epoche
Traslitt. del gr. ἐποχή. Termine che indica la «sospensione del giudizio» mediante la quale ci si astiene dall’affermare o dal negare, evitando di assumere come date realtà la cui conoscenza è inattingibile. Nozione di origine scettica, l’e. è definita da Sesto Empirico negli Schizzi pirroniani come atteggiamento che consente di conseguire l’imperturbabilità (ἀταραξία): «‘Sospensione del giudizi’ è un atteggiamento della mente per cui né rifiutiamo né accettiamo» (I, 10). Sesto individua dieci modi mediante i quali conseguire l’e. «per mezzo della contrapposizione dei fatti», ossia opponendo «dati del senso a dati del senso, oppure dati dell’intelletto a dati dell’intelletto» (I, 31). Quando, nel 1562 e nel 1569, i testi sestiani vengono tradotti e pubblicati, la nozione scettica di e., sconosciuta nel Medioevo, torna a circolare. Montaigne, fa incidere come motto, nella sua biblioteca, la formula ἐπέχω («sospendo») e Charron, suo discepolo, che dà impianto sistematico ai materiali derivati dai Saggi, in De la Sagesse (1601) scrive: «Perché non sarà permesso di confessare candidamente che si ignora, poiché si ignora, e mantenere in sospeso e sopportare con tolleranza ciò di cui non siamo sicuri, contro cui esistono molte opposizioni e ragioni?» (II, 2). Il termine è attestato nel Lexicon philosophicum graecum di R. Goclenius (1615), dove, dopo l’ampia definizione del significato astronomico, l’e. è definita, in quanto ‘assioma’ degli scettici pirroniani, come: «affezione che, mediante il dubitare, inibisce il corso della mente […] ossia sentenza sospesa, cioè che non definisce niente. […] Il non dire né asseverare nulla a proposito di qualcosa». Il filosofo e teologo Mersenne, nelle Quaestiones in Genesim (1623), riassume l’‘empia’ dottrina scettica che: «esitante dubita di tutto […] per giungere all’ἐποχή, la ritenzione dell’assenso, e all’ἀταραξία, lo svuotarsi dal perturbamento»; ancor più deciso l’attacco in La vérité des sciences (1625), opera consacrata alla confutazione dello scetticismo, ove la precedente definizione di e. è ripresa ed estesa all’insieme della dottrina scettica in cui: «non vi è nessun termine […] che non significhi una perfetta sospensione del nostro giudizio». La Mothe le Vayer dedica alla filosofia scettica due dei Dialogues faits à l’imitation des anciens che pubblica anonimi fra 1630 e 1631, Le banquet sceptique e De la philosophie sceptique, dove attesta come acquisito il calco francese epoché, mentre gli altri termini tecnici del pirronismo sono ancora riportati nell’originale forma greca. Gassendi, che nel 1624 pubblica le Animadversiones contro la filosofia degli aristotelici, in cui esalta lo scetticismo, dedica all’esposizione dei modi dell’e. un capitolo della Logica, nel Syntagma philosophicum, pubblicato per la prima volta nell’ed. postuma del 1658. È nella conclusione della prima meditazione di Descartes, però, che l’e. compare, implicitamente, nel livello più alto e critico della metafisica, quello del dubbio iperbolico, seppure l’intento cartesiano è di superarla. Il richiamo all’e., per quanto attenuato nella versione latina (1641), diventa esplicito nella traduzione francese approvata da Descartes (1647): «se […] non è in mio potere di pervenire alla conoscenza di verità alcuna, almeno è in mio potere di sospendere il mio giudizio». Nella fenomenologia di Husserl la nozione di e. viene rimodulata per indicare il «mettere fra parentesi» il mondo mediante la sospensione del giudizio di esistenza delle cose. Senza negare il mondo e senza revocarlo in dubbio ci si vieta «ogni giudizio sull’esistente spazio-temporale» (Idee per una fenomenologia pura, 1913, I, § 32). Nelle Meditazioni cartesiane, pronunciate in Sorbona nel febbr. 1929 e pubblicate in lingua francese (1931) e poi in ed. postuma tedesca (1950), il concetto di e. fenomenologica viene ulteriormente precisato in riferimento alla metafisica cartesiana come: «porre fuori valore ogni presa di posizione di fronte al mondo oggettivo dato e, in special modo, ogni presa di posizione quanto all’esistenza (concernente l’esistenza, l’apparenza, l’esser-possibile, l’esser-presunto, l’esser probabile e simili)» (§ 8).