Epicureismo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il pensiero di Epicuro, poi portato avanti dai discepoli della sua scuola e diffusosi nel mondo greco e romano fino al II secolo, si fonda sull’obiettivo di ricercare il bene e condurre l’uomo a una vita tranquilla e libera dagli affanni. Caratteristiche fondamentali della filosofia epicurea sono il sensismo, ovvero la veridicità delle sensazioni come criteri per la conoscenza della verità; l’atomismo che spiega il mondo e la natura delle cose, fatte di atomi che si uniscono e disgiungono; il semi-ateismo per cui gli dèi esistono ma non intervengono nelle vicende umane e l’eudemonismo che concepisce come fine ultimo della vita la ricerca della felicità, intesa come tranquillità d’animo (atarassia) e assenza di dolore fisico (aponia).
Epicuro, fondatore di una delle più importanti scuole filosofiche dell’età ellenistica, nasce a Samo nel 341 a.C. da genitori ateniesi. Dopo aver viaggiato a lungo, dando vita a gruppi locali di epicurei a Lampsaco e a Mitilene, si trasferisce ad Atene intorno al 306 a.C. Lì fonda una scuola filosofica e attrae numerosi discepoli nel Giardino, una proprietà appena fuori città dove sono soliti incontrarsi gli epicurei. Muore nel 271 a.C., lasciando i suoi beni a due amici ateniesi alla condizione che continuino ad occuparsi della scuola sotto la direzione di Ermarco, il quale, non essendo cittadino ateniese, non ha la possibilità di diventarne il legittimo proprietario. Alla sua morte, le comunità epicuree continuano a prosperare in tutto il Mediterraneo e personaggi di spicco della società romana come Attico, l’amico di Cicerone, e il tirannicida Cassio sono considerati epicurei.
Molti dettagli della vita e del carattere di Epicuro ci sono noti grazie alle lettere e alle opere filosofiche conservate dai suoi discepoli. Esse sono giunte sino a noi perché trascritte e incluse in opere come Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, il cui ultimo volume è dedicato a Epicuro, oppure grazie a circostanze fortuite come l’eruzione del Vesuvio nel 79 che seppellisce e conserva la ricca biblioteca di una Villa di Ercolano che contiene, tra gli altri, numerosi testi epicurei.
Ci è anche pervenuto il poema latino in esametri De Rerum Natura (Sulla natura delle cose) di Lucrezio, forse scritto nel I secolo a.C. con l’intento di presentare le opere di Epicuro a un pubblico specificatamente romano. L’influsso di Lucrezio sulla letteratura latina (basti pensare a Virgilio) è notevole, come pure l’importanza del poema per la nostra comprensione della filosofia naturale di Epicuro e del modo in cui essa viene recepita a Roma in età ellenistica.
È importante comunque ricordare che tutte queste informazioni sono state filtrate da diverse mani e devono essere collocate all’interno di un più vasto movimento agiografico che, nei diversi circoli epicurei, crea un’immagine idealizzata del fondatore. Ci sono pervenuti dall’antichità anche numerosi busti e statue di Epicuro. Invece della consueta posa filosofica intesa ad esprimere una profonda concentrazione, vediamo un uomo con la barba che, con la sua figura severa e tranquilla, incarna alla perfezione l’ideale epicureo di una vita serena, che non conosce né dolore, né affanni. Ai discepoli di Epicuro evidentemente piace avere effigi del loro maestro nelle case, sugli anelli o sulle coppe, forse nella speranza che la sua immagine serena li aiuti nel perseguimento di una vita felice.
Epicuro fornisce un’interpretazione filosofica del mondo e del posto in esso occupato dagli uomini che nelle sue intenzioni deve essere esauriente e finalizzata al raggiungimento di una vita stabile e felice. L’approccio metodologico è fondamentalmente empirista: Epicuro rigetta i dubbi degli scettici sulla capacità dei nostri sensi di fornire informazioni utili sulla realtà, insistendo invece sul fatto che ogni sensazione è un’esatta rappresentazione di come appare in verità il mondo.
