EPIGRAFE
Per e. o iscrizione, considerando qui i due termini come equivalenti, si intende un testo di natura commemorativa, enunciativa o designativa, di solito di non lunga estensione, inciso - ma a volte anche dipinto o eseguito a mosaico -, su un supporto di materia dura (marmo, pietra o più raramente metallo) o su oggetti (per es. dipinti, arredi, oreficerie) e destinato a essere esposto alla pubblica visione e lettura in un luogo chiuso (chiesa, cappella, palazzo) o all'aperto (piazza, via, cimitero). Di un tale tipo di testimonianza scritta sono dunque elementi caratteristici l'esposizione pubblica, la durabilità del supporto, l'intenzione di solennità, le tecniche particolari (e lente) di esecuzione, a volte articolate in più tempi, e molto spesso la grandezza del modulo della scrittura, intesa a permettere la visione e la lettura del testo a distanza.L'età epigrafica per eccellenza è stata quella classica. Nel mondo antico greco-romano le iscrizioni pubblicamente esposte nelle città, nei cimiteri, lungo le grandi strade di collegamento hanno costituito il più diffuso e generale mezzo pubblico di comunicazione scritta. Si è calcolato che le iscrizioni romane superstiti siano ca. trecentomila, ma esse sono certo molte di più e soprattutto molte di più, da calcolare in milioni, furono quelle prodotte ed esposte nello spazio geografico dell'Impero romano, dalla Britannia al deserto arabico, dalla Lusitania al Danubio.Il Medioevo in Italia e in Europa ha costituito un'epoca non propriamente epigrafica, in cui l'uso di testimonianze scritte pubblicamente esposte non fu generalmente diffuso. Ciò è avvenuto per molte ragioni, la principale delle quali fu costituita dalla riduzione delle capacità sociali di leggere, cioè dell'alfabetismo, a percentuali che non si è in grado di stabilire, ma che erano certamente molto inferiori a quelle del mondo romano al suo apogeo (secc. 1°-2° d.C.); sulla minore presenza di iscrizioni influirono certamente anche la ristrettezza degli spazi delle città altomedievali e il venir meno di una organizzata vita pubblica comune e delle relative magistrature.Il Medioevo, insomma, soprattutto nella sua fase più antica, ha prodotto relativamente poche iscrizioni. In Italia tuttavia esse sono in numero probabilmente superiore a quello di altre regioni europee e costituiscono una fonte di informazione incomparabilmente ricca e ancora non sufficientemente studiata.Malgrado gli studi, soprattutto paleografici, di pochi volenterosi precursori, quali Le Blant (1856-1865; 1869; 1890; 1892) e Deschamps (1929) in Francia e Grossi Gondi (1920) e Silvagni (1928; 1938-1943) in Italia, si può dire che l'epigrafia medievale è una disciplina assai recente, che può esser fatta risalire agli anni immediatamente successivi all'ultima guerra mondiale e che si è sviluppata soprattutto negli ultimi decenni in Francia e in Germania. Essa si colloca idealmente fra l'epigrafia paleocristiana, che arriva sino al sec. 6°, e quella rinascimentale, che parte dalla metà ca. del Quattrocento e comprende in tal modo un arco di tempo di ca. otto secoli e mezzo. Si tratta di una disciplina poco presente nell'insegnamento superiore, priva di periodici specializzati, di sedi istituzionali di confronto e di organizzazione e di repertori generali. Attualmente sono in corso di realizzazione quattro corpora nazionali di e. medievali in Francia, in Germania e Austria (in collaborazione), in Svizzera e in Polonia. Di essi i più importanti e avanzati sono quello tedesco (Die deutschen Inschriften, 1942 ss.), avviato come progetto negli anni Trenta, ripreso poi dal 1966 sotto gli auspici di Bischoff e attualmente diretto da Koch, con termine cronologico al 1550, e quello francese (Corpus des inscriptions de la France médiévale, 1969 ss.), nato a Poitiers nel 1969 e attualmente diretto da Favreau, con termine cronologico al 1300. In Italia non si è ancora formata una tradizione di studi omogenea e tutto quello che si è fatto nello scorso secolo e nell'attuale è dovuto allo sforzo personale di pochi studiosi operanti individualmente. Esistono e sono divenute sempre più numerose negli ultimi decenni alcune raccolte particolari per aree regionali, città o località minori; importanti indicazioni di metodo e generosi progetti sono stati presentati da studiosi quali Silvagni (1928; 1938-1943) e, più recentemente, soprattutto da Campana (1976; 1977). Ciò nonostante finora non si è messo ancora in opera un corpus delle iscrizioni medievali italiane, né esiste un censimento neppure a livello indicativo; se ne ignora perciò il numero complessivo e l'ubicazione, mentre quelle finora sopravvissute corrono, anche per un certo generalizzato disinteresse, il rischio di scomparire.Tra il sec. 7° e la prima metà dell'11° la produzione di e. toccò in Europa e in Italia il più basso livello, dal punto di vista quantitativo e per certi rispetti anche qualitativo. La scarsità della produzione di e. in questi quattro secoli e mezzo dimostra anche che la funzione dell'epigrafia fu allora ridotta a pochi e specifici aspetti della vita socio-culturale e che la presenza delle iscrizioni nel territorio scese parimenti al minimo.Le iscrizioni altomedievali furono prevalentemente funerarie o commemorative di eventi comunque legati ad attività ecclesiastiche, come la consacrazione di chiese o di altari. Esse furono in genere confinate all'interno degli edifici sacri e dei luoghi di sepoltura, spesso del resto coincidenti. In pratica nell'Alto Medioevo, soprattutto occidentale, non esistette un'epigrafia pubblica ed esposta di natura non funeraria. L'ambito di committenza e quello di produzione erano dunque, di regola, prevalentemente, se non esclusivamente, ecclesiastici. Fanno eccezione le e. funerarie apposte per i sovrani e i grandi feudatari