EQUILIBRIO (XIV, p. 150)
Equilibrio chimico (p. 151). - L'ipotesi che i sistemi chimici possano essere trattati come sistemi ideali è stata particolarmente fruttuosa, ha costituito la base, davvero semplificatrice, sulla quale le teorie termodinamiche hanno potuto così rigogliosamente svilupparsi. Purtroppo, la pratica insegna che i sistemi ai quali siano perfettamente applicabili i principî termodinamici dedotti per quelli ideali, non costituiscono certo la maggioranza dei casi. Specie in questi ultimi anni si è affermato tutto un ramo della chimica industriale concernente sostanze in fase gassosa ed a pressioni sovente molto alte, e si è venuta così accentuando la necessità di sviluppare in tutta la sua rigorosità la termodinamica dei sistemi reali. Questa parte della termodinamica chimica costituisce in effetti un capitolo organico e completo della chimica fisica, mentre la classica limitazione a sistemi ideali non rappresenta che la trattazione di casi limite per i quali si possa supporre che siano nulli tutti i termini di energia potenziale di natura intermolecolare relativi alle molecole gassose studiate, oppure alle molecole o particelle dei soluti nel caso delle soluzioni.
Ricordiamo che, se un sistema è reale, ad esso sono applicabili tutte le leggi termodinamiche dei miscugli di gas ideali, purché lì dove compaiono le concentrazioni dei singoli gas (che esprimeremo in gr. mol./litro ed indicheremo con ci), ad esse si sostituiscano le attività termodinamiche ai, definite dalla relazione:
dove con γ̅i si è indicato il coefficiente di attività del gas di tipo "i" alle condizioni di temperatura e pressione prescelte.
Così, ad esempio, il potenziale chimico definito dall'espressione μi = ∂F/∂ni (dove F indica l'energia libera a p = costante ed ni il numero di gr. molecole), che per i gas ideali in miscuglio si scrive:
nel miscuglio di gas reali diviene:
Particolarmente utile nei sistemi gassosi reali si è mostrata l'espressione delle quantità termodinamiche in funzione delle "fugacità" (v. in questa App.) dei gas fi, legate alla pressione parziale pi; dei gas nel miscuglio dalla relazione:
che postula l'uguaglianza tra fugacità e pressione parziale del gas, per valori molto bassi di questa. In genere sarà, invece:
e γi; assume la denominazione di "coefficiente di attività" in termini di fugacità.
È utile, per la comprensione di quanto si verrà esponendo, ricordare ancora che tra attività termodinamica, definita dalla [1], e fugacità, definita dalla [5], corre la seguente relazione:
Per un gas reale, per il quale è pi ≠ ci RT, segue, dal confronto della [5] con la [6], che i due coefficienti γi e γ̅i non sono identici, a meno che non ci si riferisca a valori molto bassi della pressione, nel qual caso, tendendo pi; al valore ci; RT ed il gas comportandosi come ideale, i due coefficienti tendono ambedue all'unità.
In termini di fugacità, il potenziale chimico si scrive:
Nelle [2], [3] e [7], le quantità μ0i *, μ0i e μ0i stanno ad indicare i cosidetti potenziali standard, cioè quei particolari valori che il potenziale assume quando, nei tre diversi casi, si ponga rispettivamente ci = 1, ai = 1, fi = 1: essi costituiscono, quindi, i valori relativi ed arbitrarî del potenziale, cui si trova comodo riferire quelli di ogni altro sistema. Le quantità μ0i dipendono esclusivamente dalla temperatura ed dalla pressione, ma non dalla concentrazione.
La variazione di energia libera (a T e p costanti) in un sistema chimico in evoluzione, per la stessa definizione di potenziale chimico, vale:
Se il sistema chimico, che si può schematizzare come segue:
è invece all'equilibrio, allora dF = 0, e, tenendo conto del fatto che le variazioni delle molecole dni che compaiono nella [8] non sono tra di loro indipendenti, ma legate alle leggi stechiometriche, e che pertanto:
potremo scrivere a mezzo della [8] per la variazione di energia libera (quando virtualmente si mettono in gioco rispettivamente a, b, ..., l, m, .... molecole):
Da quest'ultima, con l'aiuto delle [3] e [7] si ricava rispettivamente:
oppure:
che equivalgono alle altre:
oppure
I termini a destra delle [14], a temperatura e pressione costanti, sono costanti; se noi li indichiamo rispettivamente con −ΔFo, −ΔFo, e poniamo:
avremo ancora:
che sono chiamate costanti di equilibrio riferite, rispettivamente, all'attività e alla fugacità.
