Epidemia
Il termine epidemia (dal greco ἐπιδήμιος, composto di ἐπὶ, "sopra", e δῆμος, "popolo") designa l'insorgenza di una malattia che rapidamente si diffonde per contagio diretto o indiretto, fino a colpire un gran numero di persone in un territorio più o meno vasto, e si estingue dopo una durata più o meno lunga. Tale definizione generalmente si applica al caso delle malattie infettive, anche se attualmente esiste la tendenza a trasferire questa terminologia anche nel campo delle patologie non infettive, soprattutto da quando la loro frequenza in determinate popolazioni ha subito un netto e inatteso incremento, coincidente con variazioni quantitative e qualitative di fattori causali.
1.
Per epidemia si intende il manifestarsi, in una popolazione, di casi di una determinata malattia, in eccesso rispetto alla frequenza media di quella patologia nella stessa popolazione, in un intervallo temporale e spaziale definito. È opportuno segnalare che una malattia infettiva può presentarsi anche in forma sporadica, endemica e pandemica secondo un preciso rapporto spaziotemporale (tab.): si definisce sporadica una malattia caratterizzata da episodi rari, isolati, con tendenza a rimanere circoscritta (per es. i casi sporadici di malaria contratti all'estero e rivelatisi al ritorno nel paese di origine senza dare luogo ad altre situazioni morbose); è endemica una malattia costantemente presente nella popolazione (per es., morbillo, rosolia, tubercolosi), che si manifesta con un certo numero di casi uniformemente distribuito nel tempo; con il termine pandemia, invece, si indica una forma di epidemia che colpisce in breve tempo un numero molto elevato di soggetti, superando i confini di un paese e diffondendosi in nazioni e continenti lontani fra loro (per es. influenza). Le epidemie possono colpire un numero più o meno elevato di individui ricettivi in rapporto alla contagiosità del microrganismo e ad alcuni fattori variabili e causali, che favoriscono la diffusione dell'epidemia stessa (fig. 1). Gli individui non colpiti sono immuni o perché hanno già contratto la malattia, o perché sono protetti da una vaccinazione o da un trasferimento passivo di immunità da madre a figlio, o infine per altri fattori intrinseci che li rendono resistenti alla patologia stessa. Prima che la malattia faccia la sua comparsa, dal momento dell'incontro con l'agente patogeno (contagio) decorre un lasso di tempo variabile a seconda del tipo di morbo, detto periodo di incubazione. È anche possibile che a seguito del contagio alcuni individui incorrano in un'infezione asintomatica, caratterizzata dalla presenza dell'agente patogeno senza la contemporanea comparsa di segni e sintomi della malattia. L'agente patogeno, in genere, viene trasmesso dall'ospite in un preciso momento della malattia, che varia in relazione alla patologia considerata e che viene chiamato periodo di contagiosità.
2.
Se la popolazione comprende un numero adeguato di individui suscettibili e la diffusione dell'infezione è sufficientemente rapida, ponendo in un grafico il numero di casi (incidenza) e il tempo si osserverà una curva, detta epidemica, nella quale sarà possibile osservare la crescita dell'infezione. Inizialmente il tasso di incidenza sarà basso, quasi trascurabile, raggiungerà poi rapidamente un massimo, per decrescere infine a livelli trascurabili. La riduzione è in gran parte legata alla diminuzione del numero di individui suscettibili, per l'aumento di soggetti immuni i quali nel frattempo hanno contratto la malattia. L'aspetto della curva epidemica può essere diverso a seconda che si tratti di un'epidemia originatasi da un'unica sorgente (per es. intossicazione alimentare), evenienza, questa, che è caratterizzata da un rigido rispetto dell'andamento sopra descritto, oppure di un'epidemia dovuta alla trasmissione da persona a persona di un agente infettante attraverso una qualsiasi via di contagio. In un episodio epidemico che insorge in un gruppo di individui o in una comunità (famiglia, scuola, caserma ecc.) il primo caso di malattia prende il nome di caso indice o primario, mentre tutti gli altri che hanno origine da questo sono definiti secondari; l'intervallo di tempo che intercorre è detto seriale e schematicamente può essere rappresentato nella maniera seguente:
intervallo seriale
1° caso di malattia (caso primario) ⇒ casi secondari