laici, quali, in Italia, i re longobardi e i loro familiari a Pavia o i principi longobardi a Benevento. Ma anche in questo caso la redazione del testo e la progettazione dell'e. erano riservate a personale ecclesiastico; soltanto gli esecutori materiali, cioè i lapicidi, erano con tutta probabilità laici.Nel processo produttivo di una e. occorre dunque sempre, e non soltanto per il periodo di cui qui si parla, distinguere il committente, cioè colui (o coloro, a volte) che ordina (o ordinano) l'esecuzione di una determinata iscrizione, l'autore del testo, che spesso ne è anche l'ordinator, cioè colui che ne progetta la disposizione e l'impaginazione, e infine l'esecutore materiale, cioè l'incisore del testo e delle eventuali figurazioni o dei motivi ornamentali che lo inquadrano o lo accompagnano.Rispetto all'epigrafia romana di età classica quella altomedievale, come già quella paleocristiana, presenta profondi mutamenti nelle tecniche esecutive e nelle forme della scrittura. Sin dagli ultimi secoli dell'Impero si era venuta perdendo la caratteristica incisione a solco triangolare dei tratti costitutivi delle lettere, che era propria dell'epigrafia classica, e che venne gradualmente sostituita dalla più semplice e povera incisione a cordoncino, che non dava alcun rilievo coloristico alla scrittura; con la seconda metà del sec. 6° in Italia la tecnica dell'incisione a solco triangolare scomparve del tutto.Per quanto riguarda la scrittura, le tradizionali capitali squadrate e quelle c.d. rustiche, cioè di tipo librario, vennero sostituite da un composito alfabeto di maiuscole rotondeggianti, con elementi onciali e minuscoli; vi compaiono talvolta la C e la G squadrate, la D triangolare, la O in forma di losanga, la E di forma minuscola, la A con tratto orizzontale di completamento in alto, la Q con la codina inserita internamente al cerchio. Si tratta di forme di diretta derivazione dai precedenti prodotti paleocristiani e anche dai corrispondenti e compositi alfabeti maiuscoli adoperati nel medesimo periodo nelle parti di inizio, di titolatura e di conclusione dei codici.Molto notevoli furono in generale i cambiamenti di formato e di impaginazione che caratterizzarono la produzione epigrafica altomedievale dell'Europa occidentale rispetto a quella classica. Già le iscrizioni paleocristiane dei secc. 5° e 6° rivelano la perdita (o il rifiuto) della disposizione geometrica delle righe, dell'omogeneità del modulo, della gerarchia dei tipi grafici, del rispetto dei formati tradizionali propri del periodo antico. Tali caratteristiche furono ereditate tutte dall'epigrafia altomedievale, funeraria e non, che arrivò molto spesso a realizzare un caotico, ma fortemente espressivo, accavallarsi di testo e di immagini all'interno di un medesimo spazio scrittorio.Uno dei risultati di tale impaginazione disordinata è l'uso frequente di abbreviazioni improprie o eccessivamente compendiate, rese necessarie dalla ristrettezza dello spazio a disposizione; tuttavia in generale le abbreviazioni adoperate nelle iscrizioni corrispondono a quelle usate nella produzione libraria.Nella Francia e nella zona renana lo scritto è disposto spesso in posizione marginale rispetto alle figurazioni presenti sulla lastra; in molti casi appare forte l'influenza diretta di esempi paleocristiani. Particolarmente originale è la disposizione dello scritto a fasce orizzontali nel cenotafio del sec. 7° di Teodechilde, badessa del monastero di Jouarre (cripta di Saint-Paul); molto spesso le iscrizioni presentano rigature molto evidenti, a volte raddoppiate.Nell'Italia longobarda particolarmente importante è la produzione epigrafica solenne di Pavia, capitale del regno, ove nel corso del sec. 8° vennero dedicati numerosi epitaffi con testi in distici elegiaci ai re, ai principali membri della dinastia, ad alcuni grandi personaggi. Le maggiori novità dello stile epigrafico che si può definire pavese, anche se non è esclusivo della città lombarda, sono costituite: dal rapporto fra i motivi ornamentali di tradizione tardoantica, collocati a fare da cornice o a tagliare con fasce lo spazio interno, e lo scritto, che ritorna a occupare interamente o quasi il campo della lastra; dall'alternanza fra disposizione verticale e orizzontale del testo, con rispettive impaginazioni su una o due colonne; dalla tipologia grafica costituita da un'esile capitale alta e stretta, di tratteggio filiforme, arricchita di elementi ornamentali; da lettere particolari alla greca; da una Q con codina riassunta all'interno. Fra gli esempi, conservati a Pavia stessa (Civ. Mus.), si possono ricordare la lastra della regina Ragintruda (forse 740-750), quella di Cunincperga, badessa e figlia di re Cuniperto, e la lastra tombale di Audoaldo, duca probabilmente di Liguria, attribuita al 763. Nel corso del sec. 9° lo stile pavese fu ripreso e continuato nei solenni epitaffi in versi dei principi beneventani, che perpetuavano nella Langobardia Minor le tradizioni culturali e politiche della stirpe.La rinascenza grafica carolingia immise di nuovo nell'uso tipologie grafiche scomparse da secoli; in campo epigrafico si tornò prima in Francia, poi anche in Germania e nell'Italia centrosettentrionale, a capitali monumentali di tipo classico, larghe, squadrate, geometrizzate nelle forme ed equilibratamente omogenee nel modulo. Splendido esempio ne è l'epitaffio di papa Adriano I (795), fatto eseguire in Francia su marmo nero e da Carlo Magno spedito a Roma, ove ancora si trova esposto nel portico di S. Pietro. Lo stile classicheggiante si diffuse gradualmente in tutto il territorio del Sacro romano impero carolingio, anche se non riuscì a informare di sé l'intera produzione, ma soltanto quella più solenne e ufficiale. Roma per tutto l'Alto Medioevo, e soprattutto nel corso dei secc. 10°-11°, rimase