Le costanti Ka e Kf nel caso di un sistema ideale, per essere allora:
si trasformeranno nelle altre Kc e Kp (v. XIV, p. 151).
Ne segue:
La [17] ricordando che fi = pi γi, si esprime:
avendo indicato con Kp il primo rapporto già precedentemente definito e con Zγ quel rapporto particolare di coefficienti di attività, che è formalmente analogo ad una costante di equilibrio.
La [20] ci esprime una relazione tra la costante di equilibrio, le pressioni parziali dei varî componenti e i rispettivi coefficienti di attività in termini di fugacità, che può essere ulteriormente trasformata ponendo pi = Ni P, dove Ni (frazione molecolare o concentrazione termodinamica) ci dà il rapporto fra le gr. mol. ni del gas "i" e le gr. mol. totali Σ ni. Si ottiene così una nuova relazione che pone la costante Kf in funzione delle quantità γi, Ni e P, facilmente calcolabile.
Ricordiamo che considerando valida la regola empirica di G. N. Lewis e M. Randall, secondo cui la fugacità di un gas in una miscela è approssimativamente uguale al prodotto fra la sua concentrazione termodinamica e quella fugacità che esso avrebbe se, da solo, e cioè allo stato puro, fosse soggetto a una pressione uguale a quella del miscuglio, potendosi scrivere:
si potrà ugualmente porre, come è facile dimostrare:
dove K′ differisce da Kf per l'ordine di approssimazione offerto dalla [21] e KN è la costante di equilibrio in funzione delle concentrazioni termodinamiche Ni:
La [22] può poi essere vantaggiosamente trasformata, ricordando che, in armonia con la [5] e con la [21], è ovviamente:
essendo P la pressione totale del miscuglio. I coefficienti di attività γi′. sono quindi dei coefficienti di attività di riferimento, cioè quelli che possederebbero i rispettivi gas facenti parte del miscuglio, se, allo stato puro, fossero soggetti ad una pressione pari a P.
Ne segue che la [22] può trasformarsi nell'altra:
(avendo posto Σνi = − a − b − .... + l + m + ....) e cioè, con la stessa notazione della [20]:
o ancora:
formula corrispondente alla stessa [20].
Date le gravi complicazioni sperimentali cui si va incontro nello studio delle sintesi degli equilibrî alle alte pressioni, non esistono ancora oggi dati veramente rigorosi in questo campo da portare come esempio. Tuttavia, ricordiamo l'ottimo lavoro di R. H. Newton e B. F. Dodge i quali, basandosi su precedenti calcoli di L. J. Gillespie e su misure eseguite da A. T. Larson e R. L. Dodge, hanno studiato nel 1935 l'equilibrio dell'ammoniaca dagli elementi che gli autori scrivono nella forma:
La [27] in questo caso si scrive:
Gli autori, forniscono una tabella di valori per Z′γ, per temperature comprese tra 325° e 500° C e per pressioni fra 10 e 1000 atmosfere (vedi tab. 1):
Da questa tabella risulta intanto, a conforto delle teorie, un notevole accordo tra valori calcolati e trovati sperimentalmente in tutto il campo delle temperature e delle pressioni, particolarmente al di sotto di 600 atmosiere. Lo scarto che si verifica al di sopra di questa pressione è con tutta probabilità da riferirsi, oltre che alle difficoltà sperimentali, anche al fatto che la regola di Lewis e Randall è da ritenersi a tali pressioni non sufficientemente approssimata.
Coi dati della tab. 1 gli stessi autori hanno calcolato, a mezzo della espressione [26] i valori di Kf′ esposti nella tab. 2, riportata anche da S. Glasstone.
È importante notare che la costante di equilibrio Kp, pari a quella che si scriverebbe per l'equilibrio [28], se a tutte le pressioni i tre gas N2, H2 e NH3 potessero essere considerati come ideali, si mantiene circa costante fino a 50 atmosfere, mentre al di sopra di questa pressione essa si allontana molto dal valore iniziale. D'altra parte la costante Kf′ giusto quanto si è notato più sopra, si mantiene tale fino a circa 600 atm.