In questa seconda evenienza la curva epidemica si presenta con due picchi di incidenza: il primo, in concomitanza con la comparsa dei casi primari; il secondo, distanziato dal precedente da un arco di tempo variabile, connesso con il periodo di incubazione e dovuto ai casi secondari. In base alle modalità di trasmissione potranno essere evidenziati andamenti diversi di un'epidemia: la diffusione lenta e progressiva durante mesi o anni di una malattia prevede una trasmissione interumana per contatto (per es., malattie veneree, epatite B); la diffusione progressiva con cessazione dell'epidemia in poche settimane o mesi prevede, invece, una trasmissione diretta per via aerea (per es. infezioni respiratorie acute). Da un periodo iniziale dell'epidemia il numero degli individui colpiti sale rapidamente fino a raggiungere il massimo nel momento in cui la maggior parte dei soggetti suscettibili è ammalata; inizia allora il periodo terminale che procede gradualmente, in quanto una parte degli individui non colpiti possono ancora contagiarsi; la diffusione improvvisa ed esplosiva di una epidemia prevede l'esposizione simultanea, da parte di una popolazione, al contagio (per es., mediante acqua, alimenti).
Alcune patologie presentano caratteristici cicli stagionali, con maggior frequenza in certi mesi dell'anno imputabili all'influenza di fattori comportamentali, climatici e biologici. Così le affezioni gastroenteriche sono più frequenti nella stagione estiva per il più largo consumo di alimenti crudi e di acque non controllate, e per la maggiore diffusione delle mosche che possono fungere da agenti 'vettori'. Le malattie respiratorie si verificano invece più frequentemente nei mesi invernali e sono dovute sia a cambiamenti di temperatura e di umidità dell'aria, sia a fenomeni di affollamento e maggiore permanenza in ambienti chiusi (scuole, locali pubblici). I fattori biologici di contagio sono collegati al ciclo riproduttivo di alcune specie di Insetti (come nel caso della malaria, le cui recrudescenze primaverili ed estive sono connesse con il ciclo di sviluppo delle zanzare anofele). Altre malattie, soprattutto quelle a notevole diffusione nella popolazione in età scolare (varicella, morbillo, rosolia) tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera, presentano caratteristici cicli poliennali con recrudescenze epidemiche ogni 2-4 anni in rapporto alle variazioni del numero di soggetti recettivi all'interno della popolazione. Infatti, in seguito a un episodio epidemico moltissimi individui rimangono immunizzati; è necessario, dunque, che trascorra un certo numero di anni affinché possa ricostituirsi un numero di nuovi nati in condizione di contrarre la malattia. Fra i fattori che influiscono sull'andamento di una epidemia, l'immunità riveste un ruolo di primaria importanza. Il caso dell'epidemia di morbillo verificatasi a Dallas, Texas, fra il 1970 e il 1971, per es., è di particolare interesse, poiché proprio nel momento di massima incidenza si riscontrò un brusco decremento del numero di casi; vari fattori possono essere chiamati in causa per spiegare questo fenomeno, ma l'elemento di maggiore efficacia sembra possa riscontrarsi nella campagna di vaccinazione iniziata nello stesso periodo.
1.
Le malattie infettive o parassitarie hanno accompagnato le popolazioni umane fin dall'inizio della loro storia, biologica e sociale, e anche attualmente costituiscono, in gran parte del mondo, la causa principale di morbilità e mortalità. Il termine epidemia ricorre già negli scritti di Ippocrate (il primo e terzo libro delle Epidemie e il trattato Le arie, le acque, i luoghi), nei quali designa l'insieme delle malattie che contraddistinguono una data area geografica e la sua popolazione, insieme che varia in funzione del clima, dei venti, della natura del suolo, dei caratteri, delle stagioni, dei costumi degli abitanti; conoscendo questi fattori, il medico potrà predire quali malattie saranno tipiche di una data popolazione in una data stagione. L'ampia gamma delle manifestazioni epidemiche, che sembrava inspiegabile prima della scoperta della trasmissione per 'contagio vivo', grazie all'opera di L. Pasteur e R. Koch, è legata alle variazioni degli equilibri ecologici fra le popolazioni umane, i loro germi e l'ambiente naturale e sociale, ma anche alla storia naturale degli stessi parassiti. Le malattie epidemiche hanno una storia, con un esordio dovuto all'origine di un nuovo germe o piuttosto al modificarsi delle relazioni fra germi e popolazioni, uno sviluppo dipendente dai tipi di interazione fra germi e popolazioni, con una grande varietà della frequenza e della gravità delle malattie, e possono avere una fine, con patologie che scompaiono per il cambiamento degli equilibri ecologici e sociali, oppure, come si è verificato nel caso dell'eradicazione del vaiolo nel 1979, per l'azione delle autorità sanitarie.
