EPIDEMIOLOGIA
Evoluzione dell'epidemiologia moderna: l'epidemiologia delle malattie trasmissibili.- La nascita dell'e. moderna è ormai tradizionalmente associata alla fondazione della London Epidemiologic Society, avvenuta nel 1850 a opera di un gruppo di medici londinesi sotto la spinta di due interessi principali, che riflettono largamente le aree di attenzione della ricerca epidemiologica contemporanea. Da un lato, un gruppo di clinici che, ritenendo con P.C.A. Louis (1836) che "lo stato imperfetto della medicina non sia dovuto alla mancanza di valide teorie esplicative, ma alla necessità di una misura quantitativa del suo valore", intendevano applicare l'analisi statistica (la méthode numérique, sviluppata in Francia nel secolo 18° principalmente da L. Quetelet; cfr. D. E. e A. M. Lilienfield 1980) alla verifica dell'efficacia di trattamenti clinici o vaccinali, come nel caso degli studi di Seaton sulla vaccinazione antivaiolosa. La seconda grande area di attenzione è invece rappresentata dai grandi problemi di sanità pubblica posti dal tumultuoso sviluppo industriale dell'Inghilterra del 19° secolo. In particolare, J. Snow, definito da molti il padre dell'e. moderna (Frost 1936), analizzò le grandi epidemie di colera a Londra nella prima metà del 19° secolo, fornendo evidenze decisive per l'affermazione della teoria contagionista, che ne attribuiva la causa alla trasmissione di microrganismi, e in riferimento alla quale giunse a formalizzare quegli elementi di metodo che sono tuttora alla base dell'approccio epidemiologico allo studio delle malattie infettive.
La descrizione dell'evoluzione temporale della malattia, il confronto della frequenza del colera in diversi sottogruppi di popolazione e in diverse aree geografiche, l'analisi dell'associazione fra le differenze osservate e le particolari caratteristiche dei soggetti e delle zone maggiormente colpite, così come sono descritte nella sua opera fondamentale sull'epidemia di colera del 1852 (Frost 1936), rappresentano tuttora un saggio impeccabile di analisi delle cause e delle modalità di trasmissione di un'epidemia. Snow non si limitò tuttavia a un'analisi statistica della diversa frequenza di mortalità per colera in aree diverse della città di Londra, dimostrando che la causa della malattia era legata al consumo di acqua contaminata, ma cercò di organizzare le sue osservazioni entro un coerente e comprensivo modello biologico, che tentava un'interpretazione della fisiopatologia della malattia e azzardava ipotesi sulle caratteristiche stesse dell'agente patogeno: "Dal momento che l'agente morbigeno del colera ha la proprietà di riprodursi, deve avere necessariamente una struttura biologica di qualche tipo, molto probabilmente quella di una cellula. Il periodo compreso fra il momento in cui il ''veleno'' entra nel sistema e l'inizio della malattia che ne deriva, è chiamato periodo di incubazione. Si tratta, di fatto, di un periodo di riproduzione per l'agente morbigeno, e la malattia è dovuta alla discendenza, alla progenie, della piccola quantità di veleno introdotta all'inizio".
Il successivo tumultuoso sviluppo di un campo delle scienze biologiche come la batteriologia permise in breve tempo l'isolamento e l'identificazione di molti di quei microrganismi di cui l'e. aveva già dimostrato l'esistenza (l'isolamento del vibrione del colera da parte di R. Koch avvenne nel 1883, circa trent'anni dopo la descrizione delle sue caratteristiche da parte di Snow), aumentando ulteriormente le possibilità di controllo delle malattie infettive. Questo stesso tipo di interazione reciproca fra e. e scienze biologiche di base si è curiosamente ripetuto a un secolo di distanza a proposito dell'AIDS, a testimonianza della persistente validità euristica dell'approccio epidemiologico. Alcuni ricercatori dei Centers for Disease Control (CDC) di Atlanta negli Stati Uniti avevano per primi segnalato sul loro bollettino settimanale (1981 a) la comparsa di una nuova sindrome definita ''inusuale'', in quanto diffusa con una frequenza particolarmente elevata in gruppi particolari della popolazione: tra il 1979 e il 1981, nelle città di San Francisco e New York erano stati segnalati in giovani omosessuali ben 26 casi di tumore di Kaposi e 5 di polmonite da Pneumocystis carinii, due rare malattie fino a quel momento riscontrate quasi esclusivamente in bambini immaturi e in anziani defedati. La segnalazione degli epidemiologi del CDC anche in questo caso si spinse a ipotizzare un modello biologico di malattia, suggerendo la possibilità che la nuova sindrome fosse collegata a difetti acquisiti del sistema immunitario (1981 b), indicando così alla ricerca di base un campo di indagine che in breve tempo avrebbe portato all'identificazione di un nuovo retrovirus agente dell'AIDS (v. anche immunodeficienza acquisita, Sindrome da, in questa Appendice).
