha provocato un danno per l'economia nazionale" (Il protezionismo, p. 101). "Da qualunque, punto di vista si consideri il problema del protezionismo marittimo, non si resta affatto convinti, e per il passato e per l'avvenire, della necessità di una "grande" marina mercantile, mentre, ai fini economici e politici della nazione, si deve convenire che sarebbe più utile al paese lasciare che l'industria dell'armamento si sviluppi liberamente nell'atmosfera che le creano le condizioni economiche generali e la politica commerciale dello stato" (ibid., p. 100).
In occasione del concorso per la cattedra di politica commerciale e legislazione doganale presso l'Istituto superiore di scienze economiche di Napoli, il C. raccolse in due volumetti i suoi migliori articoli di politica economica apparsi su vari periodici: Scritti vari (Pontremoli 1922) e Liberismo e protezionismo (ibid. 1922).
Gli Scritti vari presentavano articoli apparsi sull'Unità dal 1917 al 1920, nel volume Marina mercantile e nel quotidiano Corriere mercantile dal 1917 al 1921. Un primo gruppo di essi si riferiva alla burocrazia. "Purtroppo, oggi - scriveva il C. - la routine burocratica si risolve in un lento intorpedimento ed, in definitiva, in un'atrofia della parte migliore dell'uomo: del cervello. A questo che bisogna evitare; questo mutamento da uomo in macchina, di un uomo in uno strumento implacabile ed incosciente di un regolamento minuzioso, stupido e ingombrante è il più grande difetto del nostro ordinamento amministrativo" (pp. 15 s.). Il secondo gruppo conteneva articoli riguardanti la marina mercantile e specialmente i due provvedimenti varati in materia dai ministri T. Villa e G. De Nava. Il primo aboliva per i nuovi piroscafi e per quelli acquistati all'estero le esenzioni tributarie e la dispensa dalla requisizione, e stabiliva il noleggio di essi da parte dello Stato, per un biennio, dalla data della loro effettiva entrata in servizio; perciò - secondo il C. - si trattava di un complesso organico di disposizioni ispirate a concetti sani, pur se introdotto in ritardo. L'altro provvedimento risolveva soltanto in parte i problemi del sistema marittimo italiano: il bisogno assoluto di tonnellaggio per soddisfare le esigenze di approvvigionamento alimentare e industriale del paese e i criteri con cui accordare la protezione alla marina mercantile italiana e alle costruzioni navali. Il decreto De Nava lasciava insoluto il primo problema, che era il più grave e il più urgente; quanto ai provvedimenti di protezione il C. riteneva criticabili le agevolazioni e le sovvenzioni accordate all'industria armatoriale e canticristica: ingiustificato sul piano della redditività gli sembrava il provvedimento in favore degli armatori, troppo oneroso per lo Stato e per la collettività.
Il terzo gruppo di scritti, relativo ai porti, si chiudeva riportando una burlesca Petizione dei cinghiali di Montecristo per un ente portuale. Il quarto e ultimo, sul sindacalismo e sul protezionismo di classe, oltre ad una relazione presentata nel 1920 al congresso della Lega democratica per il rinnovamento della vita pubblica italiana - come si chiamò il movimento che faceva capo al Salvemini e che raccoglieva i suoi simpatizzanti tra gli amici dell'Unità - e a uno scritto sul Riconoscimento dei sindacati e la loro funzione nella produzione, conteneva un severo giudizio sul noto contratto stipulato dallo Stato con la cooperativa Garibaldi e la critica a una proposta legislativa sul pilotaggio obbligatorio nei porti italiani.
Del volumetto Liberismo e protezionismo è da ricordare un lungo scritto inedito, Dialogo sul commercio internazionale e i dazi doganali, redatto sullo schema dei dialoghi di Platone, in cui si esponevano in modo divulgativo fatti e considerazioni di cui il pubblico spesso non aveva cognizione, sicché era portato a considerare il commercio internazionale sotto l'influenza di timori insussistenti alla luce della scienza economica.
Dal 1922 il C. pubblicò una lunga indagine su I porti marittimi italiani, che apparve a puntate sul Giornale degli economisti (1922: Il porto di Genova, pp. 397-460; 1923: Iporti di Porto Maurizio, Oneglia, Savona, Spezia e Livorno, pp. 20-45; I porti dall'Elba a Napoli, pp. 105-134; Iporti dell'Italia meridionale, pp. 345-370; Iporti da Ancona a Venezia, pp. 477-501; 1924: Iporti della Sicilia, pp. 160-187; I porti di Trieste e Fiume. I porti della Sardegna, pp. 334-395; Considerazioni generali sui porti italiani, pp. 371-395).
In essa l'autore esaminava i problemi riguardanti i porti, l'ordinamento dei lavoro, la questione delle tariffe, l'amministrazione dei porti, la politica delle opere portuali, i bisogni dei porti in rapporto con l'economia nazionale. Egli era del parere che un ingrandimento dei porti fosse un errore sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista politico.
Il 15 genn. 1923, vinto un concorso a cattedra, il C. lasciò il corpo delle capitanerie di porto e fu nominato professore di politica commerciale e legislazione doganale presso l'Istituto superiore di scienze economiche di Napoli. Sopravvenuta la dittatura fascista, egli le fu fin da principio avverso, non mostrando mai alcun segno di debolezza verso il regime, neppure quando il fratello Orso Mario, nell'agosto 1923, fu chiamato da Mussolini a reggere il ministero dell'Economia Nazionale. Quando, nel 1924, la sua famiglia si trasferì dalla Spezia a Napoli, il C. frequentò assiduamente gli ambienti antifascisti. Dopo l'attentato Zaniboni (4 nov. 1925), in seguito al quale si ebbero spedizioni punitive contro dimore private, con ripercussioni anche nelle università, si intensificò l'amicizia del C. con B. Croce e, più ancora, con Giustino Fortunato; la consuetudine con quest'ultimo lasciò una traccia profonda nel suo spirito.