2.
Fino al Settecento, epoca in cui le fluttuazioni manifestano la tendenza ad attenuarsi, le epidemie e le pandemie emergono dall'analisi statistica della mortalità come picchi che si presentano a intervalli regolari, sovrapposti al livello di mortalità attribuibile alle malattie endemiche. Nei secoli scorsi, i grandi flagelli epidemici erano principalmente la peste, il tifo esantematico o petecchiale, la febbre tifoide, il vaiolo, le infezioni gastrointestinali, quelle delle vie respiratorie e le malattie virali di tipo influenzale. Le grandi pestilenze avevano un andamento ciclico a lunghi intervalli, come la 'peste nera' (peste bubbonica, combinata talvolta con quella polmonare) degli anni 1347-50, descritta da Boccaccio nell'introduzione al Decameron; per tre secoli, la peste continuò a seminare il terrore in Europa, sino al 1720 (peste di Marsiglia), per poi scomparire per ragioni non ben definite. Altre malattie infettive erano invece a ciclo annuale, come l'influenza o il tifo, altre ancora, come le infezioni intestinali, soprattutto per i bambini, erano endemiche, ossia presenti in maniera costante nella popolazione. Tra di esse, la malaria, la lebbra, la sifilide, la tubercolosi avevano un impatto estremamente pesante sullo stato di salute, sulle condizioni di vita e sulla struttura demografica di una popolazione, ma i livelli di mortalità erano molto alti soprattutto a causa delle epidemie e delle pandemie. La mortalità infantile nel primo anno di vita era in media del 25% (1 bambino su 4 non superava il primo anno) e l'attesa di vita nel migliore dei casi non superava i 35-40 anni. Nei periodi di diffusione epidemica questi livelli aumentavano considerevolmente, provocando crisi demografiche ed economiche. Le grandi epidemie hanno svolto un ruolo determinante, e spesso sottovalutato, nella storia, anche per il loro legame con guerre e carestie. L'elevata mortalità causata da una pestilenza cambia i dati sociali e politici; le sue conseguenze, quindi, sono paragonabili e talvolta superano quelle imputabili a eventi bellici, anche perché spesso a essa si accompagnano rivolte popolari e sommovimenti politici.
3.
Le malattie infettive, le epidemie, si sono evolute in parallelo con le trasformazioni dell'organizzazione sociale delle popolazioni umane e con i cambiamenti ecologici che le hanno accompagnate. Possono essere evidenziate due tappe principali: la prima corrisponde alla transizione di popolazioni organizzate in piccoli gruppi e dedite alla caccia, all'agricoltura stabile, con la creazione di città; la seconda alla rivoluzione industriale, con l'accrescimento delle strutture urbane. Infatti, da una parte la domesticazione portò l'uomo in contatto permanente con le zoonosi, infezioni provenienti dal mondo animale che si vennero ad aggiungere alle malattie infettive, come la malaria, le quali probabilmente avevano accompagnato lo stesso emergere della specie Homo sapiens; dall'altra, la formazione di agglomerati urbani sufficientemente densi ha causato la diffusione di agenti eziologici, provenienti sia da zoonosi sia dall'evoluzione della specie umana, in modo stabile all'interno delle popolazioni. Molte malattie infettive sono infatti dipendenti dalla densità della popolazione, necessaria alla trasmissione dell'agente infettivo. Alcune di esse, come il vaiolo, il morbillo e la poliomielite, che producono un'immunità permanente, necessitano di una popolazione sufficientemente estesa per diventare endemiche. In gruppi numericamente più esigui, oppure in caso di trasmissibilità scarsa, il virus si autolimita, scomparendo dalla popolazione e ricomparendo solo quando emergerà una nuova popolazione suscettibile. In più, le condizioni igieniche precarie delle città sono tali da favorire il contagio e le epidemie. Alcune malattie dominanti sembrano caratterizzare i diversi periodi storici nelle differenti aree geografiche: così la Grecia classica era interessata principalmente dalle febbri malariche, il Medioevo dalla peste, il Cinquecento dalla sifilide, apparsa dopo la scoperta dell'America, mentre la tubercolosi è stata la patologia prevalente e simbolica dell'Ottocento. Nello stesso secolo le 'fiammate epidemiche' di una nuova malattia, il colera asiatico, avevano fatto risorgere le grandi paure del passato: la 'peste del 19° secolo' ha registrato sette successive pandemie che hanno attraversato tutta l'Europa, l'Asia e gli Stati americani, di cui le principali sono state quelle del 1830-35, 1848-50, 1853-56, 1866-67.