il centro di una stilizzazione epigrafica ispirata a forme e a impaginazioni di tradizione classica.L'epigrafia funeraria dei popoli scandinavi si sviluppò nell'Alto Medioevo attraverso l'uso di forme espressive del tutto originali e differenti da quelle adoperate nel resto dell'Europa occidentale. Ciò fu dovuto all'uso dell'alfabeto runico, anziché di quello latino, alla disposizione dello scritto, in posizione prevalentemente verticale o all'interno di strisce ricurve e intrecciate a forma di serpente, e alla collocazione delle lastre iscritte all'aperto. Molto ricca di iscrizioni di questo genere, spesso dedicate a guerrieri caduti in battaglia, è la Svezia e in particolare l'isola di Gotland.A Bisanzio e nei territori dell'impero bizantino la produzione epigrafica si sviluppò fino al pieno sec. 7° secondo i modelli tardoantichi, con l'uso di una solenne e squadrata capitale greca, priva di legamenti e quasi priva di abbreviazioni. Il numero delle iscrizioni restò considerevolmente alto e anche le funzioni dell'epigrafia restarono sostanzialmente quelle antiche; continuarono a essere prodotte iscrizioni pubbliche di carattere civile, come per es. decreti imperiali e dedicazioni; d'altro canto anche la presenza di numerose iscrizioni funerarie di persone comuni dimostra che l'epigrafia continuava a essere un efficace mezzo di comunicazione scritta in città ancora notevolmente alfabetizzate. La crisi del sec. 7° e la perdita di parte delle regioni asiatiche e di quelle africane, conquistate dagli Arabi, comportarono una drastica riduzione della produzione epigrafica, soprattutto per quanto riguarda il settore pubblico e l'utenza laica. Il tipo di scrittura adoperato rimase sostanzialmente il medesimo e tale immobilismo contribuisce a rendere ora assai difficile la datazione delle iscrizioni bizantine altomedievali. Successivamente, a parte alcune eccezioni risalenti alla rinascenza macedone (secc. 9°-10°), il quadro complessivo della produzione epigrafica bizantina dimostra che essa fu colpita da una profonda crisi. Con il sec. 11° si osserva comunque che la scrittura - e ciò ne ridusse ovviamente la leggibilità - divenne più fitta e ricca di abbreviazioni.In tutta l'Europa occidentale con la seconda metà del sec. 11°, e quindi con il sec. 12°, il linguaggio epigrafico venne profondamente modificato da alcune importanti innovazioni. Si assiste all'affermarsi come scrittura epigrafica di una maiuscola tondeggiante con elementi capitali ed elementi onciali, ricca di nessi, con inclusioni di lettere più piccole in altre più grandi, che con il Duecento diede vita a quella che si definisce maiuscola gotica. Nell'ambito delle lastre funerarie si rileva il ritorno della raffigurazione del morto, mentre lo spazio a disposizione dello scritto si riduce. Si affermò l'uso di lastre terragne incastrate nel pavimento delle chiese, con l'immagine del defunto giacente e l'iscrizione disposta a striscia lungo i quattro lati della cornice. Con il sec. 13° apparvero i monumenti funebri a parete, in cui l'iscrizione venne ridotta a un ruolo marginale.È in Germania, nella seconda metà del sec. 12°, che si trovano le prime lastre terragne, metalliche, con il ritratto del defunto in bassorilievo. I primi monumenti funebri a parete sono invece lo sviluppo italiano di un processo di monumentalizzazione dei sepolcri che è proprio della Francia del sec. 12°-13°; particolarmente significativi sono i sepolcri a parete eseguiti a Roma e a Orvieto dai marmorari romani e da Arnolfo di Cambio nello scorcio del sec. 13°, ove la scrittura, di forme ancora romanico-gotiche, occupa comunque uno spazio significativo.La maiuscola gotica epigrafica, in Italia con forme rotondeggianti, nelle regioni nordiche con forme più strette e fitte, è caratterizzata dal tratteggio contrastato, dai filetti ornamentali che completano le aste e chiudono le lettere, dalla A con tratto orizzontale sulla cuspide, dalla D di tipo onciale con asta orizzontale corta, dalla M di tipo onciale chiusa, dalla T a volte rotonda, dalla presenza di bottoni ornamentali in corrispondenza del massimo spessore dei tratti, dall'uso frequente di abbreviazioni.La presenza nella scrittura di tratti particolarmente spessi portò, sin dallo scorcio del sec. 12°, alla rinascita della tecnica di incisione a solco triangolare, scomparsa da sei secoli ca., che aggiunge un elemento estetico di forte contrasto formale all'aspetto complessivo delle iscrizioni.In Italia già con la seconda metà del sec. 11° si era assistito a un ritorno della scrittura esposta all'aperto, nelle piazze, sulle chiese e sui monumenti di alcune città, quali Salerno e Pisa; si trattò di un fenomeno che con il sec. 12° e con il 13° si estese e si diffuse dal Nord comunale al Sud normanno e poi svevo, coinvolgendo i ceti dirigenti cittadini, l'alto clero, i signori e i sovrani, e che portò a un notevole aumento della produzione epigrafica.Tale incremento procedette di pari passo con la maggiore produzione di codici e, in generale, con una più diffusa alfabetizzazione dei ceti dirigenti e 'borghesi' urbani, particolarmente avvertibile in alcune grandi città dell'Italia settentrionale e centrale, come Milano, Venezia, Pisa, Firenze. Parallelamente all'occupazione degli spazi urbani aperti, si verificò allora il ritorno a un più vario e articolato uso dell'epigrafia, non più soltanto funeraria, ma anche commemorativa, celebrativa e comunicativa, come, sin già dall'inizio del periodo, dimostrano le e. salernitane (Salerno, Mus. Diocesano), quelle famose del duomo pisano e, più tardi, i ricordi milanesi della ripresa della città dopo la distruzione del 1171 (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica) o gli statuti ferraresi del 1173 (Ferrara, fianco meridionale della cattedrale).A Bisanzio con il sec. 