Nella raccolta da lui curata, In memoria di Giustino Fortunato (Città di Castello 1933), il C. scriveva: "Qualcuno ha negato al Fortunato la qualità di uomo di azione. Allora l'azione si esercitava in Parlamento e davanti ai collegi elettorali; e a classificare il nostro amico fra gli uomini di azione basta tutta la sua attività parlamentare, volta ad illustrare la questione del Mezzogiorno" (p. IX).
Dopo il lavoro sui porti italia ni, il C. pubblicò il trattato di Economia dei trasporti marittimi (ibid. 1926), in cui dette una sistemazione organica a questa giovane disciplina elaborando una quantità enorme di materiale statistico e pervenendo a risultati di notevole originalità.
Era il frutto di molti anni di studi e di indagini incessanti sul traffico marittimo. La principale caratteristica del trattato consisteva proprio nella costante adesione ai fatti; e ciò segnò una svolta nella elaborazione scientifica della disciplina. Il quadro che ne risultava, pur nella sua nuda veste statistica, era di una eloquenza suggestiva, in quanto metteva in piena luce la profonda trasformazione che si era compiuta nell'economia mondiale nell'ultimo secolo e mezzo, di cui i radicali e rapidi progressi dell'industria dei trasporti marittimi, erano stati uno dei massimi fattori. Sicché dopo la prima guerra mondiale fu questa del C. una delle prime trattazioni scientifiche dei problemi della vita internazionale che vedesse la luce in Italia e una delle più felici espressioni rappresentative dell'attività italiana nel campo delle scienze economiche.
In quegli anni la sua attività pubblicistica subì delle drastiche limitazioni. Nel 1934 ci si ricordò che egli era colpevole di aver firmato il manifesto degli intellettuali antifascisti (30 apr. 1925), redatto dal Croce, del quale il C. era stato anzi uno dei promotori nel testo originario preparato da Guglielmo Ferrero: fu così costretto ad abbandonare perfino la collaborazione alla rivista L'Ingegnere, su cui scriveva - come esperto economico - dal 1927. Anche l'adempimento del dovere universitario poteva nascondere insidie, come il C. sperimentò nel 1937, quando, per una denuncia anonima, fu sospeso dall'insegnamento e reintegrato solo perché gli studenti testimoniarono a suo favore, smentendo l'accusatore.
La necessità di evitare riferimenti agli avvenimenti contemporanei indusse il C. a indirizzare le sue ricerche nel campo storico. Egli cercò così forzato riposo alla sua opera di polemista brillante ed efficace contro il protezionismo e di studioso di politica portuale e marittima. Verso il 1997 progettò una storia della politica commerciale italiana dal 1861 in poi, cominciando a raccogliere materiale documentario. Ma si rese subito conto che la politica commerciale non è che uno dei tanti aspetti della vita economica di un paese e che le particolari vicende dei commercio con l'estero non sono che il riflesso dei movimenti di fondo di tutte le forze economiche nazionali. Partendo da queste premesse, egli ritenne di dover allargare le sue indagini all'intera economia italiana dal 1861 in poi e concepì il disegno di quegli Annali dell'economia italiana, che, esaminando la vita economica di decennio in decennio, costituiscono una delle fonti più preziose per la storia economica d'Italia nel periodo anteriore alla prima guerra mondiale. Gli Annali assorbirono l'attività del C. per quasi tutto il decennio che va dal 1927 al 1937.
Il primo volume (Città di Castello 1931) abbracciava il periodo immediatamente successivo all'Unità; la data del 1870 era stata opportunamente scelta, sia per l'importanza che assunse, anche nella storia economica e finanziaria dell'Italia, il completamento dell'unità territoriale con l'eliminazione dell'ultimo ostacolo alla piena libertà delle comunicazioni terrestri tra Nord e Sud, sia per il profondo spostamento che si determinò nell'equilibrio anche economico dell'Europa, a causa della guerra franco-prussiana. Il C. giudicava la storia economica di quegli anni facendo sue le parole di Q. Sella, pronunziate alla Camera nel 1871, quasi a riassumere l'opera dei governi della Destra nel decennio: "Prendete per punto di partenza il 1859 o il 1860… Considerate, ponderate tutte le difficoltà che dovettero superarsi per compiere così grande opera, e se, dopo tale esame, voi non vi sentite inclinati all'indulgenza… allora permettetemi di dirvi che il giudizio vostro, più che severo, sarà ingiusto e immeritato" (Annali…, 2ª ediz., I, Milano 1981, p. 35). Nel 1931 e nel 1933 il C. riuscì a pubblicare - sempre a Città di Castello - due altri volumi, che comprendevano il ventennio successivo della vita economica italiana, dal 1871 al 1890. Di questo periodo, che ha una importanza decisiva nella formazione dell'Italia contemporanea, il C. esaminava in forma analitica tutte le manifestazioni della vita economica: agricoltura, industria, commercio, comunicazioni, trasporti, politica economica, circolazione monetaria, credito. E sui due decenni - in linea con il suo credo liberista - dava un giudizio molto diverso. Negli anni che andavano dal I870 al 1880 l'Italia aveva sviluppato le sue risorse ordinatamente, senza fretta, "con il sicuro istinto che prima o dopo, si sarebbe mess[a] a pari degli altri popoli civili". Se il secondo decennio si era distinto per l'opera di consolidamento, il terzo, per il C., era stato un decennio "abulico". "Si trasforma il regime doganale e non si riesce a capire chi lo abbia fatto, si lancia. il paese in una guerra commerciale e tutti ne attribuiscono ad altri la colpa; si inizia un'impresa coloniale inutile e costosa, non si sa come e perché; e si trasforma l'avanzo in disavanzo e ciascuno dice di non saperne nulla!". Nel quarto volume degli Annali (Città di Castello 1934) il C. conservò per l'ultima volta la periodizzazione decennale. In conclusione, diceva il C., l'indirizzo di politica agraria non aveva subito mutamenti; nell'industria si erano registrati progressi rilevanti, anche se non sempre proporzionati al potere di assorbimento dei mercato; le direttive di politica commerciale mostravano una tendenza ad attenuare talvolta i dazi precedentemente concessi; si era continuato lo sviluppo della rete ferroviaria; i sacrifici richiesti al contribuente per l'equilibrio dei bilancio avevano avuto il loro benefico effetto; alla fine della serie degli scandali bancari il paese si trovò con un ordinamento bancario risanato e fondato su basi più solide che in quello precedente, mentre il miglioramento delle condizioni economiche generali dell'Italia creò le premesse per un periodo aureo per la nostra moneta.