L'epidemiologia delle malattie non trasmissibili. − Dalla interazione reciproca fra e. e microbiologia emerse anche un modello concettuale di malattia, compiutamente delineato dai postulati della causalità di Koch e schematizzato nella classica triade agente-ospiteambiente, rivelatosi utile per l'analisi e il controllo delle modalità di diffusione delle malattie infettive, ma del tutto inadeguato a guidare lo studio delle malattie non trasmissibili, come le neoplasie e le malattie cardiovascolari. I requisiti di univocità dell'agente e di specificità della causa propri del modello causale di Koch sono infatti doppiamente violati dalle malattie a etiologia multipla, in cui agenti diversi sono associati alla medesima malattia, che peraltro non si manifesta necessariamente in tutti coloro che sono stati esposti all'agente causale. Inoltre, il progressivo riconoscimento del ruolo preponderante esercitato da fattori ambientali nella genesi delle malattie pose l'ambiente al centro dell'analisi epidemiologica, togliendolo dal ruolo secondario di modulatore della virulenza dell'agente e della suscettibilità dell'ospite in cui l'aveva relegato la concettualizzazione convenzionale della triade epidemiologica. Concetti e metodi dell'e. si rivelarono quindi rapidamente inadeguati ad analizzare i nuovi problemi sanitari emergenti, che imposero anche un radicale allargamento del campo di attenzione dell'epidemiologia. La modificazione del quadro nosologico, con il prevalere di malattie caratterizzate da un decorso cronico e invalidante; l'emergere di ''stati di non salute'' non inquadrabili nella nosologia classica; l'estensione del concetto di ambiente a comprendere non soltanto fenomeni biologici ma anche eventi o fatti sociali (Cassel 1976); l'allargamento del ruolo dello stato nell'organizzazione dell'assistenza sanitaria e quindi l'emergere della necessità di pianificare il sistema assistenziale secondo i bisogni della popolazione e di verificare l'efficacia degli interventi adottati sono tutti fattori che hanno via via ampliato l'oggetto dell'e., modificandone profondamente i metodi di analisi.
Partita da un'attenzione prevalentemente riferita alle malattie infettive, l'e. ha quindi progressivamente incluso nei suoi confini disciplinari aree e metodi di indagine che a una più rigida demarcazione di campo sarebbero attribuibili a scienze come la biologia, l'economia, la sociologia, la statistica, ecc. Per il suo sviluppo, realizzato principalmente attraverso l'acquisizione e la trasformazione di concetti e di tecniche proprie di altre scienze, è caratterizzabile come una disciplina o un metodo, piuttosto che come una scienza in sé, con un suo proprio autonomo corpo di conoscenze e di tecniche. Una recente e autorevole definizione (Last 1983) qualifica infatti l'e. come "lo studio della distribuzione e dei determinanti di condizioni ed eventi correlati con la salute nelle popolazioni e la applicazione dei risultati di tale studio al controllo dei problemi di salute". In questa definizione coesistono efficacemente caratteristiche proprie dell'e. classica con alcuni dei tratti e dei campi di attenzione assunti dalle sue pratiche più recenti, che conviene quindi analizzare in qualche dettaglio.