12° e quindi con il 13° e con i Paleologi si ritornò a un'epigrafia di apparato di grande solennità; l'aristocrazia costantinopolitana si fece costruire tombe monumentali con estesi epitaffi in fitta capitale artificiosamente allungata e ricca di elementi ornamentali. Nel sec. 12° tale scrittura d'apparato è presente nelle regioni meridionali italiane - in e. e soprattutto in mosaici (Palermo) e nelle grandi porte di bronzo, come quelle del duomo di Amalfi, fatte eseguire a Costantinopoli - e influisce sulla contemporanea scrittura epigrafica latina.Nell'Europa occidentale, in corrispondenza con l'adozione epigrafica dell'alfabeto maiuscolo gotico, le e. acquisirono caratteristiche che possono essere definite librarie, con formati oblunghi in senso orizzontale e fitta disposizione dello scritto su lunghe righe sovrapposte, a volte ordinate su due colonne affiancate, e separate da interlinei molto stretti. Si tratta di elementi che, uniti alla presenza di segni speciali come la nota tironiana per et in forma di sette, di tratti ornamentali e di un'alta percentuale di abbreviazioni, ridussero di molto la leggibilità del testo epigrafico, soprattutto a distanza.Nel corso del Trecento e della prima metà del Quattrocento si ebbe anche, soprattutto in Francia, in Germania e nell'Italia settentrionale, l'uso, al posto della maiuscola gotica, della minuscola gotica rotunda di tipo librario, spesso disposta a doppia colonna; contemporaneamente, e nelle medesime zone geografiche, si usò a volte ricorrere alla doratura degli intagli delle lettere.All'interno e all'esterno di edifici ecclesiastici vennero spesso apposti lunghi testi epigrafici contenenti la trascrizione su pietra di documenti beneficiari, in particolare di privilegi pontifici, definiti comunemente carte lapidarie.Per le sue molteplici innovazioni stilistiche e impaginative l'epigrafia di stile gotico fu quella che più decisamente e consapevolmente si allontanò dal modello epigrafico classico, da cui non ereditò praticamente alcun elemento significativo e di cui rifiutò tutto, dai formati e dalla disposizione dello scritto alla scrittura e al formulario, imponendo e diffondendo modelli scrittorî e pratiche di uso e di lettura delle e. del tutto innovativi rispetto al passato.Non a caso, del resto, dal sec. 13° in avanti si cominciarono a produrre in Francia, in Germania e in Italia (in alcune città quali Venezia, Milano, Firenze, e poi in molte altre) e. nelle lingue nazionali, con formulario e con modelli di impaginazione (per es. in cartigli) di nuova e originale invenzione, la cui diffusione crebbe progressivamente dovunque nel Trecento e nel Quattrocento.Nel corso del sec. 14° anche alcuni dei maggiori umanisti italiani adottarono in ambito epigrafico lo stile gotico: gotiche sono le due e. dettate da Francesco Petrarca per il suo nipotino (Pavia, Civ. Mus.) e gotiche sono quelle composte da Coluccio Salutati per alcuni maggiorenti fiorentini (Firenze, chiostro di Santo Spirito, cappella Corsini, tombe).Soltanto con il terzo decennio del Quattrocento nell'epigrafia fiorentina e toscana si ebbe una ripresa imitativa dell'epigrafia romanica dei secc. 11°-inizi 12°, che sostituì un nuovo stile grafico a quello gotico, modificando anche la disposizione del testo nello spazio di scrittura, il formato e l'incorniciatura delle iscrizioni secondo modelli antichi (per es. a targa, a tabella ansata).La maiuscola epigrafica toscana di questo tipo, che può essere definita all'antica, fu ampiamente adottata nell'Italia centrosettentrionale e anche a Roma, dalla metà del secolo, e a Napoli, con Alfonso d'Aragona (re di Napoli dal 1442 al 1458). Quasi contemporaneamente, o immediatamente dopo, a opera di artisti quali Leon Battista Alberti e Matteo de' Pasti nel Tempio Malatesiano di Rimini (dal 1450), Andrea Mantegna a Padova, Donatello, Andrea Bregno a Roma negli anni settanta del secolo, si venne adottando nelle iscrizioni, come avveniva parallelamente anche nelle titolature dei codici di lusso di tipo umanistico, lo stile epigrafico classico, con un alfabeto capitale direttamente imitato dai modelli antichi dei secc. 1° a.C.-2° d.C., caratterizzato dal tratteggio contrastato, ottenuto con la triangolatura dei solchi, e dalla geometrizzazione del disegno delle lettere. Ciò corrispose anche al ritorno alla collocazione centrale dello scritto nel complesso del monumento e alla formulazione più stringata dei testi epigrafici, secondo formule riprese da esempi antichi.Il modello costituito dalla nuova epigrafia anticheggiante italiana si diffuse gradualmente nell'ultimo scorcio del Quattrocento anche fuori d'Italia e venne definitivamente canonizzato dai trattati di scrittura dei maestri italiani ed europei del sec. 16°, determinando lo stile classicheggiante dell'epigrafia moderna e neoclassica. Ciò nonostante nelle regioni dell'Europa settentrionale e in Spagna per tutto il sec. 15° continuarono a essere prevalentemente adoperate come scritture epigrafiche le tipologie grafiche gotiche (maiuscola e minuscola) e con esse le tradizionali disposizioni marginali, e non centrali, dello scritto e le impaginazioni a nastro o a striscia. A Bisanzio molto forte rimase fino al sec. 15° il rapporto di analogia formale fra la scrittura di apparato usata nelle parti del titolo dei codici e la capitale epigrafica.
