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epifonema

di Dario Corno - Enciclopedia dell'Italiano (2010)
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epifonema

Dario Corno

Definizione

L’epifonema (dal gr. epíphō´nēma «voce aggiunta», composto da epí «su, sopra» e phōnē´ «voce») è una figura retorica che consiste in un’espressione sentenziosa, di tenore universale, posta di solito a conclusione del discorso.

L’epifonema rientra nella famiglia delle massime e delle sentenze (➔ sentenza), cioè di quelle formulazioni che tendono, narrativamente o come argomentazioni, a ricapitolare un luogo comune in cui sia riconoscibile una norma di condotta umana o generalmente riconducibile a una conoscenza che la riguardi. L’epifonema si colloca accanto alla favola, al proverbio (➔ proverbi), all’apoftegma (il «detto memorabile»), all’esempio e all’aneddoto: se ne distingue per la sua collocazione alla fine di un pensiero con l’intento di ricapitolarlo, per lo più a fini di insegnamento generale (e questo ne spiega il tono assertorio e la vocazione universale).

È Aristotele a fissare la tradizione che vuole l’epifonema in conclusione di un pensiero (Retorica 21, 1304b). Infatti, in quanto massima o sentenza, l’epifonema appartiene al ‘ragionamento retorico’ e di conseguenza all’entimema, di cui costituirebbe la sintetica conclusione una volta che sia eliminato il sillogismo: esso serve dunque come riflessione conclusiva, idonea per condensare l’intero flusso discorsivo e per illuminarne il senso con un insegnamento di tenore universale.

Saldamente entrato nella tradizione latina, l’epifonema, come la sentenza, è per la pseudociceroniana Retorica a Caio Erennio (I sec. a.C.) «un’espressione desunta dalla vita la quale mostra brevemente o che cosa avvenga o che cosa bisognerebbe che avvenisse nella vita», con esempi come «È difficile che ponga come bene primo l’onorare la virtù chi abbia avuto la fortuna sempre dalla sua parte» o «Deve stimarsi libero chi non è schiavo di nessuna disonestà» (IV, 24, 17). Nella sua Istituzione oratoria (VIII, 5, 11) Quintiliano precisa che l’epifonema è la sentenza da piazzarsi alla fine del discorso, ma nella forma di un’esclamazione volta ad affermare o a dimostrare, e soprattutto a produrre sorpresa e lasciare viva impressione nell’uditorio.

Nel medioevo la straordinaria fortuna delle sentenze (Curtius 1992: 68) rafforzò l’idea dell’epifonema come esclamazione posta nella clausola conclusiva di un discorso secondo una complessa architettura testuale. Così lo accoglie ➔ Dante, che lo usa sia nella variante proverbiale con un tono di ironia («Ahi fiera compagnia! Ma ne la chiesa / coi santi e in taverna coi ghiottoni», Inf. XXII, 14-15) sia piegandolo alle proprie esigenze espressive come intensificazione del discorso (si veda la celeberrima clausola finale del discorso di Ulisse ai compagni: «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza», Inf. XXVI, 118-120). ➔ Francesco Petrarca, ereditando la tradizione lirica latina, ne fa uso stabile, inaugurando così la fortuna degli epifonemi nella poesia italiana (sin dagli esordi del Canzoniere: «… e ’l conoscer chiaramente / che quanto piace al mondo è breve sogno», I, 13-14).

Contro la collocazione nella sola clausola finale di un discorso, nel XIX secolo fu proposto (Fontanier 1971: 386-390) l’epifonema anche all’interno o all’inizio di un discorso per arricchirlo di una riflessione breve e di tenore universale.

Usi letterari

Nella tradizione poetica italiana l’epifonema è ingrediente privilegiato in autori come ➔ Ugo Foscolo e ➔ Giacomo  Leopardi («è funesto a chi nasce il dì natale», “Canto notturno di un pastore errante per l’Asia”, in Canti, v. 143), ma è soprattutto il Novecento a farne uso ricorrente, per il mutato rapporto dello scrittore col circuito interno ed esterno dei testi. Così, l’epifonema entra a far parte di un tipo di testo poetico in cui non si riserva soltanto lo spazio di una conclusione generale e riepilogativa, ma assume le caratteristiche di una formulazione generale a commento del testo.