Passarono quattro anni prima che vedesse la luce il quinto volume (ibid. 1938), che arrivava fino allo scoppio della guerra mondiale. Il ritardo si poteva spiegare con la notevole diversità della materia e con la sua mole e complessità. Fra il 1898 e il 1914 si compiva in Italia una trasformazione profonda e decisiva; e si, formavano le basi della nuova economia. I segni di una vita nuova si moltiplicavano in tutti i campi, nella finanza, nella circolazione monetaria, nel credito, nell'industria, nelle comunicazioni, nel commercio interno ed estero, nel risparmio, nel tenore di vita della popolazione. L'emigrazione, l'acuirsi della "questione meridionale", l'esagerato sviluppo di alcune industrie erano indici di disagio, ma anche un risveglio di nuovi bisogni, non avvertiti in un periodo di economia stazionaria. Si accentuano, infatti, le lotte sindacali, che nei primi anni prendono un aspetto preoccupante, tale da scuotere la borghesia e farle temere gravi rivolgimenti sociali. Giudicata per quello che si proponeva di essere, cioè Annali dell'economia italiana e non storia di quel periodo, l'opera del C. poteva dirsi riuscita, anche se qualche critico avrebbe desiderato che nel capitolo dedicato all'agricoltura fossero messi in luce quali mutamenti si fossero ottenuti nella tecnica e nelle condizioni di vita delle classi rurali, nella distribuzione e nella conduzione della terra, nella trasformazione della vita cittadina e nello sviluppo dei commercio interno (cfr. Nuova Rivista storia, XXIII [1939], p. 155). Ma bisognava dire che, trovatosi dinnanzi ad una documentazione di straordinaria ricchezza, il C. dimostrava di riuscire a dominarla e a offrire sui singoli argomenti esaminati una trattazione organica, chiara e interessante.
In questi anni un altro importante studio del C. è costituito dal volume La battaglia dello Jutland vista da un economista (Milano 1933).
Frutto di lunghe e minuziose ricerche bibliografiche, il lavoro pone il C. fra i critici navali della prima guerra mondiale che meglio ne abbiano afferrato le caratteristiche. Per il C. la battaglia dello Jutland fu qualcosa di più del semplice urto delle due flotte. Essa misurò il valore di due grandiose organizzazioni economiche nazionali, di due diverse mentalità, le cui differenze sostanziali erano rintracciabili attraverso lo svolgimento della politica inglese e tedesca dal 1900 in poi.
Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale il C. pubblicò per la prima volta le sue lezioni universitarie: Corso di potitica economica efinanziaria (ibid. 1942).
Per il C. la politica economica non era un capitolo dell'econoniJa politica, bensì un ramo della politica avente per oggetto lo studio dei fenomeni economici, condizionati dall'attività legislativa e amministrativa degli enti pubblici; così la politica economica, della quale fa parte la scienza delle finanze, pur avendo come premessa dottrinale l'economia politica, studia i fenomeni economici da un diverso punto di vista, e se per l'aderenza alla realtà si avvicina alla storia economica, se ne allontana perché si propone di scoprire delle "leggi". Accolto il principio dei relativismo storico delle "leggi" economiche, il C. respingeva la concezione meccanicistica del sistema economico e anticipava l'indirizzo contemporaneo che, ponendo alla base della ricerca scientifica l'uomo e l'umanità, costituisce un significativo rivolgimento della storia del pensiero economico. È da notare, per la luce che gettava sulla problematica della disciplina, l'osservazione secondo la quale, mentre la caratteristica essenziale della politica economica fino al 1914 era stata la sua universalità (nel presupposto che l'umanità era costituita da un complesso di nazioni legate da stretti vincoli di solidarietà), la caratteristica essenziale della nuova politica economica dopo il 1914 era l'esclusivismo.In questo periodo capitò al C. un episodio che avrebbe potuto avere gravi conseguenze. Nel 1939 egli aveva compilato il capitolo dedicato ai Trasporti marittimi per il volume miscellaneo su La situazione economica internazionale, promosso dall'università commerciale "Bocconi" di Milano per dare continuazione alle Prospettive economiche di G. Mortara, emigrato in Brasile per motivi razziali. Invitato nel 1941 ad aggiornare per una nuova edizione del libro il suo capitolo, il C. lo fece tenendo conto delle vicende belliche e, con l'aiuto delle poche statistiche a disposizione in quel momento, stabilì il tonnellaggio rimasto in circolazione sotto le varie bandiere. Da questo studio appariva chiaro, a smentita dei bollettini di guerra, il progressivo assottigliamento dei naviglio dell'asse Roma-Berlino e l'altrettanto progressivo aumento di quello anglo-americano. Ma assolutamente apocalittiche erano le previsioni sul dopoguerra, quando - secondo il C. - non vi sarebbero state più né una flotta tedesca, né una flotta giapponese, né una flotta italiana ma il monopolio assoluto della bandiera americana in tutti i mari. Il numero del Giornale degli economisti che pubblicò il suo scritto (Gli effetti della seconda guerra mondiale sul naviglio mercantile e previsioni per il dopoguerra, n. s., IV [1942], n. 3-4, pp. 109-118) fu sequestrato e l'autorizzazione alla pubblicazione del periodico fu revocata. Fortunatamente a Roma fu deciso di considerare lo scritto un gesto d'incoscienza di uno "squilibrato"; e il C. se la cavò con la revoca dell'incarico di elementi di statistica e statistica marittima presso l'Istituto superiore navale di Napoli, che ricopriva dal 1924.
