Epitteto Filosofo (Ierapoli di Frigia 50 d.C. ca
Nicopoli, Epiro, 125/130 d.C. ca.). Nacque schiavo di Epafrodito, liberto di Nerone; emancipato, fu a Roma scolaro dello stoico Musonio Rufo e quindi insegnò egli stesso filosofia stoica. Bandito da Roma da Domiziano, si stabilì a Nicopoli, dove fondò una scuola che fu molto frequentata. Non scrisse nulla, ma il discepolo Arriano di Nicomedia trascrisse e pubblicò le sue lezioni sotto il titolo di Diatribe o Dissertazioni (Διατριβαί), e ne riassunse le massime più importanti nel Manuale (᾿Εγχειρίδιον). È celebre, del Manuale, la traduzione di Leopardi. Nelle opere E. si mostra tipico rappresentante dell’ultima stoa, la stoa imperiale, di cui costituisce, insieme a Seneca, il massimo rappresentante. Infatti a E. interessa, più che il fondamento teorico della virtù, la pratica della virtù medesima. In tale prospettiva egli assimila e rielabora, accanto a temi stoici, anche elementi socratici, soprattutto in merito all’intellettualismo etico, che comporta la negazione del male come scelta consapevole (Dissertazioni, I, 18; I, 28; II, 26), esaltando inoltre in Diogene il cinico la figura ideale del saggio. Socrate incarna il καλὸς καὶ ἀγαϑός stoico; il saggio che attribuisce il giusto valore alle cose e che accorda in modo perfetto i suoi atti (pubblici e privati) al giusto. Tuttavia nel richiamo all’ascesi che caratterizza il pensiero di E., vi è un superamento dell’intellettualismo stoico in favore di un atteggiamento religioso. La concezione del fondamento teorico della virtù, ridotta all’essenziale, si attua nella distinzione delle cose in due categorie: quelle che sono in nostro potere (τὰ ἐφ᾿ἡμῖν), la ragione, la volontà, il desiderio, ecc., e quelle che non lo sono (τὰ οὐκ ἐφ᾿ἡμῖν), ricchezze, onori, il nostro corpo, ecc. «Le cose sono di due maniere; alcune in nostro potere, altre no. […] Le cose poste in nostro potere sono di natura libere, non possono essere impedite né ostacolate. Quelle altre sono deboli, schiave, sottoposte a ricevere impedimento, e infine sono cose di altri» (Manuale, I). L’uomo saggio è felice, libero e virtuoso se desidera solo ciò di cui può disporre, rinunciando a occuparsi delle cose materiali. In tale prospettiva è esemplare la figura di Diogene: «Diogene era libero. […] Quanto aveva si poteva sciogliere agevolmente, quanto aveva era semplicemente accostato a lui. Se ti fossi spinto contro i suoi beni, te li avrebbe lasciati piuttosto che venirti dietro per essi: […] se contro tutto il miserabile corpo, tutto il suo miserabile corpo: lo stesso per i familiari, per gli amici, per la patria. Perché sapeva donde li aveva e da chi e a quali condizioni li aveva presi» (Dissertazioni, IV, 1). La compresenza di motivi cinici e motivi stoici, i primi svalutatori del mondo e della società, i secondi affermanti invece la loro razionalità, rende significativamente complessa e tormentata la riflessione di Epitteto.