Concetto attuale di epidemiologia. − In primo luogo, è proprio dell'e., in opposizione alla pratica clinica, il riferimento sovraindividuale e cioè l'analisi dei fenomeni relativi alla salute nella popolazione nel suo complesso, che rappresenta il vero oggetto dell'attenzione epidemiologica. In questo senso il termine e. non si qualifica limitativamente come ''lo studio delle epidemie'', ma recuperando compiutamente la sua derivazione dall'ippocratico ἔπι δήμοϚ, allarga l'oggetto della ricerca e dell'osservazione epidemiologica allo studio della distribuzione (e. descrittiva) e all'analisi dei determinanti (e. analitica) di stati di non salute, funzionalmente definiti (disabilità) e/o soggettivamente percepiti (malessere, disagio), con una tensione della ricerca a individuare definizioni operative di stati di salute positiva. In secondo luogo, questa definizione evidenzia opportunamente l'aspirazione del metodo epidemiologico all'individuazione di specifici modelli di intervento e alla valutazione dell'impatto di tali programmi sullo stato di salute della popolazione, che hanno fatto definire l'e. come il braccio analitico della sanità pubblica. Questa attenzione si è formalizzata in particolare nello sviluppo della cosiddetta e. sperimentale che applica le tecniche proprie delle ''sperimentazioni cliniche controllate'' alle indagini di popolazione, per verificare l'efficacia di interventi preventivi talora molto complessi (come per es. le campagne di educazione sanitaria) nel modificare la frequenza di malattie e/o la diffusione di fattori di rischio.
Questa definizione è tuttavia parzialmente incompleta, in quanto non qualifica il metodo epidemiologico. L'e. è una disciplina essenzialmente comparativa, in quanto principalmente orientata alla caratterizzazione del tipo e della frequenza di eventi pertinenti la salute secondo la loro evoluzione temporale, la distribuzione nello spazio e/o in particolari gruppi di popolazione, per coglierne i determinanti nell'analisi delle differenze osservate. Analizzando in qualche dettaglio l'evoluzione temporale delle definizioni di e. (Lilienfield 1987) è possibile descrivere una traiettoria che all'allargamento dell'oggetto accompagna uno spostamento dell'interesse dalla descrizione di eventi alla definizione di rapporti, privilegiando l'analisi delle caratteristiche dinamiche e relazionali alla descrizione degli stati di salute.
In particolare, nelle sue evoluzioni più recenti sembra prendere corpo un concetto di e. come ''ecologia delle popolazioni umane'', che riassume e realizza il programma scientifico di uno dei fondatori della e. moderna, W. H. Frost: "l'obiettivo della attività epidemiologica non è una pura e semplice descrizione della distribuzione delle malattie, ma anche e soprattutto la verifica della sua comprensione entro un coerente modello interpretativo" (Rosen 1958). Questa evoluzione permette definizioni come quella proposta da Lilienfield (1987), secondo cui l'e. è "un metodo di ragionamento intorno alla malattia, che tende a sviluppare inferenze biologiche dalla osservazione della distribuzione dei fenomeni morbosi in gruppi di popolazione". Pur essendo limitata riguardo all'oggetto (che viene nuovamente ridotto ai soli stati di malattia) e, soprattutto, riguardo al tipo di inferenze possibili, dando adito alla possibilità di assumere che la comprensione dei meccanismi fisiopatologici di malattia sia condizione sempre necessaria e sufficiente per l'individuazione delle cause e dei conseguenti modelli di intervento, la definizione di Lilienfield prescinde dal campo di applicazione e dalle tecniche utilizzate per porre l'enfasi sullo epidemiological reasoning (Susser 1973) come tratto distintivo della ''nuova'' disciplina. Non solo quindi cade la legittimità di distinzioni riguardo all'oggetto (per es., fra e. delle malattie infettive ed e. delle malattie croniche), ma questa definizione comprende anche le due più recenti applicazioni del metodo epidemiologico, la e. clinica (Spitzer 1986), che trasferisce, trasformandoli, i concetti usati dall'e. classica per lo studio delle popolazioni all'analisi delle decisioni cliniche, e l'e. valutativa (Sackett 1980), che ha come oggetto l'analisi degli assetti organizzativi dei servizi sanitari e delle competenze professionali degli operatori come determinanti degli esiti dell'assistenza sanitaria.