Dopo la liberazione di Napoli, il C., rientrato da Contursi (dove si era rifugiato nel maggio del 1943 con la famiglia per sfuggire ai bombardamenti aerei), venne proposto dal Comitato di liberazione nazionale di Napoli al prefetto come presidente della Camera di commercio, incarico che egli assunse subito data l'urgenza di far fronte a una situazione molto confusa.
Nel novembre 1943 fu invitato a far parte dei gabinetto Badoglio. Infatti, essendo rimasti ministri e sottosegretari a Roma dopo l'8 settembre e non volendo il re aprire una crisi di governo - che, in quel momento, era giudicata troppo pericolosa per le istituzioni - si stabilì di rivitalizzare il governo esistente, nominando, con funzioni di ministri, nuovi sottosegretari scelti tra esponenti moderati non compromessi con il regime fascista e, nello stesso tempo, non vincolati dalla decisione dei partiti del CLN, i quali ponevano come pregiudiziale ad ogni forma di collaborazione con la monarchia l'abdicazione di Vittorio Emanuele III. Pur iscritto al Partito liberale italiano, il C. riteneva che, poiché la questione istituzionale non era stata affrontata al momento della caduta del fascismo, essa dovesse essere accantonata e che tutti avessero il dovere di collaborare alla formazione di un governo autorevole, in grado di ottenere dagli Anglo-Americani una sostanziale attenuazione delle pesanti clausole dell'armistizio. Egli entrò pertanto nel governo come sottosegretario all'Industria, Commercio e Lavoro e come alto commissario all'Alimentazione.
In questi incarichi egli si sforzò di migliorare la situazione alimentare del paese e di ottenere una modificazione dei cambio lira-dollaro fissato dagli alleati a 100 lire per dollaro all'atto dello sbarco in Sicilia (il C. pensava, portando il cambio a 50 lire di poter attenuare gli effetti provocati dall'infiazione). Sul primo punto riportò notevoli successi grazie agli aiuti concessi dagli Americani, ma sul secondo non ottenne nulla.
L'11 febbr. 1944 furono revocati gli incarichi ai vecchi ministri con la promozione di quanti erano stati fin ad allora formalmente sottosegretari; quindi il governo si insediava ufficialmente a Salerno. Il C., ora ministro dell'Industria, si impegnò in un'azione tesa a finanziare la ricostruzione delle industrie danneggiate dalle operazioni belliche varando un provvedimento che consentiva al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia operazioni di credito industriale. Sul piano politico egli era dei parere che fosse necessario allargare la base governativa coi far entrare ufficialmente nel governo i rappresentanti dei partiti del CLN, per poter far fronte alle pressioni del Comitato di controllo alleato che esercitava - a suo dire - un'"oppressione in ogni campo": le trattative, condotte dal C. stesso per incarico di Badoglio, andarono a vuoto e perciò egli pregò il capo del governo di sostituirlo. Frattanto però avvenne la cosiddetta svolta di Salerno, cioè la collaborazione offerta al re dal leader comunista Togliatti, il quale, accantonata la questione istituzionale, ritenne opportuno che i partiti del CI-N rompessero gli indugi entrando nel governo: fu Così Costituito, il 22 apr. 1944, il secondo gabinetto Badoglio, di cui il C. non faceva parte.
Tornato all'insegnamento, il C. iniziò il corso universitario del 1944-45 con una prolusione sul tema Limiti e scelte della ricostruzione economica (Roma 1946).
Vi si additavano chiaramente le necessità degli aiuti all'Europa, che si concretarono poi nel piano Marshall, e si affermava l'importanza - per lo sviluppo dell'Italia - della ricerca scientifica e dell'istruzione professionale. Erano indicate le linee di politica economica che dovevano presiedere alla ricostruzione: correggere la sproporzione che esisteva nel 1939 fra le varie regioni italiane in materia di sviluppo industriale; e dare la precedenza a investimenti in impianti che, rispondendo a bisogni immediati, non richiedessero un lungo periodo di ammortamento data la loro prevedibile rapida obsolescenza in un periodo di impetuoso sviluppo della tecnica. Si ipotizzava anche una severa imposizione generale progressiva sul patrimonio che riducesse fortemente le distanze tra ricchi e poveri. Il problema fiscale gli appariva strettamente legato al problema monetario in una interdipendenza reciproca, ma entrambi erano a loro volta subordinati alla soluzione che si voleva dare alla questione sociale. In proposito egli osservava: "Se date le condizioni attuali dello spirito pubblico, la soluzione liberista integrale appare di impossibile attuazione, anche la soluzione collettiva, al cento per cento, appare piena di pericoli". Fra le due soluzioni la società oscillerà come un pendolo. "Ègeneralmente ammesso che l'aspetto liberale delle forze economiche è il solo capace di assicurare il massimo di produzione". Qualunque sia la soluzione nel senso liberale o collettivista, si può ammettere che lo Stato dovrà, d'ora in avanti, "avere una cura più larga delle classi povere e dovrà dare a tutti quel senso di tranquillità sul presente e sull'avvenire al quale ha diritto ogni creatura umana".