Bisogna comunque evitare di trarre conclusioni affrettate sulla realtà materiale basandosi unicamente su tali sensazioni. Se da un lato sarebbe sicuramente sbagliato crearsi un’opinione che è contraddetta dalle impressioni dei sensi, dall’altro non ci si può affidare totalmente ad esse. Anche se è vero, ad esempio, che un remo immerso nell’acqua ci apparirà curvo e il senso della vista ci trasmetterà in modo attendibile tale immagine, non dovremmo dedurne che il remo è piegato. È quindi di fondamentale importanza verificare le sensazioni ricavate dal remo. A tal fine è necessario vederlo in circostanze diverse e usare altri sensi, come il tatto, per farsi un’opinione che sia coerente con tutte le impressioni ricevute. Il procedimento non cambia nemmeno quando si tratta di cose che non possono essere percepite per via diretta: anche in questo caso dovremmo formarci delle opinioni che non siano contraddette da alcuna sensazione. Secondo Epicuro, ad esempio, dovremmo credere che l’universo sia composto da particelle di materia indivisibile e invisibile, gli atomi, che si muovono costantemente nel vuoto e a volte si uniscono per formare oggetti visibili e macroscopici. Questa conclusione atomistica viene presentata come la necessaria conclusione da trarre dalla combinazione tra quello che noi percepiamo nella realtà e diverse premesse fondamentali a priori, come l’idea che nulla si origina dal nulla, né si dissolve nel nulla.
Secondo la cosmologia atomistica, inoltre, l’universo è infinito in estensione e durata e il nostro mondo (o cosmo) è solo uno tra gli infiniti mondi possibili. Non c’è ragione, dopotutto, perché debba esistere un limite all’universo in un dato punto piuttosto che in un altro e, ammesso che ci sia, rimarrebbe comunque il problema di cosa rimane al di fuori dell’universo. Da questo derivano anche importanti conclusioni etiche. Il nostro mondo è il prodotto della collisione casuale di diversi atomi e non è stato creato o pensato per uno scopo preciso. Anche se tutte le cose che ci circondano, (le diverse specie di creature viventi, ad esempio), sembrano create tenendo conto delle loro abitudini e necessità, esse in realtà sono semplicemente il risultato di diversi tentativi ed errori casuali da cui potevano sopravvivere soltanto gli esemplari più efficienti e riusciti. Questo non significa, naturalmente, che la nostra vita debba essere priva di senso o di uno scopo. Epicuro intende semplicemente liberarci dall’idea opprimente che gli esseri umani debbano la loro vita e il mondo in cui vivono a uno o più creatori divini.
La concezione atomistica di Epicuro richiama sotto molti aspetti quella proposta alcune centinaia di anni prima da Leucippo e Democrito, ma con una o due modifiche di minore importanza. In primo luogo, gli epicurei precisano che gli atomi, anche se fisicamente indivisibili, sono a loro volta composti di minima in linea teorica indivisibili. Questi minima, paradossalmente, sono sia compatti che estesi, e dato che le combinazioni di tali minima fanno sì che gli atomi assumano forme diverse (ma non infinite) gli epicurei talvolta spiegano le differenze nelle qualità fenomeniche di oggetti macroscopici in termini di forme dei relativi atomi che li compongono. In secondo luogo, in aggiunta al peso e all’impatto, gli epicurei ritengono che gli atomi a volte deviano dal percorso previsto. Questa deviazione, anche se minima, viene ridicolizzata dai loro critici, essendo un moto senza causa, ma probabilmente è ipotizzata al fine di spiegare l’innegabile verità, secondo gli epicurei, che gli esseri umani possono agire in modo autodeterminato. Il loro ragionamento deve essere stato all’incirca il seguente: se la visione di un mondo composto da atomi che si muovono in modo del tutto prevedibile minaccia il determinismo fisico e se il determinismo è incompatibile con la responsabilità umana, che però esiste a tutti gli effetti, allora ne consegue che i movimenti degli atomi non sono del tutto prevedibili.
