I conflitti armati nei paesi dell’Africa subsahariana sono andati in buona misura riducendosi tra la metà degli anni Novanta e il decennio successivo. Eppure due nuove tendenze destano preoccupazione. La prima è una parziale ripresa di conflittualità in aree vecchie e nuove. Tra il 2010 e il 2015 le crisi maggiori si sono avute, in questo senso, in Costa d’Avorio (che chiudeva il suo decennio più difficile), Mali, Nigeria, Darfur (Sudan), Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Congo-Kinshasa e, come ormai da un quarto di secolo, Somalia. Il processo di stabilizzazione politica del continente è così entrato in una fase di stallo e di iniziale regressione. La seconda tendenza è la caratterizzazione religiosa mostrata da un certo numero di nuove crisi. Dal Mali alla Repubblica Centrafricana, dal nord della Nigeria al confine tra Somalia e Kenya, la comparsa di gruppi e fazioni armate che si richiamano ad appartenenze religiose è divenuta molto più marcata di quanto non lo sia stata nella storia dell’Africa indipendente. Le identità religiose sono state mobilitate per le violenze armate. Sono ormai circa una dozzina i paesi alle prese con le operazioni di movimenti jihadisti, benché non tutti ospitino vere e proprie insurrezioni armate. La Nigeria – maggiore potenza demografica, economica e petrolifera del continente – è di gran lunga il caso più preoccupante. Tra il 2014 e il 2015, in particolare, è qui che si è concentrato il maggior incremento di attacchi ‘terroristici’ e di vittime causate dall’estremismo. Le stime oscillano, ma fanno in genere riferimento a circa 15.000 morti complessivi da quando, nel 2009, il movimento jihadista Boko Haram si è militarizzato e ha ulteriormente radicalizzato le sue posizioni. Oltre ai morti, il conflitto ha generato circa 2 milioni di sfollati interni e rifugiati. L’ultimo biennio ha peraltro visto la graduale espansione dell’area di azione dei jihadisti oltre i confini con gli stati vicini, in modo particolare Ciad e Camerun. La creazione di Boko Haram, il cui nome viene in genere tradotto come ‘l’istruzione occidentale è peccato’, risale in realtà all’inizio degli anni Duemila nel nord est della Nigeria, che resta a tutt’oggi il teatro principale delle sue operazioni. Nella sua richiesta di riforma radicale islamica e piena applicazione della sharia, tuttavia, il leader fondatore Mohammed Yusuf non adottò inizialmente la linea dell’insurrezione armata. Con l’uccisione di Yusuf nel corso degli scontri con le autorità locali del 2009, il suo posto venne preso da Abubakar Shekau, che mostrò subito un volto più intransigente, militaristico e internazionale del movimento. Secondo le informazioni a disposizione, sembra che un certo numero dei militanti di Boko Haram siano stati formati in Algeria e Somalia, forse anche in Afghanistan. Benché Shekau avesse in precedenza lodato il leader di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri, nel marzo del 2015 Boko Haram ha promesso fedeltà allo Stato Islamico del ‘califfo’ Abu Bakr al-Baghdadi, rivale dello stesso al-Zawahiri. Più in generale, frequenti sono stati i messaggi in arabo da parte di Shekau per ottenere appoggi internazionali. Boko Haram, tuttavia, non è un semplice riflesso del jihadismo internazionale. Il movimento ha avuto origine dalla realtà nigeriana e resta profondamente ancorato ad essa. L’area del nordest del paese attorno allo stato di Borno (la Nigeria è un paese federale composto da 36 stati) e alla sua capitale Maiduguri, epicentro della crisi, è infatti una delle regioni più arretrate del paese da un punto di vista economico e sociale. Che si tratti di reddito pro-capite o di istruzione e sanità, molti indicatori convergono a mostrarne la situazione di svantaggio relativamente alle altre parti del paese. A questo si è aggiunta la percezione della marginalizzazione politica dell’intero nord da quando la Nigeria ha reintrodotto le elezioni democratiche. Tra il 1999 e il 2015, infatti, solo per tre anni (2007-10) la presidenza federale era stata nelle mani di un esponente politico del nord a prevalenza musulmana, in un paese dove le divisione etniche e regionali (oltre che religiose) sono particolarmente sentite. La storica affermazione di Muhammadu Buhari dell’All Progressives Congress, primo candidato di opposizione a vincere le elezioni non solo dal 1999 ma dalla nascita della Nigeria nel 1960, ha il potenziale di modificare radicalmente lo scenario nigeriano. Politico di lungo corso del nord e rispettato, l’ex militare ha ristabilito il principio dello zoning (la rotazione delle principali cariche federali tra le diverse aree del paese, il patto politico fondativo della Quarta repubblica), precondizione per rilegittimare la presidenza nel nord e affiancare alla risposta militare una strategia socio-economica e politica.