Dal dicembre 1944 il C. iniziò a collaborare con il nuovo quotidiano napoletano Il Giornale, su cui per alcuni anni fece opera di volgarizzazione dei principali problemi economici. Nell'autunno del 1945 fu chiamato a far parte della Consulta nazionale su designazione della Confindustria. Egli vi si segnalò subito per un lungo intervento su "Il problema del ceto medio", pronunziato nella seduta del 27 sett. 1945, in cui si dichiarava fiducioso nella capacità ricostruttiva del popolo italiano.
Quando, caduto il ministero Parri, si formò il primo gabinetto De Gasperi (10 dic. 1945), il C. fu chiamato a reggere il ministero del Tesoro. Uno dei primi problemi che il governo si trovò ad affrontare fu quello del cambio della moneta, cioè della sostituzione della moneta allora circolante in Italia (a quella esistente prima dell'8 settembre si erano aggiunte le "amlire", moneta emessa dagli Anglo-Americani per far fronte alle spese sostenute dalle loro truppe durante l'occupazione della penisola, e la moneta battuta al Nord dalla Repubblica di Salò).
Sull'opportunità di compiere questa operazione si fronteggiavano due schieramenti contrapposti, uno favorevole, facente capo ai partiti di sinistra e al Partito d'azione, l'altro contrario, rappresentato dalla destra politica ed economica e dalle forze moderate in genere. Il C., che aveva gia espresso la sua contrarietà a tale provvedimento prima di entrare nel governo, fu in seno a questo il più autorevole rappresentante del secondo gruppo. Le motivazioni che animavano quanti erano favorevoli al cambio della moneta erano tre: la prima antinflazionisfica, la seconda fiscale (in quanto il cambio non doveva essere effettuato alla pari, ma con la deduzione di una percentuale a titolo di imposta straordinaria sul patrimonio), la terza politica, che mirava - sottraendo ai privati una massa monetaria valutata in 600 miliardi di lire dell'epoca - ad attribuire allo Stato un ruolo centrale nel processo di ricapitalizzazione del sistema produttivo. Il C. era tutt'altro che contrario, almeno in linea di principio, ai due primi obiettivi, ma eccepiva che anzitutto mancavano i necessari strumenti tecnici per effettuare l'operazione in tempi rapidi, in secondo luogo sosteneva che questa avrebbe prodotto da un lato una fortissima corsa agli acquisti da parte dei possessori di biglietti (con la conseguente forte fiammata inflazionistica), dall'altro un senso di sfiducia negli operatori privati che stavano procedendo a un rilancio delle attività produttive. Lo scontro decisivo avvenne nella riunione del Consiglio dei ministri dell'11 genn. 1946, in cui prevalse la tesi del C., dopo che si accertò che l'effettuazione dei cambio (a causa della mobilitazione di uomini e mezzi necessari) avrebbe comportato il rinvio delle elezioni amministrative e politiche e del referendum istituzionale; di fronte a questo pericolo fu lo stesso Togliatti a stilare l'ordine del giorno conclusivo: "Il Consiglio dei ministri deplora che non sia possibile procedere, prima dell'inizio delle consultazioni popolari, al cambio dei segni monetari cartacei, operazione che avrebbe consentito allo Stato di procedere più rapidamente al risanamento delle Finanze e, di conseguenza, al miglioramento della situazione economica generale" (Piscitelli, Del cambio…, p. 33).Questa non fu che una delle spinose questioni maturate in quei mesi. Ce n'erano altre: la corresponsione del premio della Repubblica ai lavoratori dipendenti, la introduzione di una imposta straordinaria sul'patrimonio e di un'imposta del 25% sulle rivalutazioni dei capitale delle società anonime, l'emissione di un prestito nazionale per far fronte al deficit dello Stato. Il C. non era contrario alla corresponsione del premio della Repubblica, come sollievo alle precarie condizioni delle classi lavoratrici il cui potere d'acquisto era caduto molto al di sotto dei livelli d'anteguerra, ma egli riteneva necessario ottenere come corrispettivo, almeno per due o tre mesi, una tregua salariale e soprattutto l'introduzione di regole per la risoluzione delle vertenze che prevedessero precisi vincoli di comportamento (il premio venne poi concesso con decreto 23 ag. 1946). Circa l'emissione del prestito per il consolidamento del debito sorsero contrasti tra il C. e gli altri esponenti del governo, i quali chiedevano che fosse emesso con diritto di rimborko al termine di nove anni. Per il C. un prestito consolidato, rimborsabile a termine a volontà dei portatore, sarebbe stato una novita piuttosto pericolosa per la finanza pubblica: significava aprire "un baratro sotto i piedi del ministro del Tesoro del 1955".