Anche se a prima vista non si direbbe, gli epicurei sono in realtà devoti teisti e non si stancano mai di ripetere che gli dèi sono antropomorfi. All’interno della loro cosmologia non c’è posto per creatori divini; se si considera però che la fede nell’esistenza di esseri divini è pressoché universale nelle società umane, essi ne concludono che deve essere una fede basata su un fatto reale. Ai loro occhi, comunque, la maggior parte degli esseri umani attribuisce erroneamente agli dèi preoccupazioni e caratteristiche che non solo non sono necessarie, ma nemmeno compatibili con la loro natura divina. Se esistono delle divinità, esse devono necessariamente condurre vite ideali e per questo motivo, secondo gli epicurei, non ha alcun senso credere che gli dèi mostrino interesse per consuetudini o credenze che sono esclusivamente umane. Un dio non può, infatti, vivere un’esistenza ideale se si preoccupa di aiutare alcuni mortali da lui prediletti o di punire chi non esegue correttamente i rituali.
Allo stesso modo, le divinità avrebbero un’esistenza peggiore di quella che spetta loro se sentissero addirittura il bisogno di creare un mondo o dovessero preoccuparsi di intervenire nel suo funzionamento. Quindi è più corretto pensare che le divinità vivano il tipo di esistenza priva di affanni cui anche i mortali dovrebbero aspirare. Un epicureo può quindi dichiarare di essere pio, ma nel senso che la sua devozione agli dèi consiste nel riconoscere che essi sono totalmente indifferenti alle cose umane. Un dio rappresenta il modello di vita a cui egli aspira e qualsiasi epicureo che raggiunga una condizione di assenza di ogni turbamento, o atarassia, può a buon diritto essere ritenuto una divinità.
Si pensa che questo ideale di vita divina, persino immortale, sia basato anche sulla consapevolezza che un epicureo, come ogni altro composto di atomi, è mortale e un giorno cesserà di esistere. Gli epicurei respingono l’idea di una vita dopo la morte e, anche se ritengono che gli esseri umani siano una combinazione di corpo e anima, essi insistono che l’anima, alla stregua del corpo, sia un composto di determinati tipi di atomi e come tale si disperda e vada distrutto alla morte della persona. La paura della morte è uno dei principali fattori dell’infelicità umana e, per esorcizzarla, gli epicurei fanno notare che la morte comporterà l’annichilimento finale della persona in questione. Considerato questo fatto, diventa irrazionale essere preoccupati per un’eventuale punizione o ricompensa in una presunta esistenza ultraterrena e tutti i disagi e gli affanni degli esseri umani, che pensano erroneamente di dover faticare per assicurarsi un qualche tipo di ricompensa nell’aldilà, a questo punto non hanno ragione di essere. Nella loro epistemologia generale, gli epicurei sostengono che le sensazioni sono tutte veridiche e si può fare affidamento su di esse in quanto criteri di verità. Anche per quanto concerne l’etica, gli epicurei ritengono che la nostra esperienza di piacere e di dolore debba essere criterio di verità quando si tratta di stabilire cosa è buono e cosa è male. L’esperienza di piacere è evidentemente buona, stando agli epicurei, mentre l’esperienza del dolore è evidentemente male.
Nel caso in cui questo non sia sufficiente, essi sottolineano che i bambini molto piccoli e gli animali, non dotati di ragione, perseguono il piacere e evitano il dolore e, dato che agiscono in questo modo senza credere nella bontà del piacere e nella malvagità del dolore, la loro ricerca dell’uno e il rifiuto dell’altro deve essere del tutto naturale. Ovviamente, si possono fare diverse obiezioni sull’interpretazione di questo comportamento e le deduzioni tratte. In ogni caso, essi non sono edonisti dissoluti. Secondo la loro filosofia, non tutti i piaceri devono essere necessariamente perseguiti visto che la ricerca di un determinato piacere può impedire un piacere successivo e maggiore oppure causare un dolore più grande. Nello stesso modo in cui teniamo conto della prova dei sensi, così la ragione e il calcolo giocano un ruolo importante se intendiamo trarre il massimo piacere possibile dalle nostre vite. Come un oggetto può essere percepito dai sensi in modo tale da incoraggiare l’accettazione di un’opinione errata, così anche un potenziale oggetto di desiderio può apparire alla nostra percezione del piacere in modo tale da indurci a compiere delle scelte errate che rendono di fatto impossibile la massimizzazione del nostro piacere.
