epifonema
L’epifonema (dal gr. epíphō´nēma «voce aggiunta», composto da epí «su, sopra» e phōnē´ «voce») è una figura retorica che consiste in un’espressione sentenziosa, di tenore universale, posta di solito a conclusione del discorso.
L’epifonema rientra nella famiglia delle massime e delle sentenze (➔ sentenza), cioè di quelle formulazioni che tendono, narrativamente o come argomentazioni, a ricapitolare un luogo comune in cui sia riconoscibile una norma di condotta umana o generalmente riconducibile a una conoscenza che la riguardi. L’epifonema si colloca accanto alla favola, al proverbio (➔ proverbi), all’apoftegma (il «detto memorabile»), all’esempio e all’aneddoto: se ne distingue per la sua collocazione alla fine di un pensiero con l’intento di ricapitolarlo, per lo più a fini di insegnamento generale (e questo ne spiega il tono assertorio e la vocazione universale).
È Aristotele a fissare la tradizione che vuole l’epifonema in conclusione di un pensiero (Retorica 21, 1304b). Infatti, in quanto massima o sentenza, l’epifonema appartiene al ‘ragionamento retorico’ e di conseguenza all’entimema, di cui costituirebbe la sintetica conclusione una volta che sia eliminato il sillogismo: esso serve dunque come riflessione conclusiva, idonea per condensare l’intero flusso discorsivo e per illuminarne il senso con un insegnamento di tenore universale.
Saldamente entrato nella tradizione latina, l’epifonema, come la sentenza, è per la pseudociceroniana Retorica a Caio Erennio (I sec. a.C.) «un’espressione desunta dalla vita la quale mostra brevemente o che cosa avvenga o che cosa bisognerebbe che avvenisse nella vita», con esempi come «È difficile che ponga come bene primo l’onorare la virtù chi abbia avuto la fortuna sempre dalla sua parte» o «Deve stimarsi libero chi non è schiavo di nessuna disonestà» (IV, 24, 17). Nella sua Istituzione oratoria (VIII, 5, 11) Quintiliano precisa che l’epifonema è la sentenza da piazzarsi alla fine del discorso, ma nella forma di un’esclamazione volta ad affermare o a dimostrare, e soprattutto a produrre sorpresa e lasciare viva impressione nell’uditorio.
Nel medioevo la straordinaria fortuna delle sentenze (Curtius 1992: 68) rafforzò l’idea dell’epifonema come esclamazione posta nella clausola conclusiva di un discorso secondo una complessa architettura testuale. Così lo accoglie ➔ Dante, che lo usa sia nella variante proverbiale con un tono di ironia («Ahi fiera compagnia! Ma ne la chiesa / coi santi e in taverna coi ghiottoni», Inf. XXII, 14-15) sia piegandolo alle proprie esigenze espressive come intensificazione del discorso (si veda la celeberrima clausola finale del discorso di Ulisse ai compagni: «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza», Inf. XXVI, 118-120). ➔ Francesco Petrarca, ereditando la tradizione lirica latina, ne fa uso stabile, inaugurando così la fortuna degli epifonemi nella poesia italiana (sin dagli esordi del Canzoniere: «… e ’l conoscer chiaramente / che quanto piace al mondo è breve sogno», I, 13-14).
Contro la collocazione nella sola clausola finale di un discorso, nel XIX secolo fu proposto (Fontanier 1971: 386-390) l’epifonema anche all’interno o all’inizio di un discorso per arricchirlo di una riflessione breve e di tenore universale.
Nella tradizione poetica italiana l’epifonema è ingrediente privilegiato in autori come ➔ Ugo Foscolo e ➔ Giacomo Leopardi («è funesto a chi nasce il dì natale», “Canto notturno di un pastore errante per l’Asia”, in Canti, v. 143), ma è soprattutto il Novecento a farne uso ricorrente, per il mutato rapporto dello scrittore col circuito interno ed esterno dei testi. Così, l’epifonema entra a far parte di un tipo di testo poetico in cui non si riserva soltanto lo spazio di una conclusione generale e riepilogativa, ma assume le caratteristiche di una formulazione generale a commento del testo.
Così per ➔ Eugenio Montale, in particolare, in cui l’epifonema costituisce uno dei componenti stilistici più riconoscibili e più variati:
Codesto solo oggi possiamo dirti:
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
(“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato”,
in Ossi di seppia, vv. 11-12)
La più vera ragione è di chi tace.
Il canto che singhiozza è un canto di pace
(“So l’ora in cui la faccia più impassibile”,
in Ossi di seppia, vv. 7-8)
E la vita è crudele più che vana
(“Flussi”, in Ossi di seppia, v. 47)
Occorrono troppe vite per farne una
(“Estate”, in Occasioni, v. 15)
Se ci salva una perdita di peso, è da vedersi
(“Il tiro a volo”, in Diario del ’71, v. 12).
Nell’italiano contemporaneo, l’epifonema si presenta sempre più frequentemente e, in particolare, nei testi giornalistici di commento sembra costituire un elemento tipico. Ma la sua presenza è costante anche in altri tipi testuali. Lo testimonia il ricorrere di epifonemi nelle canzoni a larga diffusione di massa (con una vocazione per lo più proverbiale; si veda, per es., tra i tanti di diversissima natura, Fabrizio De Andrè: «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior»). Così anche nei testi pubblicitari e di promozione di immagine, entro i quali l’epifonema è stato spesso codificato nella variante del motto, cioè di una breve, rapida frase a struttura sentenziosa e assertoria. In questo caso, l’epifonema si presta all’intento di collegare al nome della marca o del marchio una conoscenza a tenore universale che possa essere largamente condivisa e che in questo confermerebbe la tendenza antica delle formule sentenziose poste a conclusione di un flusso discorsivo.
Cicerone, Marco Tullio (1992), La retorica a Gaio Erennio, a cura di F. Cancelli, in Id., Tutte le opere, Milano, Arnoldo Mondadori, 33 voll., vol. 32°.
Fontanier, Pierre (1971), Les figures du discours, Paris, Flammarion (1a ed. Des figures du discours autres que les tropes, Paris, Maire-Nyon, 1827).
Montale, Eugenio (1980), L’opera in versi, edizione critica a cura di R. Bettarini & G. Contini, Torino, Einaudi.
Quintiliano, Marco Fabio (2001), Institutio oratoria, a cura di A. Pennacini, Torino, Einaudi, 2 voll.
Curtius, Ernst Robert (1992), Letteratura europea e Medio evo latino, a cura di R. Antonelli, Scandicci, La Nuova Italia.