epistemologia della psicoanalisi
La ricerca empirica
La conoscenza ottenuta attraverso l’uso dell’osservazione, dell’esperienza o della programmazione e realizzazione di esperimenti è detta empirica. Se queste procedure sono applicate in modo formale, sistematico e programmato allo studio di un problema, è possibile parlare di ricerca empirica. Essa è dunque caratterizzata, metodologicamente, dal ricorso all’evidenza proveniente da dati obiettivi e rigorosi per avallare i risultati e testare le ipotesi. Molto frequentemente si utilizzano metodi statistici standardizzati (statistica inferenziale) per decidere sulla validità di una ipotesi sottoposta a esame, ma ciò non è prescrittivo. È utile ricordare che un’ipotesi, nella ricerca empirica, può essere rifiutata o accettata, ma non ‘provata’. Nel perseguire i propri obiettivi, ovviamente, la ricerca empirica ha bisogno di adoperare concetti e teorie, che sono strumenti della ricerca, ma non la sua finalità, altrimenti si parlerebbe di ricerca concettuale. Altresì, non è possibile portare a compimento una buona ricerca empirica se essa non è basata su una chiara definizione dei concetti utilizzati nella ricerca, ciò che molte volte presuppone una precedente ricerca concettuale accurata. In altre parole, vi è un necessario intreccio di entrambe le modalità di indagine, insieme con la ricerca interdisciplinare. Nella ricerca empirica (come d’altronde in quella concettuale) sono utilizzati metodi sia quantitativi sia qualitativi, anche se i primi sono più frequenti.
Sigmund Freud riteneva che la situazione psicoanalitica stessa fosse il luogo più adeguato dove fare ricerca. Freud difendeva l’idea secondo la quale chi praticava la terapia nel contesto adeguato, e seguendo le regole prescritte dalla tecnica psicoanalitica, automaticamente stava compiendo ricerca clinica. Egli diede il nome di Junktim a quest’unione di terapia e ricerca, che per molto tempo rappresento il modello standard di riferimento. Attualmente questa visione delle cose non è più considerata scontata, ne inscindibile questa unione tra intervento clinico e indagine scientifica. È venuta così a cadere la certezza, da molti un tempo condivisa, di realizzare ricerca per il solo fatto di trattare pazienti, e si sono aperte simultaneamente le porte alla discussione sui modelli di ricerca compatibili con la specificità della disciplina e della pratica psicoanalitica. In buona misura i cambiamenti di paradigma dipendono dalle esigenze di coloro che determinano o condizionano le politiche sanitarie, siano essi i governi o (almeno negli Stati Uniti) le compagnie d’assicurazione, che si regolano in funzione dell’importanza di volta in volta accordata alle dimostrazioni empiriche di efficacia delle terapie. Il modello denominato della evidence based medicine (medicina basata sull’evidenza) si è perciò imposto come uno standard accettato da tutte le discipline terapeutiche.
Sebbene esista un discreto consenso in psicoanalisi sulla necessita di aumentare le opportunità di testare le ipotesi e le teorie rivali, di diminuire la proliferazione teorica, di migliorare il rapporto tra teoria e tecnica e di accrescere l’evidenza non soggettiva, non tutti gli analisti sono d’accordo sulla utilità della ricerca empirica per la disciplina. Alcune obiezioni provengono da quelli secondo i quali la psicoanalisi si deve iscrivere nel regno delle scienze descrittive, seguendo le idee di Aristotele, piuttosto che in quello delle scienze del calcolo, secondo il modello sperimentale. La maggior parte degli psicoanalisti obietta che le esigenze metodologiche della ricerca empirica, tra cui si possono annoverare la randomizzazione (distribuzione casuale del campione), la presenza di almeno un gruppo di controllo, la garanzia dell’anonimato, ecc., creano problemi molto gravi, in quanto possono snaturare o trasformare l’oggetto di ricerca fino a renderlo irriconoscibile; quando addirittura non sollevano problemi etici di difficile soluzione. Ciò è vero per alcune applicazioni e per certe metodologie, ma non è necessariamente vero in generale. All’interno dell’ampio universo della ricerca empirica in psicoanalisi, si possono individuare numerosi sottogruppi di indagine: studi ‘naturalistici’ versus studi più sperimentali, che possono includere anche programmi di simulazione al computer; studi che applicano strumenti qualitativi versus quelli che utilizzano strumenti prevalentemente quantitativi; studi prospettici versus studi retrospettivi; studi di casi singoli (che possono essere a loro volta qualitativi o quantitativi) versus studi statistici di gruppo; studi sullo sviluppo (ricerca infantile, ma non solo); studi quasi sperimentali di ricerca di base nella frontiera tra psicoanalisi e neuroscienze; studi di imaging cerebrale funzionale per analizzare gli effetti della psicoanalisi sul funzionamento del cervello; studi in laboratorio sul sogno; studi di risultati terapeutici (outcome); studi sul processo terapeutico stesso (soggettivi e non soggettivi); studi statistici sulla probabilità di ottenere evidenza utile. È possibile dunque apprezzare una notevole varietà di metodologie e di interessi offerti dalla ricerca empirica. Si tratta, come è naturale, di un campo in costante mutamento, che ha già dato diversi contributi importanti alla psicoanalisi. Relativamente alle obiezioni sollevate contro alcune delle rigidità metodologiche della ricerca empirica, che potrebbero diventare incompatibili con la natura stessa della psicoanalisi e con i suoi parametri clinici più significativi, molti dei suoi più importanti cultori stanno riconsiderando la validità di alcune delle più discusse procedure, come per es. la randomizzazione e il processo di controllo, ecc.