È fondamentale anche riconoscere che gli epicurei hanno una visione inconsueta della natura del piacere stesso. A differenza della maggior parte degli altri filosofi dell’antichità, essi negano l’esistenza di uno stadio intermedio tra il piacere e il dolore e ne concludono che il massimo piacere viene raggiunto non appena tutto il dolore viene rimosso. Essi sostengono inoltre che una volta raggiunto uno stato di totale assenza di dolore, sia nel corpo (aponia, secondo la loro definizione) o nell’anima (atarassia) il piacere può solo essere variato e non aumentato.
Secondo molti critici dell’antichità tale modo di intendere il piacere rivela una profonda confusione nella teoria epicurea dato che, partendo da qualcosa evidente di per sé ad ogni essere umano normale, si arriva a una spiegazione paradossale di quella che deve essere la vita migliore e più piacevole. Una vita piacevole, per gli epicurei, non include né lussi né stravaganze. Se lo scopo della vita è la rimozione di tutto il dolore, il modo più efficiente per assicurarsi una vita il più possibile priva di dolore consiste nel rimuovere tutti i desideri che non sono assolutamente naturali e necessari. Visto che il desiderio di potere politico, ad esempio, è difficile da realizzare e può anzi generare molti dolori strada facendo, gli epicurei lo considerano del tutto innaturale. Il potere politico non soddisfa alcun bisogno umano, quindi un buon epicureo semplicemente non lo desidererà; allo stesso modo non desidererà nulla di troppo specifico o difficile da ottenere. Considerato che non esiste un bisogno naturale per nessun cibo in particolare, oltre a quello di soddisfare semplicemente i propri appetiti di base e le necessità fisiologiche, un buon epicureo desidererà soltanto di non essere affamato o assetato. In che modo esattamente questi bisogni vengano soddisfatti gli è in realtà indifferente. Epicuro stesso si vanta di poter pranzare bene con pane e acqua.
La strategia generale della dottrina epicurea è improntata all’avversione al rischio: dato che l’eliminazione del dolore coincide con il perseguimento del piacere, chi riesce ad eliminare le cause di dispiacere e di malessere godrà ipso facto della più piacevole vita possibile (naturalmente è legittimo chiedersi se sia possibile sottoporre i nostri desideri a un esame così minuzioso che comporta l’eliminazione del superfluo. Gli epicurei fanno grande affidamento sul potere del ragionamento, in grado di cambiare, secondo loro, ciò che desidera una persona). La maggior parte dei critici dell’antichità (e anche molti moderni) trovano troppo difficile conciliare questa apparente austerità con la promessa iniziale di una bella vita in senso edonistico, ma gli epicurei insistono che tale concezione della natura del piacere, sfrondata di ogni elemento superfluo, permette ad ogni essere umano di vivere nel migliore modo possibile.
Sarebbe sbagliato, d’altra parte, supporre che gli epicurei conducano una vita piena di rinunce. Semplicemente riconoscono che i cibi più ricercati non sono indispensabili per una vita felice e un desiderio smodato di essi rende impossibile un’esistenza priva di affanni. Anche se diverse citazioni nelle fonti critiche dell’epoca dipingono gli epicurei come uomini per molti versi noiosi e rozzi, è evidente che essi in realtà si impegnano in ricerche intellettuali e artistiche.
Filodemo, un epicureo del I secolo a.C., lascia ad esempio tra le sue opere importanti trattati di retorica, poesia e musica, e il poema latino di Lucrezio, di chiara impronta epicurea, è un’opera di grande valore letterario e filosofico.
