epiteto
L’epiteto (dal gr. epítheton «aggiunta») è un nome, un aggettivo o una locuzione che si aggiunge a un nome a cui può essere legato da diversi gradi di necessità. Nei testi di retorica è indicato come figura di accumulazione subordinante, con funzioni di tipo determinativo, accessorio o esornativo (Lausberg 1949: 166; Mortara Garavelli 1988: 219-220).
L’epiteto è caratteristico dell’epica classica dove, formando con il nome un’unità metrico-ritmica coesa, favorisce al poeta la memorizzazione e l’esecuzione, soprattutto se improvvisata: per es., il piè veloce Achille (Gondos 1994: 1314). La fissità e la formularità degli epiteti epici tradizionali sono infatti argomenti a sostegno della tesi della trasmissione orale dei testi omerici (Parry 1928).
Nella codificazione grammaticale greca l’epiteto è considerato un aggettivo e come tale, non essendo quest’ultimo ritenuto parte del discorso autonoma, compare sempre come sottocategoria del nome (ónoma epítheton in Dionisio Trace 1883: 34). Le fonti romane attestano diversi tentativi di traduzione, tra cui adiectiuum, appositum, sequens, superpositum, senza che nessuna riesca a sostituire realmente la voce originale o la sua traslitterazione (Negri 2007: 285). In ambito retorico, la natura aggiuntiva dell’epiteto è alla base della distinzione operata da Quintiliano, nella sua Institutio oratoria, rispetto all’antonomasia: mentre quest’ultima può sussistere autonomamente («Colui che ha distrutto Cartagine e Numanzia»), l’epiteto richiede un elemento nominale esplicito («Scipione, colui che ha distrutto Cartagine e Numanzia»; Quintiliano 2001: 225).
L’epiteto può avere funzione determinativa (o restrittiva) o accessoria (o descrittiva). Con funzione determinativa segue in genere il nome, come nei sintagmi uve nere e vino rosso in (1), dove le determinazioni introdotte servono a escludere altre possibili varietà di referenti:
(1) Il resveratrolo, proveniente dalle bucce delle uve nere del vino rosso, sarebbe altresì in grado di inibire l’aggregazione piastrinica, frequente causa di trombosi e di conseguente infarto (Iris Fontanari Martinatti, La vite e il vino nella farmacia di Plinio il Vecchio, Olivone, Arca, 2001, p. 70).
Con funzione accessoria, l’epiteto corrisponde a un complemento attributivo pleonastico (➔ attributo) ed è in genere anteposto al nome. In (2), unito a vari nomi di piante, contribuisce alla descrizione del locus amoenus:
(2) Quivi senza nodo veruno si vede il drittissimo abete, nato a sustinere i pericoli del mare, con più aperti rami la quercia e l’alto frassino e l’amenissimo platano vi si stendono con le loro ombre. Et evi con più breve fronda l’albero di Ercole ornar si soleva, nel cui pedale le misere figliole di Climene furono trasformate. E in un de’ lati si scerne il noderoso castagno, il fronzuto bosso e con puntate foglie lo excelso pino carico di durissimi frutti; ne l’altro lo ombroso faggio, la incorruttibile tiglia e ’l fragile tamarisco, insieme con la orientale palma, dolce e onorato premio de’ vincitori (Jacopo Sannazaro, Arcadia, Prosa I).
Sempre con funzione accessoria l’epiteto può essere posposto se separato da virgole o parentesi, collocandosi in posizione parentetica (Cignetti 2001). È il caso dell’epiteto l’uomo della scienza attribuito da Manzoni al gesuita Martino Delrio in (3):
(3) E, con la scorta principalmente del gran Martino Delrio (l’uomo della scienza), era in grado di discorrere ex professo del maleficio amatorio, del maleficio sonnifero, del maleficio ostile, e dell’infinite specie che, pur troppo, dice ancora l’anonimo, si vedono in pratica alla giornata, di questi tre generi capitali di malìe, con effetti così dolorosi (Alessandro Manzoni, Promessi sposi).
In quanto esito della scelta di alcune tra le proprietà di un referente, l’epiteto deriva da una interpretazione del mondo e come tale contribuisce a definire l’orientamento argomentativo del parlante. Anche quando la funzione è accessoria non sono dunque del tutto assenti effetti retorici, in quanto esso riassume solo le caratteristiche che si vogliono note, escludendo tutte le alternative possibili (Perelman & Olbrechts-Tyteca 1958: 162).
Gli epiteti con valore puramente esornativo (epitheta ornantia) possono essere sia anteposti sia posposti, soprattutto se hanno funzione di emblemi (Mortara Garavelli 1988: 220): ne sono esempi, oltre alla più astuta più veloce Achille, le altre formule omeriche astuto Ulisse, pie’ veloce Achille, magnanimi Achei, Elena ben chiomata, Aurora dalle rosee dita, Atena occhio azzurro.
Come forme di amplificatio retorica, gli epiteti esornativi possono corrispondere all’aggiunta di una caratteristica contestualmente non rilevante: sempre in Omero le navi veloci sono tali anche se ormeggiate e Menelao resta potente nel grido anche quando tace. A uno stesso referente, inoltre, possono essere attribuiti più epiteti esornativi: di Zeus si ricordano gli epiteti olimpio (Zéus Olýmpios, da Olimpia, città sede di giochi dedicati al dio), nemeo (Zéus Némeios, da Nemea, altra città sede di giochi dedicati al dio), di tutti i Greci (Zéus Panellē´nios), etneo (Zéus Aitnâios, «relativo all’Etna», monte sacro al dio), cronide (Zéus Kroníōn, «figlio di Crono»), egioco (Zéus Aigίokhos, «che possiede l’egida»), salvatore (Zéus Sōtē´r).
