EPIKTETOS (᾿Επίκτητος)
Ceramografo attico, operante entro l'ultimo venticinquennio del VI sec. a. C. La sua cronologia è da ritenersi fissata con una certa sicurezza anche in base a ragioni puramente esterne, quali le acclamazioni a Ipparco che compaiono abbastanza frequentemente nelle sue opere più mature e che sono evidentemente da datare prima della caduta dei Tiranni nel 510.
E. firma come pittore una trentina di coppe e piatti su cui appaiono come collaboratori i più illustri tra i capi-officina dell'epoca, Hischylos, Nikosthenes, Andokides, Pamphaios, Python e Pistoxenos. Un piatto frammentario dell'Acropoli (n. 6) porta forse una sua doppia firma come pittore e come ceramista. Già questi fatti puramente esteriori come l'abbondanza di opere firmate - entro certi limiti una firma sembra equivalere a una garanzia dell'eccellenza almeno tecnica di un'opera - e il suo aver collaborato con i più illustri vasai del tempo, sono chiare indicazioni dell'eccezionale livello dell'artista. Si tratta infatti non solo della personalità centrale nella produzione di coppe durante la prima generazione di pittori a figure rosse: ma anche di un pittore che ha saputo dare immagini così terse e semplici e di valore universale che sembrano superare i limiti della pittura vascolare. La sua opera consiste principalmente di coppe e di piatti, con alcuni vasi di media grandezza quali kàntharoi e sköphoi e un solo eccezionale cratere a calice in cui la firma del pittore è unita a quella di Andokides.
L'opera di E. si affianca a quella di Oltos in un singolare parallelismo che implica non soltanto una contemporaneità, ma una quasi continua interdipendenza non tanto nel peculiare linguaggio figurativo dei due artisti, quanto piuttosto nelle esperienze tecniche della costituzione e della sintassi decorativa delle coppe a figure rosse. Stando ai dati in nostro possesso, è a uno di questi due artisti che si deve l'aver fissato i termini e le fasi di sviluppo che hanno portato dalla coppa bilingue (a figure nere e a figure rosse) a occhioni, alla coppa normale a figure rosse, con ampio tondo interno e pareti esterne completamente dipinte. Anche senza formulare così precisamente la questione, W. Kraiker vede in E. la personalità dominante e centrale, partendo dalla dichiarata autorità delle così numerose firme ufficiali - mentre così rare sono le firme di Oltos - e dal fatto che le più antiche opere di E. sono almeno contemporanee alle più antiche di Oltos. Al momento attuale la situazione sarebbe da capovolgere per non pochi studiosi, visto il crescente favore che incontra il dinamico e vitalissimo Oltos. In realtà un tale singolare parallelismo è da intendere nel senso che E. rimane la personalità superiore, il pittore in senso libero e assoluto, mentre Oltos non si distacca mai dai modi, dai limiti spaziali e dall'equilibrio formale del vaso che egli decora. La ricchezza e varietà di esperienze rappresentate dalle più che cento coppe assegnate ad Oltos, si esaurisce infatti in problemi di ordine tecnico. Così l'evoluzione formale della coppa, la funzione precisa e variata assegnata ai vari elementi costitutivi della decorazione, quali gli occhioni, le palmette a ventaglio o a lobi separati, lo sviluppo delle figurazioni sui lati che va da una figura isolata, piazzata come un accento tra gli occhi, a un gruppo di figure, e poi a un'intera fascia figurata che copre la parete del vaso. Infatti di questo ordine l'apporto di Oltos appare sempre fervido di soluzioni, di possibilità esplorative, mentre la partecipazione di E. si direbbe più distaccata e di riflesso. Egli era in realtà troppo pittore per contentarsi di ricercare sempre nuovi equilibri tra modesti elementi decorativi: quello che a lui interessava era unicamente l'impiego di un campo piano e ben circoscritto. E a questo proposito sembra estremamente significativo il fatto della sua straordinaria predilezione per una forma in sé stessa scialba e poco promettente quale il piatto: forma del resto che è rimasta legata a lui sino al punto da esser quasi completamente dimenticata in appresso. E. però si presta di buon grado a decorare qualsiasi tipo di vaso: e in particolare nelle sue opere più mature, le coppe, in cui la figurazione si sviluppa