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La civiltà islamica ha prodotto un gran numero di e., per lo più in lingua araba, ma anche nelle altre lingue di cultura del mondo islamico (quali il persiano e il turco), la cui raccolta ed edizione costituisce un compito ancora in parte incompiuto. Già alla fine del secolo scorso van Berchem aveva dato inizio al progetto di pubblicare, regione per regione, il materiale epigrafico in lingua araba fin allora noto (Matériaux, 1894-1956). In questo quadro videro la luce i volumi relativi all'Egitto, alla Siria meridionale, alla Siria settentrionale e all'Asia Minore; l'impresa, tuttavia, alla quale collaborarono diversi studiosi, è rimasta incompiuta. Nel 1931 si iniziò una pubblicazione, di cui sono usciti fino a ora diciotto volumi, che coprono anno per anno il materiale epigrafico in lingua araba datato fino all'800 a.E./1398, e l'indice geografico dei primi sedici volumi (Répertoire, 1931 ss.).Quanto alle iscrizioni in lingue diverse dall'arabo, si possono menzionare quelle in versi persiani, incise sulle placche di marmo che bordano il cortile del palazzo di Mas῾ūd III a Ghazna, in Afghanistan, costruito nel 505 a.E./1111-1112 (Bombaci, 1966) e le numerose iscrizioni ottomane che, a partire dal sec. 15°, in seguito al prestigio ormai acquisito dal turco a spese dell'arabo, furono redatte in lingua turca e talvolta in persiano (anche se sopravvive in quei paesi l'epigrafia araba, per es. le e. presenti nella Khānaqā di Naṭanz in Iran, del 725 a.E./1324-1325). Si tratta, a differenza delle iscrizioni arabe, per lo più in prosa, di e. in versi.L'abbondanza e la dispersione geografica del materiale epigrafico in lingua araba, insieme alle difficoltà peculiari di lettura dei testi e alle scarse conoscenze relative all'ambiente storico e sociale che ha prodotto questi documenti, sono tra le cause del ritardo in cui si trova l'opera di edizione e studio di tale materiale. L'epigrafia araba è peraltro una disciplina ancora recente, sviluppata soprattutto a opera di studiosi europei. Per quanto riguarda le zone in cui la presenza di e. arabe è meno rilevante, quali sono quelle che - come la Spagna e la Sicilia; per es. le e. della Grande moschea di Córdova, o le iscrizioni a Palermo, Gall. Regionale della Sicilia - furono solo temporaneamente soggette all'Islam, il lavoro di studio e di edizione è più semplice e già in buona parte compiuto (Amari, 1875-1885; Lévi-Provençal, 1931). Diversa è la mole di lavoro da compiere nei paesi di media e alta densità di iscrizioni, dove l'arabo era usato unicamente come lingua della religione e della scienza o dove era ed è tuttora lingua dell'uso (Matériaux, 1894-1956, I).Una delle caratteristiche più spesso sottolineate delle e. prodotte nella civiltà islamica è la loro illeggibilità (Ettinghausen, 1974). Essa è dovuta in primo luogo alla rarità dell'uso, nella scrittura epigrafica, dei punti diacritici (i punti deputati a differenziare lettere di forma uguale), almeno fino alla fine del 9° secolo. Oltre a ciò, caratteristica della scrittura epigrafica (cufica) è la coincidenza del tracciato di lettere anche differenti, che diventano indistinguibili tra loro. In tal modo l'inventario delle lettere dell'alfabeto arabo si trova ridotto a pochi segni realmente diversi, tracciati secondo stilizzazioni geometriche (l'angolo, il cerchio, le linee parallele; Volov, 1966). A ciò consegue un massimo di ambiguità nella lettura e nell'interpretazione del testo iscritto. Ma il carattere di illeggibilità delle e. è dato anche e soprattutto dallo sviluppo in senso ornamentale cui la scrittura epigrafica araba diede luogo già a partire dai primi secoli dell'Islam. Esso si manifesta attraverso lo sviluppo dalle lettere finali di parola di code nel registro inferiore della fascia di scrittura, che - particolarmente su stoffe e ceramica - risalgono verso l'alto, per riempire la parte superiore della fascia di scrittura (Safadi, 1978, figg. 130, 133); oppure attraverso l'apicizzazione delle aste di alcune lettere, da cui in seguito spuntarono foglie e semi-palmette (cufico foliato) e addirittura fiori e tralci innestantisi anche sul corpo delle lettere, fino a far scomparire la scrittura entro un fitto intrico vegetale (cufico fiorito; ivi, figg. 20-21). Anche il complesso intrecciarsi delle aste delle lettere nel cufico intrecciato crea effetti altamente ornamentali a scapito della semplicità di lettura (ivi, fig. 11). I segni grafici si trasformano in una sorta di labirinto nella realizzazione - soprattutto su elementi architettonici - di pannelli e iscrizioni di carattere geometrico, ispirate, sembra, alla scrittura sigillare cinese (cufico rettangolare, quadrato o architettonico; ivi, fig. 27). Il tracciato viene a disporsi secondo determinati moduli compositi (ripetizione, simmetria, ritmo) attraverso l'uso sapiente delle spaziature, frapposte anche tra singole lettere o gruppi di lettere e, in assenza di divisione delle parole, attraverso l'allungamento dei tratti di legamento e del corpo di alcune lettere, una tecnica ben nota ai calligrafi, tradizionalmente chiamata mashq o madd ('allungamento'). Uno sviluppo ulteriore è dato dalla nascita di alfabeti figurati, con la deformazione degli apici delle lettere in forma umana o animale (v. Alfabeto figurato).Circa le iscrizioni arabe, si può realmente parlare di sopravvivenza di un valore pittografico o prefonetico della scrittura, valore ben attestato anche in altre culture, come quella ebraica (Sirat, Avrin, 1981, p. 18). Nel mondo islamico i testi epigrafici non sono principalmente destinati a essere letti. Si tratta per lo più, nelle iscrizioni a carattere religioso, di formule stereotipe, come versetti coranici, confessioni di fede, invocazioni e formule pie o preghiere per i morti, e, in quelle a carattere profano, della citazione del nome del sovrano (o di dignitari e alti funzionari) e dei suoi titoli, della menzione dei meriti e delle sue lodi.I testi registrati nelle e. gravitano intorno alle due grandi concezioni basilari della cultura islamica: l'onnipotenza divina e, di riflesso, la concezione di un potere politico assoluto (Matériaux, 1894-1956, I, p. VI). Per questo motivo, pur rivestendo lo studio delle iscrizioni un grande