Non trattandosi di formule esornative ma di caratterizzazioni non pleonastiche, sono invece esclusivi gli epiteti riferiti a nomi propri per ragioni distintive (epitheta necessaria). Tipici di questa classe gli epiteti dei regnanti, in particolare se appartenenti alla stessa dinastia: Carlo Magno, Carlo il Calvo, Carlo il Grosso, Carlo il Semplice.
L’epiteto esornativo può introdurre informazioni già presenti nel significato del nome, unendo al nome una forma aggettivale non apportatrice di nuove conoscenze, come umido vino, bianco latte oppure le celebri fragole rosse del Gelsomino notturno di Pascoli (Ellero 1997: 302):
(4) Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.
Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle
(Giovanni Pascoli, “Il gelsomino notturno”,
in Canti di Castelvecchio, vv. 9-14).
Il nesso di un nome e di un epiteto aggettivale è anche quello che più spesso si cristallizza in forme stereotipate, tanto nella tradizione retorica quanto nella pratica linguistica: il risultato sono sintagmi espressivamente inerti del tipo api operose, notte da lupi o scenario apocalittico (➔ collocazioni). Nessi fissi di nome ed epiteto tendono inoltre a caratterizzare gli epigoni di varie maniere letterarie, come nelle numerose declinazioni del petrarchismo, dove la mano è inevitabilmente bella e bianca (Mortara Garavelli 1988: 221):
(5) O bella e bianca Man, o Man soave
che armata contra me sei volta a torto,
o Man gentil che, lusingando, scorto
a poco, a poco in pena m’hai sí grave
(Giusto de’ Conti, La bella mano XXI, vv. 1-4).
Epiteti esornativi compaiono anche nella lingua non letteraria, dove godono di eccezionale fortuna soprattutto nelle varietà giornalistica, radiofonica e televisiva, spesso sotto forma di antonomasia. Nella cronaca sportiva tali epiteti, contribuendo alla creazione di un tono epico, arricchiscono e rendono più avvincente la narrazione. Tra i più celebri quelli dei ciclisti, su tutti l’airone (o il campionissimo) Fausto Coppi:
(6) Coppi, l’airone dei pedali, era un atleta completo e capace di raggiungere il top su ogni terreno: passista e scalatore di altissimo livello, era capace di recitare un ruolo di primo piano anche in volata
(«Il Mattino» 1° gennaio 2010).
Si ricordano inoltre gli epiteti di Costante Girardengo (l’omino di Novi), Gino Bartali (uomo di ferro, il Pio), Eddy Merckx (cannibale) e Marco Pantani (pirata); dei calciatori Gianni Rivera (abatino), Gigi Riva (rombo di tuono) e Michel Platini (le roi); dello sciatore Alberto Tomba (la bomba); del ginnasta olimpionico Juri Chechi (signore degli anelli). Epiteti fortunati appartengono inoltre agli ambiti della musica, sia colta (Giuseppe Verdi, il cigno di Busseto; Maria Callas, la divina) sia popolare (Ray Charles, the genius; Caterina Caselli, casco d’oro; Adriano Celentano, il molleggiato), della politica (Giulio Andreotti, il divo; Palmiro Togliatti, il migliore; Gianni Agnelli, l’avvocato; Silvio Berlusconi, il cavaliere) e del cinema (Vittorio Gassman, il mattatore).
Dionisio Trace (1883), Ars grammatica, edidit G. Uhlig, in Grammatici Graeci recogniti et apparatu critico instructi, Leipzig, B.G. Teubner, 1867-1910, 10 voll., vol. 1º/1.
Quintiliano, Marco Fabio (2001), Institutio oratoria, a cura di A. Pennacini, Torino, Einaudi, 2 voll.
Bisello, Linda (1994), Epiteto, in Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, diretto da G.L. Beccaria, Torino, Einaudi, (2a ed. 2004).
Cignetti, Luca (2001), La [pro]posizione parentetica: criteri di riconoscimento e proprietà retorico-testuali, «Studi di grammatica italiana» 20, pp. 69-125.
Ellero, Maria Pia (1997), Introduzione alla retorica, Milano, Sansoni.
Gondos, Lisa (1994), Epitheton, in Historisches Wörterbuch der Rhetorik, hrsg. von G. Kalivoda et al., Tübingen, Niemeyer, 9 voll., vol. 2°, pp. 1314-1316.
Lausberg, Heinrich (1949), Elemente der literarischen Rhetorik. Eine Einführung für Studierende der romanischen Philologie, München, Max Hueber Verlag (trad. it. Elementi di retorica, Bologna, il Mulino, 1969).
Mortara Garavelli, Bice (1988), Manuale di retorica, Milano, Bompiani (10a ed. 1997).
Negri, Monica (2007), ‘Adiectiuum’ ed ‘Epitheton’ nella terminologia della grammatica e dell’esegesi letteraria latina. I problemi di un doppione, in Bilinguisme et terminologie grammaticale gréco-latine, édité par L. Basset et al., Paris - Leuven - Dudley (Mass.), Peeters, pp. 285-302.
Parry, Mylman (1928), L’épithète traditionnelle dans Homère. Essai sur un problème de style homérique, Paris, Les Belles Lettres.
Perelman, Chaim & Olbrechts-Tyteca, Lucie (1958), Traité de l’argumentation. La nouvelle rhétorique, Paris, Presses Universitaires de France (trad. it. Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Torino, Einaudi, 1966).