Tubercolosi, tifo, malaria, influenza, difterite dominano ancora il quadro epidemiologico nella prima metà del Novecento, mentre nel secondo dopoguerra, in seguito all'introduzione degli antibiotici e a efficaci campagne di vaccinazione e prevenzione, le grandi malattie infettive sono di fatto scomparse nel mondo occidentale come causa di morte. Nei tempi recenti, tuttavia, le malattie infettive emergenti, come la poliomielite negli anni 1950-70, l'AIDS a partire dagli anni Ottanta e diverse febbri emorragiche, hanno di nuovo sottolineato drammaticamente la permanenza del ruolo delle epidemie, in termini reali e metaforici, anche se il loro impatto quantitativo è limitato. Attualmente, nel mondo occidentale, dopo la sensibile diminuzione cui abbiamo accennato e in seguito alla quale si è prodotta una vera 'transizione demografica', che ha modificato la struttura per età della popolazione e raddoppiato la speranza di vita alla nascita, si è cominciato a parlare anche di epidemie di malattie da degenerazione o di malattie genetiche, la cui incidenza aumenta come causa di morte, proprio a seguito del mutamento della frequenza di malattie infettive. Si parla così, per es., di epidemie di cancro della vescica o di cancro del polmone provocato, quest'ultimo, dal fumo (v.) delle sigarette.
4.
La tradizione medica antica spiega l'origine e la distribuzione delle malattie endemiche ed epidemiche con l'influenza dei fattori esterni: una data 'costituzione epidemica', cioè l'insieme dei fattori ambientali, favorisce l'emergere e lo sviluppo di una particolare malattia nella popolazione. Questo concetto di costituzione epidemica fu in auge fino al 17° secolo, quando Th. Sydenham lo riprese invitando a tenere conto, nella previsione delle malattie e negli interventi terapeutici, delle condizioni atmosferiche, dei cambiamenti di temperatura e delle modificazioni delle condizioni dell'aria e della terra, prodotte da 'variazioni inesplicabili nelle viscere della terra'.
La medicina galenica, che domina il pensiero medico e le pratiche igieniche sino all'epoca moderna, considera la composizione o piuttosto la corruzione dell'aria come il fattore decisivo per l'inizio di un'epidemia. Nel Cinquecento, G. Fracastoro reintroduce l'idea, già presente in Lucrezio e in Galeno, di 'semi' responsabili delle malattie contagiose, dando origine a una tradizione di studi sul 'contagio vivo'. Il pensiero medico e il senso comune, fondato sull'esperienza quotidiana, sostengono in un modo o in un altro la teoria miasmatica, che vede in 'miasmi velenosi' diffusi nell'aria o sulla superficie degli oggetti la causa del contagio. La teoria miasmatica ammette che le sostanze in decomposizione, anche in piccole quantità, siano capaci di provocare nell'organismo modificazioni patologiche 'per contatto'. La moltiplicazione chimica è come una reazione a catena e viene paragonata alla trasmissione del fuoco da una casa a un'altra. Le autorità politiche si sforzano, quindi, a partire dal momento in cui si prende coscienza dell'importanza delle malattie epidemiche, di assicurare la purezza dell'acqua e la freschezza degli alimenti, di eliminare i rifiuti urbani, i liquami, la sporcizia, in modo da ridurre i miasmi. Questi interventi, soprattutto nei sovraffollati ambienti urbani, ottengono risultati positivi, e ciò dà forza alla teoria che ne è a fondamento. Ma il rimedio principe contro l'infezione consiste nella difesa, se non nella fuga. Di qui, l'isolamento dei 'contagiosi' nei lazzaretti, la chiusura delle frontiere, le quarantene, le misure amministrative come permessi e patenti sanitarie, il controllo della posta, regolarmente applicati da tutti gli Stati, talvolta con risultati efficaci, come per il cordon sanitaire realizzato ai confini dell'Impero Ottomano all'inizio del Settecento, che impedì l'importazione delle epidemie di peste via terra.
