EPONIMO (greco ἐπώνυμος)
È chi dà il nome a qualche cosa. Nell'antica Grecia, e segnatamente in Attica, ogni città, ogni demo, ogni ϕυλή, ogni fratria, ogni gente (γένος), ravvisa il proprio eponimo in un eroe, a cui la città, il demo, ecc., presta uno speciale culto, dedicandogli un suo altare e celebrando in suo onore una festa; parte essenziale di questa era spesso un banchetto in comune (ϕυλετικά, δημοτικά, ϕρατριακά δεῖπνα; Athen., V, 2). In questo culto è il vincolo che tiene stretti gli appartenenti, i quali tutti si vantano di discendere dall'eroe eponimo. Con Dracone la legge rese obbligatorio il culto di queste divinità indigene (ἐγχώριοι ϑεοί) protettrici del paese. In particolare sappiamo che ciascuna delle dieci tribù ateniesi aveva innalzato al suo eponimo una statua a sud dell'ἀγορά (v. agorà). L'eroe eponimo di ogni demo aveva un tempio con proprî sacerdoti scelti dai demoti, che contribuivano alle spese per le relative cerimonie. Aristotele ('Αϑ. πολ., 21) dice che i demi ebbero nome o da una località o da un fondatore: questo è l'eroe preso come eponimo, al quale si attribuiva il merito di aver fondato il demo e si dava il titolo di protettore.
Di simile identità tra eponimo e fondatore, o almeno tra eponimo e protettore, esempio evidente ci è offerto anche dalle città. Spesso una città prendeva nome da una divinità maggiore, sotto la cui protezione era posta: Atene considerava come eponima e protettrice Atena (nota in proposito è la leggenda della gara tra Atena e Posidone); Dionisopoli traeva nome da Dioniso (Dittenberger, Syll., 3ª ed., n. 762, 10), Posidonia (la romana Paestum) dal dio del mare. Altre volte si creava una divinità inferiore, il cui nome era in realtà ricavato da quello della città; mentre questo veniva spiegato come derivante dal primo (a Tenedo, Tenes; a Thera, Theras, ecc.). Il dio protettore della città era come il dio protettore della famiglia: i cittadini gli prestavano un culto geloso, rigorosamente chiuso agli stranieri. Il fondatore poteva anche non essere eponimo (Cadmo a Tebe, Batto a Cirene, ecc.).
In Italia esempio insigne di eroe eponimo divinizzato, il cui nome è ricavato da quello della città, è Romolo, il fondatore di Roma. Così la leggenda di Enea spiega varî altri nomi di località italiane: Gaeta ha per eponima la nutrice di Enea, il Capo Palinuro un compagno di Enea. Così la leggenda omerica, trasportata in Italia, ha localizzato Circe presso il M. Circello, spiegando questo nome come derivato da quello della famosa maga.
E anche ogni γένος greco, come ogni gens romana, adora un suo capostipite divinizzato, un eroe eponimo; in Grecia gli Egidî Egeo, i Battiadi Batto, gli Eumolpidi Eumolpo, ecc., a Roma i Claudî Clauso, i Giulî Giulo (dal nome della gens Iulia si ricavò un secondo nome per Ascanio). Così Virgilio ad es. immagina che la gens Sergia tragga il suo nome da Sergesto, compagno di Enea.
La Grecia ebbe, sul finire dell'età ionica, tutta una letteratura, di cui si hanno soltanto miseri resti, e che contribuì a diffondere simili tradizioni: sono le cosiddette γενεαλογίαι (Ecateo, ecc.). In Roma, i carmina convivalia, in età preletteraria, collegavano famiglie illustri con qualche eroe. Questa letteratura fu, come l'epica per le città e i popoli, glorificatrice delle origini d'illustri famiglie.
Aristotele ('Αϑ. πολ., 53) dice che per conoscere se coloro che dovevano essere iscritti ira i dieteti (v.) avevano la prescritta età di 60 anni, si doveva ricercare se fosssero trascorsi 42 anni dall'iscrizione tra gli efebi, la quale, secondo una recente dottrina (v. Paoli, Studi di diritto attico, p. 259 segg.), si faceva a 18 anni presunti, non potendosi altrimenti accertare l'età di un cittadino. L'età dell'iscrivendo dieteta, aggiunge Aristotele, si vede dagli arconti e dagli eponimi; di questi ultimi, 10 sono quelli delle tribù e 42 quelli per le età. Che cosa siano questi 42 eponimi non è chiaro; ma pare da escludere che si tratti degli arconti (v. sotto), sia perché questi sono indicati come qualcosa di diverso dagli eponimi, sia perché al tempo di Aristotele l'arconte non era chiamato ancora eponimo: certo è che dal nome di ciascuno di essi s'indicava un anno di leva, cosicché, risalendo per 42 eponimi, il 42° (τελευταῖος τῶν ἐπωνύμων) doveva corrispondere all'anno d'iscrizione tra gli efebi. Gli eponimi della tribù (difficilmente identificabili con gli eroi di cui si è discorso sopra) dovevano servire per indicare in quale tribù il cittadino aveva prestato servizio militare. La serie degli arconti e degli eponimi, a quanto aggiunge Aristotele (l. c.), serviva anche per stabilire i limiti di età entro i quali i cittadini erano obbligati a partecipare a una data spedizione. Tanto in Grecia quanto a Roma vi fu l'uso, ben noto, di datare documenti e avvenimenti dal nome d'un magistrato (annuale) in carica (magistrato eponimo dell'anno): l'arconte in Atene, i consoli in Roma.
