epifrasi
L’epifrasi (dal gr. epíphrasis, formato da epí «su, sopra» e phrásis «parola, locuzione», nel senso di «parola aggiunta») è una figura retorica di tipo sintattico e di pensiero, che consiste nello spostare fuori di un segmento discorsivo compatto una parola o un altro segmento che ne farebbe parte e che rimane comunque unito dalla congiunzione e.
L’epifrasi riguarda dunque la permutazione dell’ordine delle parole: alcuni termini che dipenderebbero dallo schema sintattico sono posposti e preceduti dalla congiunzione e [secondo la configurazione XYZ → XZ e Y]. In quanto tale, la figura appartiene alla famiglia dell’➔iperbato, ma se ne distingue perché riguarda la coordinazione degli elementi e non la loro subordinazione nella clausola. Con questo sovvertimento nell’ordine delle parole, l’epifrasi provoca un effetto di amplificazione perché dà il senso dell’‛aggiunta’ informativa e insieme prepara un rallentamento espressivo dai particolari effetti stilistici.
Lo spostamento può prevedere tutti gli elementi distinti dello schema di base della frase lineare:
(a) Epifrasi del soggetto
Sempre caro mi fu quest’ermo colle
e questa siepe …
(Giacomo Leopardi, “L’infinito”, in Canti, vv. 1-2; l’epifrasi è messa in rilievo dal fatto che il verbo è al singolare)
(b) Epifrasi di elementi predicativi
Dolce e chiara è la notte e senza vento
(Leopardi, “La sera del dì di festa”, in Canti, v. 1)
(c) Epifrasi dell’oggetto
Io gli studi leggiadri talor lasciando
e le sudate carte
(Leopardi, “A Silvia”, in Canti, vv. 15-16)
(d) Epifrasi del complemento
E la lucciola errava appo le siepi
e in su le aiuole
(Leopardi, “Le ricordanze”, in Canti, vv. 14-15)
L’uso stilistico dell’epifrasi da parte di ➔ Giacomo Leopardi (Mengaldo 2006) sembra raccogliere l’invito di Quintiliano e in genere della retorica classica al sovvertimento dell’ordine delle parole (iperbato) prevedendo spostamenti dalla loro sede lineare: «il discorso è infatti molto spesso aspro, duro, slegato e sconnesso se le parole vengono disposte secondo la necessità del loro ordine naturale e se ogni parola viene unita, a seconda di come nasce, a quelle vicine, anche se non possono essere collegate» (Quintiliano 2001: VIII, 6, 62).
Anche se non è riconosciuto specificamente dalla retorica antica, il modulo epifrastico sembra caratterizzarsi secondo le proposte più tradizionali: consiste nel dilatare il discorso aggiungendo a una frase, che sembra finita, uno o più elementi che proprio perché aggiunti risultano enfatizzati. Da questo punto di vista, il modulo pare dunque concernere una ‘messa in rilievo’ dell’elemento epifrastico, consentendo nel contempo un rallentamento della progressione tematica che lo coinvolge. In questo senso, l’epifrasi sintattica è uno strumento tipicamente poetico e di raffinata complessità compositiva, e più tipico dell’italiano sette-ottocentesco (Serianni 2001).
Nel Novecento, l’epifrasi come modulo retorico a realizzazione sintattica è stato meno frequentato, ma quando appare permette inedite varianti tecniche anche collegate all’uso dell’interpunzione. Si veda, per es., Guido Gozzano:
Belli i belli occhi strani della bellezza ancora
d’un fiore che disfiora, e non avrà domani
(Guido Gozzano, “Le due strade”, in I colloqui, vv. 20-21)
dove l’uso della virgola sembra contrapporsi al semplice trasferimento del soggetto (fiore) creando tensione epifrastica. Ma si vedano i versi seguenti, che comportano ciascuno soluzioni sintattiche ad hoc e proprie di ciascun poeta:
perché tutto fu al mondo, e non mai scaltra,
e tutto seppe, e non se stessa amare
(Umberto Saba, “Ed amai nuovamente …”,
in Autobiografia, vv. 13-14)
Ma chi nel borro impeciato
sorgere libero e terso mi vede
e fuggire dal fiato e dal piede
l’arso démone bigio?
(Clemente Rebora, “Nell’avvampato sfasciume”,
in Frammenti lirici, vv. 26-28)
Nel vuoto, e per impazienza di uscirne,
ognuno, e noi vecchi compresi
con i nostri rimpianti
(Giuseppe Ungaretti, “Monologhetto”,
in Un grido e paesaggi, vv. 15-17)
E Natale verrà e il giorno dell’anno
che sfolla le caserme …
(Eugenio Montale, “Carnevale di Gerti”,
in Le occasioni, vv. 38-39)
e i colpi si ripetono e i passi,
e ancora ignoro …
(Montale, “Il sogno del prigioniero”,
in La bufera e altro, vv. 31-32)
Come figura di pensiero, l’epifrasi indica lo sviluppo di idee accessorie poste a commento di qualcosa che è già stato enunciato. In questo senso, e in quanto collocata in posizione finale, l’epifrasi potrebbe confondersi con l’➔epifonema, ma se ne differenzia per i legami sintattici che crea con ciò che precede, come la corrispondente figura sintattica.
Quintiliano, Marco Fabio (2001), Institutio oratoria, a cura di A. Pennacini, Torino, Einaudi, 2 voll.
Mengaldo, Pier Vincenzo (2006), Sonavan le quiete stanze. Sullo stile dei “Canti” di Leopardi, Bologna, il Mulino.
Serianni, Luca (2001), Introduzione alla lingua poetica italiana, Roma, Carocci.