In questo periodo la politica del C. fu diretta a favorire la ripresa dell'industria privata. A questo scopo egli decise di correggere il rapporto di cambio lira-dollaro, portandolo da 1:100 a 1:250; secondo lui, infatti, la precedente situazione di cambio "tendeva anche a scoraggiare le nostre esportazioni", rendendole scarsamente compqtitive e remunerative (L'economia italiana…, p. 325). Altri provvedimenti importanti presi dal C. in quei mesi riguardavano l'abolizione dell'imposta sugli interessi dei titóli, dell'imposta straordinaria sugli utili di guerra, della sovrimposta di negoziazione dei titoli e dei limite alla distribuzione dei dividendi; la rivalutazione dei redditi ordinari, secondo coefficienti in linea con la svalutazione monetaria ai fini della determinazione delle quote di ammortamento; il trasferimento a capitale delle plusvalenze di rivalutazione. Inoltre, il C. decise la riduzione del 500% dell'imposta di negoziazione sui titoli azionari.
Frattanto il C. era stato eletto deputato alla Costituente nelle liste del Partito liberale italiano (2 giugno), ma poiché questo non volle partecipare al secondo gabinetto De Gasperi, egli - per le pressioni del presidente del Consiglio - vi entrò a titolo personale. Con questa presenza De Gasperi pensava di tranquillizzare il mondo economico e quella parte dell'opinione pubblica che vedeva nel C. il simbolo della continuità della politica economica volta a difendere il valore della lira e a impedire svolte interventistiche dello Stato nell'economia. Il C., infatti, in linea del resto con le posizioni prevalenti nel mondo accademico, non nascondeva il suo intendimento di ispirarsi al liberismo economico, ripudiando le esperienze dirigistiche del fascismo.
Nell'estate vennero al pettine due nodi che dividevano il C. da altri colleghi di governo: l'imposta sul patrimonio e il problema della tassazione dei titoli di Stato.
Il C., in linea di principio, non era contrario alla prima (lui stesso l'aveva proposta nel 1944 in forma piuttosto severa), ma, per l'impreparazione dell'amministtazione finanziaria ad affrontare l'operazione, suggeriva che essa fosse realizzata in due fasi, la prima riguardante i grandi patrimoni, la seconda - a distanza di un anno - i rimanenti. Egli sosteneva, inoltre, che dovessero essere esentati da tale imposta i titoli a reddito fisso, perché con la svalutazione del loro valore reale avevano già pagato più che a sufficienza: egli sapeva che su questo punto non si sarebbe trovato d'accordo non solo con il collega delle Finanze, il comunista Scoccimarro, ma anche con altri membri del governo. Non si arrivò allo scontro solo perché il C. rassegnò le dimissioni.
Non avendo alle spalle la copertura di alcun partito politico di governo, la sua posizione si era fatta molto debole. Fatto oggetto di pesanti critiche da parte della stampa di sinistra, comunista in particolare (ma, nello stesso tempo, attaccato anche da parte di alcuni portavoce dei mondo bancario e imprenditoriale quando, il 30 ag. 1946, perporre un freno alla speculazione che aveva riversato una considerevole liquidità sui titoli azionari, aveva annunciato un'imposta del 25% sulle rivalutazioni degli impianti industriali), di fronte al riaccendersi della spinta infiazionistica, egli disperò di poter far fronte alla situazione, soprattutto perché vedeva ridursi la fiducia dei pubblico nella saldezza della lira, come dimostrava il mancato rinnovo dei buoni ordinari del Tesoro.
Diveniva in tal modo impossibile anche l'emissione di un prestito per consolidare il debito: "Un raddrizzamento della situazione - dirà il C. a posteriori - si sarebbe potuto ottenere solo con una forte presa di posizione a favore di una politica di decisa stabilità monetaria; ma io avevo la sensazione netta che, impostando una nuova battaglia come quella di gennaio, sarei stato sconfitto, con gravissime ripercussioni sulla posizione della lira. Le forze inflazionistiche erano riuscite ad isolarmi sul terreno politico, ponendomi nell'alternativa di scegliere fra l'inflazione e l'abbandono del governo. Io ero convinto che l'inflazione non fosse, non dirò inevitabile, ma necessaria. Ma io sapevo altresì che i miei colleghi di governo, e la quasi totalità dei partiti che lo sostenevano, non erano dello stesso parere, ed in queste condizioni non mi restava altro da fare che lasciare ad altri la responsabilità di una diversa politica monetaria e finanziaria" (L'economia italiana…, pp. 330 s.).
L'annunzio delle dimissioni fu dato il 2 settembre, ma il C. aspettò fino al 19 settembre, quando De Gasperi rientrò dalla conferenza di pace di Parigi, per fare le consegne al successore, G. B. Bertone. De Gasperi non gli perdonerà mai quel gesto di rinuncia, anche se la politica economica della ricostruzione portata avanti dai successivi governi, prima e dopo le elezioni del 18 apr. 1948 (la linea Einaudi prima e, quindi, la linea Pella), seguì l'eredità lasciata dal C., come riconosce una copiosa letteratura storica su quel periodo (si veda soprattutto il filone che muove dure critiche all'impostazione data dal C., partendo - come ad esempio il Daneo - da posizioni neokeynesiane).
Lasciato il governo, il C. partecipò intensamente ai lavori dell'Assemblea costituente, Anche in questioni di carattere non economico prevalsero spesso le soluzioni da lui additate come compromesso tra le opposte tesi.