sull'intera parete, le sue composizioni si sviluppano bene articolate e saldamente connesse. Ma la sua supremazia è nella creazione di sottili, calcolatissime armonie nel tondo interno: quasi sempre prodigi di supremo equilibrio e di sconcertante semplicità. I suoi mezzi espressivi sono infatti dei più semplici, modesti e scoperti: un segno limpido e puro e una miracolosa sensibilità per gli spazî, i pieni e i vuoti, un calcolatissimo equilibrio che ha la sicurezza e la felicità di una improvvisazione. E non si interessa particolarmente al problema della conquista del corpo umano, chè anzi limita al massimo le notazioni interne e tutte quelle indicazioni secondarie che possono compromettere l'unità della struttura e la fluidità della linea: ugualmente i suoi panneggi, se pure meno aridi di quelli di Oltos, sono in realtà spogli e semplificati. Persino è assente in lui quell'interesse per il colore che anche ad Oltos era derivato dal Pittore di Andokides: interesse che si rivela specialmente nel variare le vesti con motivi decorativi più fitti o più radi in modo da chiarire e contrastare i volumi. E neppure il miracoloso equilibrio di E. è spiegabile con l'impiego di schemi figurativi particolarmente adatti a un tondo, come è il caso per il Pittore di Panaitios e di altri: che se nelle opere più mature egli impiega con una certa frequenza figure ripiegate e come ruotanti secondo uno schema che, in opere come il Minotauro della còppa Acropoli n. 6o, non ha nulla da invidiare per elasticità compressa e travolgente energia ai tondi del, Pittore di Panaitios stesso, la stessa sostenuta armonia egli realizza mediante le più varie e inattese soluzioni. Figure stanti come il komastès a figure nere della coppa Berlino 2100, due quiete figure affrontate quali l'atleta e il trainer del piatto del Louvre G 7, o il Dioniso e satiro del perduto vaso Buto da Civitavecchia, vengono a disporsi nello spazio sempre secondo una miracolosa, sospesa armonia. A un certo momento il pittore sembra affascinato dal problema del contrappunto, come piazzare una figura contro l'altra: così il cavaliere contro il cavallo (Londra E 35 ed E 136), il giovanetto che striglia il cavallo (Heidelberg 17 - Villa Giulia), i guerrieri che combattono in coppia, quasi parallelamente addoppiati o addossati a contrasto (Palermo 654, Firenze), o il supremo ondulante accordo del flautista e del komastès ripiegato nel piatto di Londra E 137.
Il mondo figurativo di E. appare di un'estrema varietà e tolleranza: gli dèi, i miti eroici, la vita atletica e le figure di genere vi hanno pieno diritto di cittadinanza. Estremamente semplicistica suona quindi l'opposizione enunciata da W. Klein (Euphronios, 15) e raccolta da W. Kraiker tra il mondo atletico di Oltos e i danzanti ritmi dionisiaci di Epiktetos. Satiri e komastài appaiono in realtà con notevole frequenza nelle figurazioni di E.: ma in essi il fatto più caratteristico appare appunto in ciò che la limpidezza di temperamento dell'artista sembra che abbia domato anche la foga incomposta di queste creature selvagge o esuberanti. Anche i satiri impegnati nei loro consueti giochi e atteggiamenti appaiono insolitamente quieti e limpidi, mentre alla grottesca brutalità di un volto satiresco E. sostituisce quasi senza volerlo una fisionomia intagliata dal profilo segnato e inflesso quale converrebbe a un filosofo o a un intellettuale. Di tal genere è anche il volto che l'artista assegna al dannato Sisifo nella ricostituita coppa Louvre G 16.
Bibl.: W. Klein, Euphronios, Vienna 1886, p. 14 ss.; Furtwängler-Reichhold, Griechische Vasenmalerei, II, Monaco 1905, p. 82 ss.; J. D. Beazley, Red-fig., in Am. Mus., Cambridge 1918, p. 14 ss.; E. Langlotz, Zeitbestimmung, Lipsia 1920, p. 110 ss.; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung, I, Monaco 1923, p. 416 ss.; J. D. Beazley, Attische Vasenmaler des rotfiguren Stils, Tubinga 1925, p. 24 ss.; id., in Papers Br. Sc. Rome, XI, 1929, p. 16, tav. IV (4), n. 23, nota 3; W. Kraiker, in Jahrbuch, XLIX, 1929, p. 141 ss.; J. D. Beazley, Red-fig., Oxford 1942, pp. 44 ss.; G. M. A. Richter, Attic Red-figured Vases, II, New Haven 1946, p. 49 ss.; U. Ciotti, in Arti Figurative, p. 8 ss.; F. Villard, C. V. A., Louvre, X, 1951, p. 6 ss.