valore per la scienza paleografica, per la filologia, per la storia delle istituzioni religiose, politiche e sociali dell'Islam, esse presentano - proprio per il loro carattere stereotipo - un valore storico-documentario inferiore a quello delle iscrizioni latine o greche; tuttavia, per lo studio dell'evoluzione della titolatura ufficiale di sovrani e alti dignitari le iscrizioni hanno notevole importanza (Wiet, 1938).Criteri diversi presiedono alle classificazioni tipologiche delle iscrizioni in ambito islamico. In base al tipo di testo iscritto, Sourdel-Thomine (1986) propone di distinguere tre gruppi: le iscrizioni religiose su edifici, pietre tombali e oggetti, quelle di carattere storico - comprendenti principalmente testi di costruzione, di fondazione (relativi all'istituzione di un bene come waqf, 'fondazione pia') e testi funerari - e quelle di carattere amministrativo su monete, su pesi e misure, su decreti. Gaube (1982) invece propone una presentazione del materiale epigrafico arabo secondo il criterio del modulo della scrittura e quindi della grandezza dell'epigrafe. Tra le iscrizioni grandi, per lo più poste su edifici, annovera le iscrizioni di costruzione, di restauro, di waqf, le iscrizioni tombali, i decreti e le iscrizioni commemorative; queste ultime, poste su mura o rovine, rocce e picchi montagnosi, spesso consistevano unicamente nella menzione del nome di una persona o di un fatto memorabile. Tra le piccole iscrizioni, poste su oggetti diversi, Gaube menziona quelle su astrolabi, piatti, scatole (soprattutto di produzione spagnola), lampade e candelabri, coppe, astucci portapenne, stoffe e tessuti, vasi e brocche. Si tratta di un elenco ampio ma non esauriente degli oggetti sui quali usualmente venivano registrati brevi testi. È noto infatti che nell'Islam la scrittura svolse anche la funzione che nell'Occidente latino e greco era riservata alle immagini e all'ornamentazione. Quale che sia il motivo di ciò - reazione a un divieto religioso di raffigurare immagini oppure, più probabilmente, valore ornamentale ricoperto dalla scrittura stessa -, qualsiasi oggetto prodotto nel mondo islamico può recare iscrizioni, che costituiscono messaggio linguistico e immagine allo stesso tempo.Nonostante il suo carattere stereotipo, il formulario presenta una certa varietà. Qualsiasi testo si apre con la formula "Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso", detta basmala dalle prime parole che la compongono. Molto frequenti sono poi le citazioni di versetti coranici, scelti spesso secondo le necessità e in rapporto con il tipo di e. in questione (per es. epitaffi, iscrizioni di costruzione o di fondazione). A queste si affiancano spesso formule religiose, in cui si invoca la benedizione, la protezione oppure il perdono di Dio o si formulano auguri per il committente della costruzione, del restauro o della donazione, o per il possessore dell'oggetto. Gaube (1982, pp. 223-224) ha fornito una tabella recante le formule religiose e i versetti coranici che ricorrono più spesso nei diversi tipi di iscrizioni. Ciascun tipo ha poi un formulario specifico. Le iscrizioni di costruzione comprendono di regola il nome del committente, il termine indicante la costruzione, la menzione di ciò che è stato costruito, normalmente preceduto dal pronome dimostrativo, e l'anno. Spesso possono esservi indicati i nomi delle maestranze edilizie e dello scalpellino o di colui che redasse materialmente l'iscrizione. Un formulario simile è caratteristico anche delle iscrizioni commemoranti l'opera di restauro di un edificio, in cui appaiono il nome del committente e la data, e di quelle di waqf, che menzionano il nome di colui che fece costruire un edificio, donandolo in 'fondazione pia' a gruppi e confraternite religiose, o di colui che provvide a dotare edifici d'interesse sociale e religioso (scuole coraniche, ospedali) di immobili che fruttavano rendite. Gli epitaffi, provenienti in gran numero dall'Egitto, presentano, dopo la basmala, la citazione di versetti coranici, le invocazioni religiose e la professione di fede "Non c'è altro Dio che Dio, e Maometto è il suo profeta", il riferimento alla tomba e al nome del defunto, la data del decesso e il richiamo alla misericordia divina. Le iscrizioni su piccoli oggetti si riferiscono principalmente al committente o al proprietario dell'oggetto (spesso si tratta della stessa persona) e sono costituite da formule di augurio come "Gloria, prosperità, fortuna al suo possessore". Tali formule evolvono non di rado verso la pseudo-epigrafia: le parole che le compongono, o anche soltanto parti di esse, vengono deformate e utilizzate come puro ornamento.Se il formulario epigrafico arabo è piuttosto scarno, le iscrizioni in persiano e in turco, più tarde e non di rado redatte in versi, presentano un materiale linguistico più ricco e complesso. In esse può essere individuata però una deliberata volontà di nascondere al lettore il contenuto dell'e., sia attraverso difficoltà paleografiche ulteriori (uso di legature inusuali fra lettere, scrittura delle lettere alla rovescia o secondo un ordine anomalo) sia attraverso l'uso di espedienti particolari, tra i quali il più comune, usato anche nei testi letterari per dissimulare la data di composizione dell'opera, è il cronogramma; esso consiste nell'esprimere la data dell'e. attraverso una breve frase, in cui il computo del valore numerico delle lettere corrisponde appunto alla data in questione. Tali iscrizioni sono inoltre redatte per lo più in scrittura corsiva, introdotta nell'epigrafia almeno a partire dall'inizio del sec. 12°, in luogo della cufica (Safadi, 1978, figg. 39-41, 44-47).L'impostazione dello spazio scritto in forme armoniose appare come una conquista dei primi secoli dell'Islam. In epoca preislamica, infatti, la