Studi epidemiologici. − È ormai classico distinguere i diversi tipi di indagine epidemiologica in base alla posizione del ricercatore rispetto al momento in cui si verifica l'evento in esame. Si parla così di studi longitudinali o prospettici quando il ricercatore, definita una popolazione in studio ed esaminata la distribuzione degli ipotizzati fattori di rischio, verifica poi, dopo un congruo periodo di tempo, l'insorgenza dell'evento di interesse (in genere, uno stato di malattia), per confrontare la frequenza nel gruppo dei soggetti con il fattore di rischio (esposti) con quella osservata nei non esposti.
Un classico esempio di studio longitudinale fu condotto nei primi anni Cinquanta da Doll e Hill (1952) per dimostrare l'effetto del fumo di sigaretta nell'induzione del cancro del polmone. A circa 40.000 medici fu inviato un questionario, attraverso cui furono distinti i soggetti fumatori, e quindi esposti al fattore di rischio in esame, dai non fumatori, che furono utilizzati come gruppo di controllo. Dopo circa 20 anni, furono recuperati i certificati di morte di tutti i partecipanti allo studio deceduti nel periodo di osservazione e ne vennero analizzate le cause. L'incidenza di morti per cancro del polmone fra i fumatori (esposti) si dimostrò significativamente più elevata rispetto ai non fumatori, dimostrando così un'associazione fra fattore in studio e cancro del polmone, che aumentava col numero di sigarette giornalmente fumate (curva dose-risposta) e non era interpretabile alla luce di una diversa distribuzione fra i due gruppi a confronto di fattori legati sia al fumo sia all'incidenza di cancro del polmone (fattori di confondimento).
A questo modello di studio longitudinale o prospettico, che individua un gruppo di esposti e di non esposti al fattore in studio e li segue nel tempo fino al verificarsi dell'evento in esame (in genere la comparsa di malattia o la morte), viene classicamente contrapposto lo studio caso-controllo o retrospettivo. In questo tipo di studio il ricercatore, dopo aver individuato due gruppi di individui, uno composto da soggetti con la malattia in esame e l'altro da soggetti ''sani'' o affetti da una patologia diversa e non correlata alla prima, tenta di recuperare le informazioni relative a un'eventuale pregressa esposizione ai fattori di rischio in studio, per confrontarne la frequenza nei diversi gruppi a confronto. Secondo questo approccio fu analizzata, per es., la inusuale presentazione in giovani donne di un elevato numero di casi di carcinoma vaginale, una neoplasia molto rara, che si osserva generalmente soltanto in donne di età avanzata. Vista la labilità delle ipotesi etiologiche, lo studio individuò un numero piuttosto elevato di fattori, sospettati di essere la causa della comparsa della neoplasia; fu poi indagata la frequenza con cui ciascuno di questi compariva nella storia delle donne con cancro della vagina, confrontandola con quella osservata in un gruppo di donne non affette da cancro, utilizzate come controlli. Uno solo dei molti fattori indagati ricorreva con maggiore frequenza nel gruppo dei casi: le madri di 7 delle 8 donne con cancro della vagina avevano fatto uso di dietilstilbestrolo (DES) durante il primo trimestre di gravidanza, mentre nessuna delle madri dei controlli ne aveva fatto uso. Fu così dimostrato il ruolo etiologico dell'assunzione di DES nelle fasi precoci della gravidanza per lo sviluppo, dopo un periodo di latenza di circa 20 anni, di adenocarcinomi della vagina.
Questo esempio chiarisce perché il metodo caso-controllo, pur essendo la più recente fra le tecniche di indagine epidemiologica (la sua formalizzazione definitiva risale al 1957; Mantel e Haenszel 1959), abbia avuto una così larga diffusione in e. analitica. Le sue caratteristiche infatti si prestano particolarmente allo studio delle malattie croniche, generalmente a etiologia multipla e con un lungo periodo di latenza fra esposizione e comparsa della malattia.
Lo studio caso-controllo permette infatti di analizzare contemporaneamente il ruolo causale di diversi fattori di rischio di una stessa malattia (e di verificare l'esistenza di eventuali loro interazioni) anche quando l'intervallo di tempo fra esposizione e insorgenza della malattia è dell'ordine di decenni.