I registri di mortalità, che cominciano a tenersi a partire dal 17° secolo in Inghilterra, Svezia e Germania, forniscono informazioni sulle cause di morte e permettono una migliore conoscenza della terribile quantità di decessi dovuta alle malattie infettive. Nell'Ottocento P. Louis introduce il trattamento matematico dei dati (metodo numerico) per l'indagine quantitativa della distribuzione delle malattie, procedendo a un'acuta analisi della distribuzione della tubercolosi, e alla valutazione statistica dell'efficacia dei vari tipi di terapia, base dei test clinici. Nello stesso periodo L. Villermé usa i tassi di mortalità per stabilire una connessione fra malattia e povertà, e nel 1840, studia gli operai dell'industria della seta, molti dei quali bambini, mostrando l'influenza delle condizioni di lavoro sulla distribuzione statistica delle malattie. W. Farr analizza le variazioni nei tassi di mortalità (in particolare a causa del vaiolo) e cerca di definire le 'leggi' che regolano le epidemie. W. Budd e J. Snow conducono studi epidemiologici per controllare le epidemie di colera e di febbre tifoide, ai fini di una loro prevenzione, mettendo in luce il ruolo dell'acqua contaminata come mezzo di trasmissione. In questo modo l'epidemiologia diviene una parte importante delle politiche di sanità pubblica, che cominciano a essere attuate nell'Ottocento.
Nel contesto igienista, una malattia epidemica può essere causata da una serie pressoché infinita di fattori diversi: il terreno, l'aria, l'acqua, gli alimenti, i miasmi, i rifiuti, l'urbanizzazione, il lavoro, la sessualità o la cattiva educazione. L'efficacia delle misure, in mancanza di obiettivi precisi, è molto scarsa e lo stile di intervento degli igienisti è, in effetti, caratterizzato piuttosto da una congerie di consigli e rimedi empirici. L'igiene scientifica, sviluppata soprattutto da M. von Pettenkofer, che introduce il metodo sperimentale nel campo dell'igiene e crea a Monaco di Baviera, nel 1878, un Istituto di igiene, riconosce l'importanza della ricerca di base per individuare i vari fattori che determinano lo sviluppo di un'epidemia, ponendo l'accento sullo studio chimico dell'ambiente, in particolare del terreno e delle sue modificazioni. Il concetto di epidemia muta radicalmente, nella seconda metà dell'Ottocento, con la rivoluzione batteriologica di Pasteur e Koch, quando ai principi miasmatici e alle costituzioni epidemiche si sostituisce la ricerca di microbi parassitari 'specifici', identificabili in laboratorio, come causa necessaria di 'specifiche' malattie infettive. La sostituzione di varie intuizioni e ipotesi sulla natura dei contagi e dell'infezione con una teoria scientifica unitaria risulta dalla nascita e dallo sviluppo di una nuova disciplina che, nel 1881, Pasteur chiama microbiologia. Tale disciplina inserisce i concetti di germe e di infezione all'interno di una definizione generale di vita - basata sulla continuità nel tempo e nello spazio dell'organizzazione biologica - sull'evoluzione, intesa anche come lotta interspecifica fra specie diverse (in questo caso il microbo e il suo ospite). Una malattia contagiosa o infettiva è dovuta alla presenza continua e costante di un germe (microrganismo) specifico, che si sviluppa nell'organismo e che è la causa specifica della malattia; anche se altri fattori (terreno, costituzione) possono modulare l'azione del germe e lo sviluppo della malattia, essi non possono modificarne la 'specie'. Lo sviluppo di un'epidemia e la sua gravità sono determinati da tre fattori principali: la virulenza del germe, la resistenza dell'ospite e le possibilità di trasmissione del contagio. I primi due aspetti sono di tipo biologico, mentre il terzo