Dei nove arconti ateniesi, il primo, detto semplicemente ἄρχων (più tardi, e cioè dall'età imperiale, ἄρχων ἐπώνυμος: sulle sue attribuzioni v. arconte) era quello che dava il nome all'anno. Una lista di arconti si possiede per gli anni dal 496 al 292. Arconti eponimi fuori d'Atene si trovano per es. a Beroe (Tessaglia), Delo, Delfi, Efeso, ecc. A Sparta eponimo è il presidente degli efori: in Acaia, in Acarnania, a Trezene troviamo strateghi eponimi; altrove, in Etolia, in Tessaglia, in Asia Minore (es. Mileto), uno στεϕανηϕόρος (sacerdote del dio protettore della città) dà il nome all'anno: così anche a Istropoli (Tracia) il sacerdote di Apollo (Dittenberger, Syll., 3ª ed., n. 708, 20), a Priene il sacerdote di Zeus Olimpio, ad Argo la sacerdotessa di Era, e così via. Infine si trovano dei pritani, eponimi dell'anno, a Rodi, Chio, ecc.
A Roma l'eponimia spetta di regola ai consoli: la formula normale è, per es., L. Aemilio Paulo, M. Terentio Varrone consulibus, ovvero, senza il prenome, Paulo et Varrone consulibus (abbreviato coss.). Sotto la repubblica, se ai consoli si sostituiscono i tribuni militum consulari potestate, l'eponimia passa a questi. Eccezionalmente si aggiunge al nome dei consoli quello del praetor urbanus e del praetor peregrinus. L'eponimia consolare dura di regola sotto l'Impero: non è d'uso ufficiale, benché testimoniata, l'indicazione dell'anno di regno dell'imperatore con la formula anno Caesaris Augusti seguita dal numero d'ordine; l'anno di regno si desume piuttosto, nella datazione, attraverso il numero d'ordine della tribunicia potestas. Se uno dei due consoli è l'imperatore, s'indica solo l'altro. Se un console viene surrogato durante l'anno, conserva l'eponimia, e questa non passa al consul suffectus (eccezionalmente si indica tanto il console ordinario quanto il suffectus). Perde l'eponimia invece chi è sottoposto alla damnatio memoriae. Non mancano esempî, specialmente in documenti papirologici, d'indicazione della data dal nome dei consoli precedenti, con la formula anno post consulatum illius illius (μετὰ τὴν ὑπατείαν τοῦ δεῖνα καὶ τοῦ δεῖνα). Ciò quando in qualche luogo non si conoscono ancora i nomi dei nuovi consoli o quando essi non sono riconosciuti in ambo le parti dell'Impero (per l'estendersi di questa designazione del post consulatum v. fasti: Fasti consolari). Ma nelle provincie si ricorre piuttosto al nome del governatore, del proconsole, del preside; nelle colonie e nei municipî a quelli dell'edile o dei duoviri iure dicundo (con la formula anno duovirorum illius illius).
Infine notiamo un uso, che ci è attestato negli atti degli Arvali, ma si può estendere ai collegi sacerdotali in genere: quello di datare talora le cerimonie celebrate, oltre che coi nomi dei consoli, con quelli del magister collegii e del promagister in carica.
Bibl.: J. Oehler, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, col. 244; Fustel de Coulanges, La città antica, trad. G. Perrotta, Firenze 1924, pp. 125-6; 149-150; 180-181; 190-191; 198 segg.; Daremberg e Saglio, s. v. Eponymi, II, 735-36, Heros, III, 139 segg.; F. G. Welcker, Griech. Götterlehre, III, Gottinga 1862, p. ;262 e 271 segg.; J. Töpffer, Attische Genealogie, Berlino 1889; Busolt-Swoboda, Griech. Staatskunde, I, Monaco 1920, pag. 499 segg. Per l'eponimia romana v. fasti consolari.