Così l'emendamento all'articolo 27 del progetto di costituzione sull'istruzione privata "senza oneri per lo Stato", che suonava "la Repubblica riconosce ad enti ed a privati la facoltà di formare scuole ed istituti di educazione", passò poi nell'art. 33 della Carta. Il C. contribuì anche a respingere l'istituto dell'"assemblea nazionale", proposto dalla Commissione dei settantacinque, schierandosi con F. S. Nitti nel combattere risolutamente l'equivoco della "terza Camera". "Io ritengo - egli disse nella seduta del 18 ott. 1947 - che se vogliamo o dobbiamo accettare il principio di una riunione plenaria dei due organi costituzionali (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica) per il caso della elezione del capo dello stato ed eventualmente per la dichiarazione di guerra, dobbiamo escluderlo per tutti gli altri casi, nei quali l'Assemblea verrebbe ad avere la funzione di una Camera sola superiore alle volontà delle due Camere che la formano, alterando e sopprimendo addirittura il principio della bicameralità, che noi abbiamo ripetutamente votato" (Atti dell'Assemblea costituente, pp. 1338 s.). Al C. si deve la proposta di affidare al presidente della Camera dei deputati la presidenza delle sedute a camere riunite per l'elezione del presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali; ed egli fu tra coloro che sostennero la soluzione di affidare al presidente dei Senato la supplenza del presidente della Repubblica in caso di assenza o di impedimento di questo.
Rieletto deputato il 18 apr. 1948 nelle liste del Partito liberale italiano, dal 1949 fino alla fine della legislatura fu presidente della Commissione interparlamentare per le tariffe doganali, che doveva riformare il testo legislativo risalente al 1921. Nel 1951, per contrasti sulla linea politica del partito liberale guidato allora da B. Villabruna, il C. ne uscì. Rimasto, tuttavia, alla Camera come indipendente, egli si impegnò negli ultimi mesi della legislatura a combattere aspramente la legge elettorale "maggioritaria" proposta nell'autunno del 1952 da De Gasperi per ottenere un rafforzamento dello schieramento centrista - allora al governo - grazie a un "premio" in seggi da attribuire al gruppo di partiti "apparentati" che avesse ottenuto la maggioranza assoluta dei voti: questa operazione era giustificata dai promotori della legge, in particolare dallo stesso De Gasperi e dal ministro dell'Interno Scelba, con la necessità di rafforzare la giovane democrazia italiana dalle insidie mosse dalle opposizioni, ritenute su posizioni totalitarie (teoria della "democrazia protetta"). Il C. partecipò alla discussione alla Camera con un memorabile intervento, tenuto il 9 dic. 1952, in cui lanciava una proposta di compromesso, passata alla storia parlamentare con il nome di "ponte Corbino", che prevedeva una notevole attenuazione del "premio" di maggioranza. Ma la sua proposta fu respinta dal governo.
Approvata la legge nella formulazione governativa, dopo una lunga e dura battaglia ostruzionistica, il C. non entrò più in aula trasferendo la sua opposizione nella competizione elettorale. Egli dette, infatti, vita con altri deputati usciti dai partiti centristi a una nuova formazione, l'Alleanza democratica nazionale, che ebbe a Napoli la sua roccaforte. La lotta elettorale fu durissima. Per poche decine di migliaia di voti, sottratti ai partiti di centro, la legge maggioritaria non scattò; anche se Alleanza democratica nazionale, non raggiungendo neppure l'1% dei voti, non conquistò alcun seggio né alla Camera né al Senato (il C. si era presentato candidato nel II collegio senatoriale di Napoli), i 120.000 voti da essa raccolti furono decisivi.
Questa attività politica, giudicata eterodossa, gli costò per qualche anno la perdita della collaborazione a quotidiani e settimanali. Dal giugno 1954 collaborò soltanto al settimanale L'Europeo di Milano e, occasionalmente, pubblicò articoli su altri periodici minori, come Via Poli, notiziario mensile di informazioni per il, personale della Società romana di elettricità. Nel 1958 il C. tentò di rientrare al Parlamento, accettando di presentarsi come indipendente nelle liste della Democrazia cristiana nel III collegio senatoriale di Napoli; ma la sua sconfitta era quasi scontata, poiché il candidato con cui doveva competere, G. Fiorentino del Partito monarchico popolare (la formazione capeggiata da Achille Lauro), aveva basi elettorali ben più radicate.
Nel 1959 il C. fu designato dal governo alla presidenza dei Banco di Napoli.
La nomina trovò ostacoli e resistenze politiche, soprattutto da parte della sinistra democratico-cristiana e laica; ma gli ambienti economici meridionali furono concordi nel sostenerne la designazione. Perfino l'Unità, del resto, ne dava notizia con favore: "Tanto di cappello allo studioso di fenomeni economici e finanziari … speriamo di poter fare altrettanto per il nuovo presidente del Banco di Napoli" (11 sett. 1959). Durante i quattro anni del suo mandato i suoi sforzi furono indirizzati a ricondurre l'antico istituto di credito meridionale sulla strada indicata dai suoi fini istituzionali.
Nel 1962 il C. diede alle stampe a Bologna L'economia italiana dal 1860 al 1960, in cui erano raccontati i fatti economici e politici di maggior rilievo atti a mettere in evidenza le trasformazioni di fondo dell'economia italiana e a illustrare le soluzioni date, volta per volta, ai problemi più urgenti, "in una visione diretta a porre in adeguata prospettiva avvenimenti antichi, poco ricordati, e fatti recenti, poco conosciuti" (p.V). Se alcune conclusioni appartenevano agli Annali, il quadro dei tutto nuovo della economia italiana dal 1914 al 1960 si arricchiva di notizie e giudizi scaturenti da una diretta esperienza.
Frattanto dal dicembre 1961 il C. aveva iniziato la collaborazione al Corriere della sera, che gli consentì di attaccare da una tribuna autorevole e molto ascoltata l'ipotesi politica di centrosinistra. La sua critica al governo, allora presieduto da A. Fanfani, divenne sempre più serrata.
