equabile
L'aggettivo verbale, dal latino aequare (" rendere uguale ") è ‛ hapax ' del linguaggio scolastico di D. nella prosa del Convivio: usato comparativamente, detiene il significato originale di " paragonabile ", " che si può agguagliare ", determinato dal suffisso -abile: questa differenza è intra le passioni connaturali e le consuetudinarie, che le consuetudinarie per buona consuetudine del tutto vanno via; però che lo principio loro, cioè la mala consuetudine, per lo suo contrario si corrompe; ma le connaturali, lo principio de le quali è la natura del passionato, tutto che molto per buona consuetudine si facciano lievi, del tutto non se ne vanno quanto al primo movimento, ma vannosene bene del tutto quanto a durazione; però che la consuetudine non è equabile a la natura, ne la quale è lo principio di quelle (Cv III VIII 18).
Dalla citazione dell'intero paragrafo, nell'ambito della trattazione dei vizi innati e dei vizi consuetudinari, risulta manifesta la validità logica della lezione non è equabile (accolta da Busnelli-Vandelli e dalla Simonelli), e arbitraria per contro la Lezione della '21 'n noi è equabile, malgrado l'osservazione tomista nel commento al 1. II dell'Etica (lect. VI) aristotelica cui si richiama D.: " consuetudo in naturam vertitur " (N. 315); lo stesso S. Tommaso precisa infatti che " habitus similitudinem habet naturae, deficit tamen ab ipsa. Et ideo, cum natura rei nullo modo removeatur ab ipsa, habitus difficile removetur " (Sum. theol. I II 53 1 ad 1). Per lo sviluppo di questo motivo etico in chiave teologica, cfr. Pg XVI 73-78 E XVII 49-72. V. anche EGUALE.