Timoteo, Epistole a
Le due Epistole a T. sono classificate, nel corpus paolino, tra le lettere pastorali. Il destinatario T. è da identificare nel figlio di un'ebrea e di un cristiano, che fu convertito al cristianesimo da s. Paolo e da lui circonciso (Act. Ap. 16,3) e spesso ricordato nelle lettere dell'Apostolo (cfr. I Tim. 3,2 ss., I Corinth. 4,17; 16,10) come suo alunno prediletto e intimo collaboratore nelle missioni evangeliche.
Nella prima Epistola il Santo dà a T. consigli e istruzioni circa il governo della Chiesa e l'elezione dei nuovi ministri.
La seconda Epistola fu scritta durante la seconda prigionia romana di s. Paolo (66 d.C.) che, solo e prossimo alla fine, chiama il suo alunno presso di sé. Dopo un breve esordio (1,1-2) la lettera eleva ringraziamenti a Dio ed espone il legato di missione evangelica che Paolo, nel ricordo del comune passato, lascia a Timoteo (1,3-14). Rammentate le defezioni di molti compagni (1,15-18), Paolo esorta T. (2,1-26) a combattere in nome di Cristo contro le false dottrine, fedele all'insegnamento della fede e ai costumi cristiani, e a resistere, con la sopportazione e con la meditazione delle Scritture, alla perversità dei tempi e alle persecuzioni (3, 1-17). La lettera prosegue con una testimonianza di fede in Dio e in Cristo, con un nuovo invito a proclamare il Vangelo (4, 1-5) e, infine, col testamento spirituale dettato da Paolo nell'imminenza del martirio (" Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi ", 4, 7) e nella certezza del premio finale (" In reliquo reposita est mihi corona iustitiae, quam reddit mihi Dominus in illa die iustus iudex: non solum autem mihi, sed et iis, qui diligunt adventum eius ", 4, 8). Chiudono la lettera le ultime raccomandazioni (4, 9-15), le notizie sul processo (4, 16-18) e il commiato (4, 19-22).
La seconda Epistola a T. è ricordata da D. in Mn II IX 19, a proposito delle vittorie militari romane che, sub iure duelli, testimoniano dell'azione provvidenziale di Dio in favore di Roma, che solo per volere divino legittimamente conseguì coronam orbis totius (v. DUELLO). D., infatti, così prosegue: Vere dicere potuit homo romanus quod quidem Apostolus ‛ ad Timotheum ' " Reposita est michi corona iustitiae "; ‛ reposita ', scilicet in Dei providentia aecterna. Attraverso la citazione di uno dei punti culminanti dell'epistola paolina (II Tim. 4,8), D. istituisce un confronto tra la " corona iustitiae " assegnata da Dio, " iustus iudex ", a Paolo per il suo " bonum certamen ", e la coronam orbis totius ottenuta da Roma mercé le vittorie sui nemici della sua missione provvidenziale e universale. In ambedue i casi ‛ il giudizio di Dio ' appare come una sanzione assunta da Dio ab aeterno, entro il quadro della propria azione provvidenziale nella storia (v. anche PAOLO, santo; SCRITTURA: La Sacra Scrittura).