EPODO (ἐπωδός, epüdus)
Significa propriamente "canto aggiunto" e indica in genere quel verso o colon che serve di clausola a un periodo metrico (detto periodo epodico). Più specificamente si chiama epodo il secondo verso e, per estensione, tutta la strofe distica composta, p. es., di un trimetro più un dimetro giambico. È questa la forma più frequente di δίστιχον ἐπῳδικόν, di cui si ritiene inventore Archiloco, e che Orazio imitò nel suo libro di Giambi, dai grammatici posteriori chiamato appunto di Epodi. Archiloco stesso usò altre forme di composizioni epodiche (p. es. dattilo, itifallico più epodo giambico). Nella triade strofica del canto corale si chiamava epodo il terzo periodo, dopo la strofe e l'antistrofe, il quale doveva essere originariamente cantato dai due semicori insieme. La composizione dell'epodo, entro certi limiti, era libera rispetto a quella della strofe e dell'antistrofe; ma rigorosa era naturalmente la rispondenza tra epodo ed epodo, quando il coro era costituito da più di una triade. Si chiamava anche epodo qualunque verso che in uno stesso componimento venisse ripetuto a mo' di ritornello, p. es. in Teocrito (Idyll., I).
Bibl.: F. Zambaldi, Metrica greca e latina, Torino 1882; W. Christ, Metrik der Griechen und Römer, 2ª ed., Lipsia 1879, p. 651 segg.