Anche se potrebbe essere facile pensare alla vita di un epicureo come piuttosto riservata, essi sono anche estremamente interessati al ruolo fondamentale dell’amicizia e della società in un’esistenza felice. Forse arrivano a questa conclusione osservando semplicemente che gli esseri umani sono contraddistinti da una naturale socievolezza, ma riconoscono anche che gli amici possono avere un influsso positivo sulla qualità della vita, offrendo sicurezza e varie fonti di piacere e di aiuto. Ci si potrebbe chiedere se quest’ultima giustificazione del ruolo dell’amicizia per una vita felice dal punto di vista epicureo, equivalga in realtà ad ammettere che gli amici sono utili esclusivamente da un punto di vista strumentale, ossia come mezzo per assicurarsi la felicità, non cogliendo di conseguenza il vero significato dell’amicizia (se posso trarre vantaggio da un mio amico senza grande sforzo da parte mia, questo comportamento non solo è legittimo, ma altamente raccomandabile. Maggiore è lo squilibrio tra l’aiuto che presto e quello che ricevo dal mio amico e meglio è). Gli epicurei sembrano dunque pensare che l’amicizia sia una specie di scambio reciproco di aiuti e di piaceri tra amici che si stimano l’un l’altro per sé. Se questo sia coerente con la visione complessiva che il fine di ogni vita individuale è la ricerca dell’atarassia è una domanda importante a cui gli stessi testi epicurei non danno una risposta conclusiva.
I gruppi epicurei sono certamente caratterizzati da una socialità assai intima. I discepoli di Epicuro si incontrano regolarmente per pranzare insieme e si preoccupano del benessere reciproco. In parte questa è considerata una condizione indispensabile per un insegnamento efficace. Uno studente può avere bisogno di chiedere consigli e chiarimenti al suo maestro, e l’insegnante deve a sua volta imparare a consigliarlo nel modo più appropriato, tenendo conto dei suoi bisogni personali e delle sue inclinazioni.
Al di fuori del circolo intimo di amici, i rapporti degli epicurei con il resto della società sono talvolta tesi. Coloro che godono dello status di cittadino di solito partecipano attivamente alla vita pubblica e probabilmente trovano sospetto il disinteresse epicureo per la politica, arrivando alla conclusione che il loro cripto-ateismo rappresenti un pericolo per la struttura della società. Per quanto riguarda la teoria politica, gli epicurei sono in grado di offrire un esempio interessante di visione contrattualistica della legge e della giustizia. Partendo ancora una volta dalla loro concezione di base della natura umana, essi sostengono che la giustizia nasca dal bisogno di assicurarsi contro l’aggressione e il dolore provocato da altri, e quindi una buona legge sarà quella che permette ad ogni cittadino di vivere una vita serena e libera dagli affanni. La giustizia non ha valore di per se stessa al di là di questo scopo generale e, anche se tutti i sistemi giuridici validi si prefiggono lo stesso fine, le leggi promulgate possono variare a seconda dei contesti e delle condizioni delle diverse società. I critici non mancano di citare, a questo proposito, il famoso mito dell’anello di Gige nel secondo libro della Repubblica di Platone: se la legge non ha valore di per sé, allora infrangerla non è male e se un epicureo può infrangere la legge certo dell’impunità, allora non c’è ragione per lui di non farlo e, ancora peggio, se infrangere la legge favorisce il suo benessere generale allora potrebbe dedurne che infrangere la legge sia altamente raccomandabile. In tutta risposta, Epicuro sostiene che la sola possibilità di essere arrestati a seguito di un crimine produce sufficiente ansietà (e quindi dolore) che sarebbe comunque meglio non infrangere la legge. La plausibilità di questa risposta è ancora una volta materia di discussione.
In base alle testimonianze in nostro possesso, l’influenza dell’epicureismo continua almeno fino all’inizio del III secolo. Non sopravvive all’affermarsi del cristianesimo in ambito politico e intellettuale, dato che in quasi tutte le questioni filosofiche importanti gli epicurei e i cristiani si trovano praticamente agli antipodi.