"A parte il dissenso tecnico - scriverà nel Racconto di una vita (Napoli 1972) - io ritenevo che l'Italia non fosse socialmente matura per un complesso di riforme a sfondo socialista molto accentuato, senza andare incontro al pericolo di dovere ben presto rinunziare o al benessere o alla libertà" (p.259). I suoi articoli provocarono dure reazioni. Nel giugno 1962, mentre infuriava la battaglia parlamentare per la nazionalizzazione dell'energia elettrica, le sue critiche al provvedimento in cantiere furono radicali e i suoi attacchi contro i partiti del centrosinistra divennero ancora più aspri. L'Avanti! del 5 luglio rispose duramente, invitandolo - essendo il C. presidente di nomina governativa di un istituto di credito pubblico - a sospendere le sue critiche o a dare le dimissioni. Egli non smise dal manifestare la propria indipendenza di giudizio, e continuò a reggere il Banco di Napoli fino al marzo 1965, quando finalmente - dopo lunghi contrasti - i partiti di governo riuscirono ad accordarsi sulla nomina dei suo successore.
Tra gli scritt i di questo periodo sono da ricordare alcuni articoli apparsi sul Corriere della sera fra il 1963 e il 1970, anno in cui il C. cessò la sua collaborazione al quotidiano milanese, raccolti poi nel quinto volume delle Cronache economiche e politiche: L'importanza politica della Corte dei conti (1963), Le disarmonie dello sviluppo economico nazionale (1966), La valutazione del patrimonio artistico nazionale (1967), Aspetti economici e finanziari del problema delle alluvioni (1967), Aspetti economici e finanziari della lotta contro l'inquinamento (1970). Il C. concentrò poi la sua attenzione sugli sviluppi e sulle possibili soluzioni dei problemi legati alle fonti energetiche e ai connessi problemi ecologici, cui dedicò il saggio E. E. E. energia, economia, ecologia (Milano 1974). "I progressi tecnici e le soluzioni corrispondenti al minimo sforzo - egli scriveva - sono stati fondamentalmente viziati da due colossali errori, che ora sono visibili e che si sono manifestati uno già da tempo, e cioè l'ignoranza del peso del fattore ecologico, e l'altro apparso repentinamente proprio in questi ultimi mesi, e cioè quello di avere trascurato il peso dei fattore energetico" (p. 11). E additava i presupposti apparsi ora "poco fondati" su cui era stato impostato fin dall'inizio il tenore di vita dei paesi ad economia avanzata, quale si era sviluppato ed esteso negli ultimi cinquant'anni, e che era sboccato in una "civiltà della dilatazione dei consumi" (p. 36), come individui e come collettività. Questi argomenti furono ripresi, insieme con altri temi, in conferenze, interventi a convegni, interviste, raccolti poi nel quinto volume delle Cronache economiche e politiche: "Le previsioni più logiche del futuro prossimo - concludeva il C. - consigliano perciò di limitare le nuove centrali nucleari a quelle indispensabili al fine principale di ridurre il ricorso al petrolio, e in senso complementare di premunirsi di una modesta riserva per fronteggiare un'eventuale parziale ripresa, in attesa di un avvenire migliore, illuminato anche dalla luce delle nuove scoperte" (p. 226).
Il C. morì a Napoli il 25 apr. 1984.
Opere: Per un elenco completo degli scritti del C. fino al luglio 1960 si rimanda al saggio bibliografico di F. Assante in D. Demarco, E. C. e l'opera sua, Milano 1961, pp. XCVII-CXLI. Dopo tale data, oltre a quelli segnalati nel testo, vanno ricordati: Cronache economiche e politiche, I, (1946-1954), Napoli 1964; II, (1955-1959), ibid. 1964; III, (1959-1965), ibid. 1965; IV, (1965-1973), ibid. 1973; V, (1972-1980), Milano 1980; Cinquant'anni di storia italiana, a cura di D. Demarco, Napoli 1965; Discorsi elettorali e interventi parlamentari. Dal 1944 al 1958, ibid. 1965. I cinque volumi di Annali dell'economia italiana dal 1861 al 1914 sono stati ripubblicati a cura dell'IPSOA, Milano 1981-82.
Fonti e Bibl.: Oltre al volume di D. Demarco, E. C. e l'opera sua, si vedano: I. Gasperini, E. C. (1890-1984), in Giornale degli economisti e annali di statistica, n. s., XLIII (1984), n. 3-4, pp. 143 s.; M. Lombardi, E. C. In memoriam, in Economia internazionale, XXXVII (1984), n. 12, pp. 2-4; Id., E. C., in Studi marittimi, VII (1984), n. 22, pp. 63-68; [G. Palomba] E. C., in Rassegna economica, XLVIII (1984), pp. 533 s.; E. C. così lo hanno commemorato, Napoli s. a. (raccolta di articoli apparsi sulla stampa italiana in occasione della sua scomparsa). Sull'attività governativa del C. nel 1946 si vedano almeno: E. Piscitelli, Del cambio o meglio del mancato cambio della monqia nel secondo dopoguerra, in Quaderni dell'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza, n. 1, 1969, pp. 3-77 (soprattutto pp. 31-52); Id., Da Parri a De Gasperi, Milano 1975, ad Indicem; A. Gambino, Storia del dopoguerra…, Roma-Bari 1975, ad Indicem; C. Daneo, La politica economica della ricostruzione, 1945-1949, Torino 1975, ad Indicem (con ampie indicazioni bibliografiche); Annali dell'economia italiana, X, 1, (1946-1952), Milano 1983, ad In dicem.