scrittura si poneva liberamente nello spazio dell'e., senza che si prestasse attenzione all'uniformità dei margini o dello spazio tra le righe; non si distingueva tra lettere alte e lettere basse, né le aste erano tracciate di altezza uniforme. È quanto si osserva nelle più antiche iscrizioni arabe di epoca preislamica, quella trilingue (greco, siriaco, arabo) di Zebed, in Siria, risalente al 512 (Grohmann, 1971, tav. II), quella del Jebel Usays, a S-O di Damasco, del 528 (ivi, tav. I, 2), e quella bilingue (greco, arabo) di Ḥarrān, in Turchia, del 568 (ivi, p. 17, fig. 8a). Solo l'iscrizione di Umm al-Jimāl, in Giordania, non datata ma databile al sec. 6° e probabilmente più recente delle altre, mostra una disposizione alquanto regolare delle cinque righe di scrittura entro uno spazio quadrangolare (ivi, pp. 16-17, figg. 7-8).Rigatura e incorniciamento dello spazio scritto nascono dalla medesima esigenza di disporre la scrittura in modo ordinato. Tali tecniche hanno probabilmente anche un significato magico. La parola araba jadwal ('ruscello', 'corso d'acqua', ma anche 'tavola', 'tabella', 'piano' e 'pagina rigata e incorniciata') è usata anche come termine tecnico della magia, indicante figure quadrangolari o poligonali, con iscritti nomi e segni provvisti di virtù magiche (Graefe, Macdonald, Plessner, 1965). È stato notato che nella scrittura araba - come nella nabatea - le lettere tendono a disporsi su una linea orizzontale di base, con cui la parte inferiore di alcune lettere viene a coincidere. In realtà nella scrittura araba l'allineamento delle lettere su una linea di base è fenomeno caratteristico piuttosto di testi a carattere magico, su amuleti e sigilli (Grohmann, 1971, tav. III, 3-4), e di e. di origine occidentale (Maghreb). L'uso di disporre la scrittura su righe incise sarebbe penetrato piuttosto tardi in ambito epigrafico, a imitazione, sembra, della tecnica libraria: esso appare documentato in iscrizioni della Siria (secc. 11°-12°), dello Ḥijāz (fine del sec. 15°), e dell'Asia centrale (fino al primo quarto del sec. 16°) ed è frequente nei sigilli, in cui la lunga coda rovesciata della lettera yā' spesso sostituisce la riga incisa (ivi, p. 53, fig. 27bis). L'uso di disporre la scrittura su righe incise si lascia tuttavia ricondurre a epoca molto antica, essendo attestato già in una tavoletta protoelamica di Susa, in Iran (ca. 3000 a.C.; ivi, p. 54, fig. 29), e in iscrizioni antico-sudarabiche dello Yemen. Quest'uso è peraltro ben attestato nelle iscrizioni nabatee e nell'epigrafia greca.Da ricollegarsi a questa tecnica è anche l'uso di disporre la scrittura su righe in rilievo. In ambito islamico il più antico esempio datato è rappresentato dall'iscrizione di costruzione del califfo al-Muqtadir, ad Amida (Siria), datata al 297 a.E./910 (ivi, p. 55, fig. 30). In Siria quest'uso si mantenne fino al sec. 15°, come dimostra una lapide conservata a Damasco (Mus. Nat.). Nello Yemen si trovano esempi di iscrizioni su righe in rilievo dei secc. 14°, 17° e 18°, nell'Africa settentrionale dei secc. 12° e 13°, mentre in Asia centrale uno degli esempi più recenti è datato al 934 a.E./1527-1528 (Jusupov, 1951, fig. 16). Anche la tecnica delle righe in rilievo si riconduce a esempi documentati fin da epoca antica nell'epigrafia semitica.L'esigenza di delimitare lo spazio scritto diede origine, già in tempi relativamente arcaici, all'uso di comprendere la scrittura tra linee di giustificazione (inizialmente solo laterali, ma presto anche su tre e quindi su tutti e quattro i lati) o entro vere e proprie cornici più o meno ornamentali. L'esempio più antico (86 a.E./705) è rappresentato dall'iscrizione della pietra miliare del califfo 'Abd al-Malik b. Marwān di Bāb al-Wādī, in Palestina, in cui il testo è racchiuso tra due linee di giustificazione laterale e separato dal margine inferiore da un ornamento a tralci, che precorre sviluppi successivi (Parigi, Louvre; Grohmann, 1971, tav. IV, 1). Il tipo di delimitazione laterale dello spazio scritto per mezzo di due linee verticali, forse derivato dall'epigrafia greca, si è conservato ancora a lungo in ambito islamico. È interessante notare che nell'Islam esso sembra rappresentare il tipo più antico di rigatura anche in ambito librario. In seguito, tale delimitazione verticale dello spazio scritto è stata completata da due linee orizzontali tracciate sopra e sotto, a formare una cornice quadrangolare. Un esempio antico è rappresentato dalla stele di Qal῾at al-Muḍīq, in Siria (ivi, p. 55, fig. 31). Cornici del genere sono comunque molto diffuse in tutto il mondo islamico. La cornice può essere costituita anche da una doppia linea incisa, come su una lastra tombale spagnola datata al 416 a.E./1025 (Lévi-Provençal, 1931, p. 136, nr. 153, tav. XXXIIIb). Accanto a tali cornici, costituite da una linea semplice o doppia, già l'iscrizione di costruzione del califfo al-Mahdī ad Ascalona, in Israele, datata al 155 a.E./771, presenta una cornice molto ricca, con elementi floreali racchiusi all'interno e all'esterno da una doppia filettatura (Grohmann, 1971, tav. IV, 3). Probabilmente simili cornici artistiche erano già usuali nel primo periodo abbaside (seconda metà del sec. 8°), anche se le testimonianze superstiti sono alquanto più tarde. Uno dei motivi più diffusi in tali cornici, soprattutto nelle lastre tombali egiziane, è costituito da una serie di elementi ondulati, a treccia (c.d. cancorrente; Grassi, 1992), completato eventualmente da punti incastrati tra le ondulazioni. Già una lapide tombale del 200 a.E./815-816 (Cairo, Mus. of Islamic Art) testimonia l'uso di tale motivo a treccia, senza i punti, su tre lati, i due laterali e quello superiore (Wiet, Hawary, Rached, 1932-1942, I, nr. 35, tav. XI). Questo tipo di cornice è ampiamente documentato per tutto il 