Così per ➔ Eugenio Montale, in particolare, in cui l’epifonema costituisce uno dei componenti stilistici più riconoscibili e più variati:

Codesto solo oggi possiamo dirti:

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo

(“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato”,

in Ossi di seppia, vv. 11-12)

La più vera ragione è di chi tace.

Il canto che singhiozza è un canto di pace

(“So l’ora in cui la faccia più impassibile”,

in Ossi di seppia, vv. 7-8)

E la vita è crudele più che vana

(“Flussi”, in Ossi di seppia, v. 47)

Occorrono troppe vite per farne una

(“Estate”, in Occasioni, v. 15)

Se ci salva una perdita di peso, è da vedersi

(“Il tiro a volo”, in Diario del ’71, v. 12).

Nell’italiano contemporaneo, l’epifonema si presenta sempre più frequentemente e, in particolare, nei testi giornalistici di commento sembra costituire un elemento tipico. Ma la sua presenza è costante anche in altri tipi testuali. Lo testimonia il ricorrere di epifonemi nelle canzoni a larga diffusione di massa (con una vocazione per lo più proverbiale; si veda, per es., tra i tanti di diversissima natura, Fabrizio De Andrè: «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior»). Così anche nei testi pubblicitari e di promozione di immagine, entro i quali l’epifonema è stato spesso codificato nella variante del motto, cioè di una breve, rapida frase a struttura sentenziosa e assertoria. In questo caso, l’epifonema si presta all’intento di collegare al nome della marca o del marchio una conoscenza a tenore universale che possa essere largamente condivisa e che in questo confermerebbe la tendenza antica delle formule sentenziose poste a conclusione di un flusso discorsivo.

Fonti

Cicerone, Marco Tullio (1992), La retorica a Gaio Erennio, a cura di F. Cancelli, in Id., Tutte le opere, Milano, Arnoldo Mondadori, 33 voll., vol. 32°.

Fontanier, Pierre (1971), Les figures du discours, Paris, Flammarion (1a ed. Des figures du discours autres que les tropes, Paris, Maire-Nyon, 1827).

Montale, Eugenio (1980), L’opera in versi, edizione critica a cura di R. Bettarini & G. Contini, Torino, Einaudi.

Quintiliano, Marco Fabio (2001), Institutio oratoria, a cura di A. Pennacini, Torino, Einaudi, 2 voll.

Studi

Curtius, Ernst Robert (1992), Letteratura europea e Medio evo latino, a cura di R. Antonelli, Scandicci, La Nuova Italia.

Vedi anche
aforisma (o aforismo) Definizione che riassume il risultato di precedenti osservazioni. Il primo più noto autore di a. fu Ippocrate: Aforismi è intitolata l’opera più importante della scuola ippocratica e con questo termine si indicò nel Medioevo lo studio e la pratica della medicina. La tradizione letteraria ... testo Il contenuto di uno scritto o di uno stampato, ossia l’insieme delle parole che lo compongono, considerate non solo nel loro significato ma anche nella forma precisa con cui si leggono nel manoscritto o nell’edizione a cui ci si riferisce. Con valore restrittivo, il corpo originale di uno scritto, distinto ... ironia Filosofia L’originario significato del termine i., dissimulazione e insieme anche interrogazione, si conserva solo nell’espressione i. socratica. Il carattere dell’i. contraddistingue anzitutto il procedere speculativo di Socrate, che con la sua dichiarazione di ignoranza smaschera la presunta sapienza ... tenore In ambito musicale, la più acuta delle voci maschili: il termine indica il corrispondente registro e, estensivamente, il cantante che ne è dotato. In relazione alle famiglie strumentali, in funzione appositiva, designa lo strumento che all’interno della propria famiglia suona nel registro di t. (per ...
Indice
  • 1 Definizione
  • 2 Usi letterari
  • 3 Fonti
  • 4 Studi
Categorie
  • CRITICA RETORICA E STILISTICA in Letteratura
  • LINGUISTICA GENERALE in Lingua
Tag
  • INSTITUTIO ORATORIA
  • FRANCESCO PETRARCA
  • GIACOMO LEOPARDI
  • EUGENIO MONTALE
  • FIGURA RETORICA
Vocabolario
epifonèma
epifonema epifonèma s. m. [dal lat. epiphonema, gr. ἐπιϕώνημα, der. di ἐπιϕωνέω «esclamare, parlare»] (pl. -i). – Frase esclamativa in forma di sentenza e per lo più enfatica, con cui si conclude un discorso; per es.: Ecco i bei vantaggi...
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