è legato a condizioni ecologiche e sociali. La trasmissione del germe svolge un ruolo centrale nel definire l'impatto dell'epidemia sulla popolazione ed essa dipende da fattori come la temperatura o l'umidità, ma soprattutto dal comportamento della popolazione colpita (densità demografica, pratiche alimentari, sessuali e igieniche, dispersione degli individui infetti, facilità di spostamento dei portatori ecc.). La dinamica di una malattia epidemica dipenderà quindi dalla relazione fra virulenza dell'agente, resistenza dell'ospite e meccanismi di trasmissione, e questi rapporti determinano anche, come mostrato da modelli matematici (Anderson-May 1992), il futuro evolutivo del parassita come dell'ospite. La trasmissibilità dell'agente infettivo è molto facilitata da condizioni ecologiche o dai comportamenti individuali e collettivi, per es. nei casi di malattie sessualmente trasmissibili (sifilide, epatite, AIDS); quando invece la trasmissibilità è limitata da una scarsa densità della popolazione suscettibile o dalla mancanza di vettori o da efficaci misure profilattiche, la selezione favorirà i ceppi di agenti patogeni che non uccidono il loro ospite, aumentando le possibilità di riproduzione, sino ad arrivare a un equilibrio fra agente patogeno e popolazioni. Lo sviluppo di un'epidemia ha, quindi, come condizione necessaria la presenza di un germe specifico, ma nella sua dinamica, nella sua origine e nella sua evoluzione, dipende sia dalle caratteristiche della popolazione coinvolta sia da quelle dell'ambiente nel quale la popolazione e l'agente infettivo si trovano.
Gli effetti pratici della 'rivoluzione pasteuriana' hanno mutato il ruolo delle epidemie nel mondo occidentale. La rapida diffusione di una serie di procedimenti, come la pastorizzazione del latte (che ridusse la mortalità infantile causata da febbri intestinali ed enteriti), l'antisepsi e l'asepsi, introdotte da J. Lister (che hanno decisamente aumentato la sicurezza degli interventi medici e, più in generale, permesso il controllo delle forniture alimentari e di acqua), hanno modificato la vita quotidiana. Pasteur ha inoltre elaborato una strategia per la produzione di immunità artificiale mediante germi la cui virulenza era stata attenuata con varie tecniche di laboratorio, rendendo principio di validità generale la vaccinazione, introdotta contro il vaiolo da E. Jenner nel 1796. Il ceppo attenuato di un virus produce una forma benigna dell'infezione, che assicura l'immunità, grazie a una modificazione degli equilibri all'interno dell'organismo. I vaccini di Pasteur sono prodotti artificiali, costruiti in laboratorio, con il controllo diretto dello sperimentatore. Un vaccino, una volta realizzato, può essere riprodotto, nel laboratorio o industrialmente, e la sua virulenza potrà essere modificata con passaggi successivi in animali, o con metodi chimici e fisici. Questo costituisce la base dell'industria dei vaccini, che ha avuto un ruolo decisivo nel modificare le condizioni sanitarie di intere popolazioni (v. vaccino). La nascita della microbiologia o batteriologia ha determinato una rivoluzione al tempo stesso scientifica e sociale. Un complesso processo di 'medicalizzazione della società' ridefinisce il rapporto medico-paziente-ambienti di vita e di lavoro, spostando l'accento dalla cura del singolo malato alla prevenzione delle malattie a livello sociale. I risultati di questo processo sono il rapido sviluppo in molti Stati europei di una nuova legislazione in materia di sanità pubblica, la messa in opera di una profilassi generalizzata contro le malattie infettive e lo stabilirsi di una collaborazione sanitaria internazionale.
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