Negli studi trasversali, invece, la definizione dell'esposizione e l'accertamento dello stato di malattia avvengono contemporaneamente: la popolazione in studio viene esaminata con lo scopo sia di rilevare la presenza o meno del fattore di rischio sia di definire lo stato di malattia. Pertanto, la definizione del rapporto temporale fra fattore in studio e insorgenza di malattia è uno dei principali problemi degli studi trasversali. Se infatti in uno studio longitudinale i ''casi'' di malattia accertati sono sempre successivi all'esposizione, in uno studio trasversale i casi di malattia osservati possono essere di volta in volta insorti prima, contemporaneamente o successivamente alla ''esposizione'' in esame. Di qui i limiti degli studi trasversali in e. eziologica e il loro uso prevalente per descrivere la distribuzione di una malattia e il suo impatto in una comunità.
Concetti di ''prevalenza'', ''incidenza'', ''rischio''. - Ai diversi tipi di studio epidemiologico sono classicamente associate due famiglie di misure di frequenza, la prevalenza e l'incidenza. Le misure di prevalenza descrivono la proporzione di soggetti che in una data popolazione presentano la malattia a un determinato momento (periodo di osservazione), mentre le misure di incidenza permettono di identificare la proporzione di soggetti appartenenti a una determinata popolazione suscettibile di sviluppare la malattia (popolazione ''a rischio'') che sviluppa effettivamente la malattia in esame durante un determinato intervallo di tempo. Pertanto, mentre la prevalenza segnala tutti i casi di malattia presenti a un determinato momento, l'incidenza si riferisce esclusivamente ai nuovi casi di malattia che si sono verificati nella popolazione a rischio durante il periodo di osservazione.
L'incidenza quindi esprime anche la probabilità di un soggetto appartenente a una determinata popolazione di contrarre la malattia in studio entro un dato intervallo di tempo, mentre il rapporto fra l'incidenza di una malattia osservata in una popolazione di soggetti esposti a un determinato agente nocivo (fattore di rischio) e quella osservata in una popolazione non esposta, esprime il rischio di contrarre la malattia di coloro che sono esposti al fattore rispetto ai non esposti (rischio relativo). Il rischio relativo descrive quindi anche l'intensità dell'associazione fra l'ipotetico fattore di rischio e la malattia in studio, e costituisce la base delle indagini sulla eziologia della malattia.
Mentre gli studi trasversali possono produrre esclusivamente misure di prevalenza, gli studi longitudinali sono gli unici in grado di produrre misure di incidenza. Gli studi caso-controllo, invece, non permettono di calcolare misure di frequenza dell'evento in studio nella popolazione generale in quanto sono disegnati esclusivamente per verificare ipotesi di associazione fra una particolare malattia e uno o più fattori di rischio e quindi producono solo stime del rischio relativo (odds ratio). Pertanto la scelta del tipo di studio da adottare va effettuata principalmente in base al tipo di misura di frequenza e/o di associazione giudicata appropriata rispetto agli obiettivi dell'indagine.
Le definizioni di incidenza e di prevalenza prima prodotte suggeriscono che la prevalenza di una malattia è funzione della sua incidenza e della sua durata media, funzione a sua volta della sua letalità e/o rapidità di guarigione. Pertanto, malattie a incidenza relativamente bassa ma a lunga durata come il diabete possono essere molto diffuse nella popolazione generale, mentre altre a incidenza molto più elevata, ma di pronta guarigione come per es. il raffreddore, hanno una prevalenza molto bassa. Lo stesso tuttavia accade per malattie ad alta letalità, come per es. talune forme di neoplasie che, conducendo rapidamente a morte, non raggiungono mai una prevalenza elevata, indipendentemente dalla loro incidenza. La relazione fra incidenza e prevalenza suggerisce quindi che la diffusione di una malattia può essere ridotta sia riducendo il numero di nuovi casi di malattia, sia facendo in modo che quelli che già ne sono affetti guariscano rapidamente. Tuttavia l'osservazione di una minore prevalenza di malattia in una popolazione rispetto a un'altra non è necessariamente un elemento positivo, in quanto può essere dovuta a una maggiore letalità della condizione nella popolazione a prevalenza più bassa.
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