9° secolo. Una variante di esso è rappresentata da cornici che hanno come delimitazione laterale dello spazio scritto il motivo a treccia e come delimitazione superiore un tralcio di palmette, eventualmente compreso entro due linee parallele, come in una e. egiziana del 199 a.E./815 (ivi, nr. 29, tav. X). Una lapide tombale, sempre al Cairo (Mus. of Islamic Art), datata al 217 a.E./832, ha solo su tre lati la cornice a elementi ondulati, con i punti tra le ondulazioni (Wiet, Hawary, Rached, 1932-1942, I, nr. 136, tav. XXVIII). Di un anno successiva (218 a.E./833) è una lapide con lo stesso tipo di cornice ondulata, senza i punti, su tutti e quattro i lati, accompagnata da un semplice inquadramento lineare all'interno (Miles, 1957, pp. 215-216, tav. I, fig. 1).Già dall'inizio del sec. 9°, accanto alla cornice a elementi ondulati, era in uso un incorniciamento con tralci di palmette, derivato sicuramente da quella. Nella prima metà del sec. 9° i tralci di palmette servivano come giustificazione laterale, come in una e. del Cairo del 243 a.E./857 (Wiet, Hawary, Rached, 1932-1942, II, nr. 464, tav. XI), mentre nella seconda metà del secolo esse chiudevano superiormente lo spazio scritto, delimitato lateralmente in vario modo, come in una e. del 255 a.E./869 (ivi, III, nr. 891, tav. XX). Ancora tra le cornici a motivi floreali è da menzionare quella con tralci di foglie a cinque elementi, che in una lapide del 224 a.E./839 delimita superiormente e ai due lati lo spazio scritto (ivi, I, nr. 199, tav. XXXVI). In una lastra tombale, datata 256 a.E./870, una serie di foglioline lanceolate in rilievo disposte a zig-zag serve come delimitazione laterale dello spazio scritto, concluso superiormente da tralci di palmette (ivi, III, nr. 944, tav. XXX). Una cornice floreale particolarmente artistica è offerta da un'iscrizione in cufico fiorito su una lastra tombale del Cairo, datata 243 a.E./858, nella quale è anche menzionato, eccezionalmente, il nome dello scalpellino Mubārak al-Makkī (Grohmann, 1971, tav. V, 2). Anche se meno frequentemente, vengono inoltre rappresentate cornici a motivi geometrici. Una pietra tombale, sempre al Cairo (Mus. of Islamic Art), del 243 a.E./858, presenta superiormente e ai due lati della scrittura una banda a zig-zag racchiusa entro due linee parallele (Wiet, Hawary, Rached, 1932-1942, II, nr. 485, tav. XV).Uno studio analitico dei diversi motivi ornamentali usati particolarmente nelle lapidi tombali del Cairo per delimitare il campo scritto è stato fornito da Strzygowski (1911): il motivo a treccia o a elementi ondulati, con e senza punti (Strzygowski, 1911, pp. 309-311, fig. 5); il tralcio con palmette o semi-palmette (ivi, pp. 312-315, figg. 6-16), con semi-palmette disposte secondo linee ondulate (ivi, pp. 316-317, figg. 20-22), con semi-palmette doppie in linea ondulata (ivi, pp. 317-318, figg. 23-24); gli ornamenti di tipo geometrico, come stelle e rosette, rombi e zig-zag (ivi, pp. 319-320, figg. 27-29). Quest'ultima tipologia è applicabile anche a e. monumentali, come nella moschea di al-Aqmar al Cairo.Quanto alla forma della cornice, molto credito ha goduto la teoria di un influsso del modello della tabula ansata romana nell'epigrafia islamica. Già Karabacek (1915) aveva avanzato tale teoria, a proposito della forma delle lastre tombali egiziane del sec. 9°; fu soprattutto Herzfeld (1916) che sviluppò la tesi dell'importanza della tabula ansata per ciò che concerne l'aspetto formale dell'epigrafia araba. Le lastre tombali del Cairo ricordano, per la forma della cornice e per la funzione cui erano adibite, le tavolette lignee che anticamente venivano appese al collo delle mummie, recanti una sorta di manico (ansa) in alto, con un foro attraverso cui passava lo spago (Grohmann, 1971, tav. VII, 2). Herzfeld ricondusse i motivi ornamentali ricorrenti nell'epigrafia islamica al modello della tabula ansata, fornendo anche una terminologia specifica per riferirsi a essi. Tale teoria ha goduto di ampio seguito ed è stata anche estesa, successivamente, all'ambito dello studio del libro manoscritto. Grohmann (1971, pp. 66-68) ha però precisato che, accanto all'innegabile influsso della tabula ansata romana, anche altri modelli tardoantichi, fondendosi con il precedente, hanno avuto un ruolo importante nell'epigrafia islamica: in particolare quello delle lapidi tombali greche, con timpano e acroteri laterali (ivi, tav. VIII, 2).Nel mondo islamico la forma più comune di e. rinvia alla tabula ansata verticale con manico in alto. La forma più semplice di manico è già attestata in una lastra tombale al Cairo (Mus. of Islamic Art), datata 191 a.E./807, in cui l'ansa triangolare poggia sulla linea orizzontale che chiude superiormente lo spazio iscritto (Grohmann, 1971, tav. VII, 3). La forma dell'ansa viene in seguito stilizzata in forma di palmetta (ivi, p. 61, fig. 32) e anche - particolarmente in Egitto, Arabia e Africa orientale nei secc. 10°-14° - in forma di arco a tutto sesto. Tuttavia l'ansa in forma di arco a sesto acuto sembra aver conosciuto la massima diffusione, a partire dall'Egitto e di lì nel resto del mondo musulmano (ivi, p. 63, fig. 33), senza però soppiantare del tutto l'ansa a tutto sesto. Anche la forma più semplice di ansa sembra essere rimasta in uso ancora a lungo.La tabula ansata di formato orizzontale, con i manici ai due lati della tavola, appare di uso più raro, ma non è sconosciuta al mondo islamico. Il più antico esempio di essa è costituita da un'iscrizione proveniente dalla regione del Caucaso, datata 195 a.E./811 (ivi, fig. 36). Altri esempi provengono dalla Siria e dall'Egitto. Le ansae della tavola di formato orizzontale hanno subìto uno sviluppo analogo a quello già descritto per quella di formato verticale.
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