Lo studio del seguente equilibrio:
il quale tanta notevole importanza ha assunto in questi ultimi anni, è stato eseguito, tra gli altri, dagli autori su ricordati, R. H. Newton e B. F. Dodge ed in seguito anche da R. H. Ewell. I primi due hanno dato il metodo per il calcolo dei coefficienti di attività dei gas reagenti ed i loro risultati sono riassunti nella figura, nella quale si leggono i valori della costante Zγ in funzione delle pressioni nell'intervallo fino a 1000 atmosfere e delle temperature tra 250° e 500° C. Da questi dati R. H. Ewell ha calcolato i valori che sono riassunti nella tabella 3, nella quale sono indicati per pressioni tra 10 e 300 atmosfere i valori di Kp, Zγ e Kf alla temperatura di 300 centigradi, dedotti in base alla relazione:
In tab. 3 si leggono anche i valori delle pressioni parziali dei tre gas all'equilibrio, che Ewell ha dedotto con un calcolo abbastanza semplice, per il quale si rimanda alla nota originale.
Calcolo assoluto delle costanti di equilibrio. - In questi ultimi anni si è definitivamente affermato un nuovo capitolo della termodinamica chimica che, da una parte, attinge alle teorie matematico-statistiche e, dall'altra, alle più moderne vedute della fisica quantistico-spettroscopica. Suo scopo è quello di eliminare le gravi difcoltà che si incontrano nel laborioso calcolo derivante dal trorema di W. Nernst, e tutte le incertezze ad esso inerenti.
In proposito ci limitiamo a far notare che, a causa della [14], le costanti di equilibrio possono essere messe in relazione con le variazioni di energia libera attraverso la relazione:
mentre l'energia libera è legata alla variazione di entropia a mezzo dell'altra:
Δ Η rappresentando l'effetto termico della reazione a pressione costante, e Δ S la differenza tra la somma delle entropie possedute dai prodotti di reazione all'equilibrio e quella delle sostanze reagenti. È evidente dunque che conoscendo Δ S è possibile risalire al calcolo della costante di equilibrio. Orbene, è appunto sul calcolo aprioristico dell'entropia per via spettroscopica che si sono concentrati gli sforzi dei varî ricercatori. Per dare un'idea del processo logico seguito, diremo che si trova conveniente esprimere l'entropia totale di un componente come la somma di più termini:
dove ST è il valore dell'entropia relativa all'energia di traslazione, SR quello relativo alla rotazione, SV alla vibrazione, Smix è la cosiddetta entropia di miscuglio, dovuta alla miscela che si genera considerando le molecole del composto studiato come costituite da varietà di simmetria differenti (e ciò in relazione ai possibili orientamenti degli eventuali spin nucleari), e Se un particolare termine di origine elettronica, che però nelle ordinarie reazioni chimiche può essere per lo più trascurato (molecole non eccitate), mentre in astrofisica, date le altissime temperature, può divenire tutt'altro che trascurabile. La quantità ST è stata studiata da O. Sackur e H. Tetrode, i quali indipendentemente sono pervenuti alla stessa relazione:
dove V = volume molecolare, N = costante di Avogadro, m = massa molecolare effettiva, k = costante di Boltzmann, T = temperatura assoluta, h = costante di Planck ed e = base dei logaritmi naturali. La [33] evidentemente costituisce anche l'entropia totale della molecola monoatomica, la quale non possiede termini di entropia differenti da ST.
Benché non sia rigoroso, nei calcoli ordinarî si considera l'entropia di rotazione indipendente da quella di vibrazione. In questo caso le teorie incontrano delle gravi difficoltà, soprattutto per il fatto che spesso le molecole presentano gradi interni di rotazione (oltre ai due o tre ordinarî). Se la molecola è rigida (quale per es. può essere il benzolo, molecola piana a simmetria senaria), allora si può adoperare una equazione proposta da H. A. Halford e cioè:
dove, oltre alle quantità già viste, figurano i momenti di inerzia A, B, C della molecola rigida, i gradi di libertà a, b, c associati ai corrispondenti momenti di inerzia e la loro somma n. La quantità σ è ciò che si chiama numero di simmetria, quantità che ci indica il numero totale di posizioni spaziali equivalenti, che una molecola può occupare per effetto di rotazioni semplici.
Per l'entropia di vibrazione le teorie quantistiche fissano la seguente espressione:
dove
è la cosiddetta funzione di partizione; c è la velocità della luce in cm./sec. ed εv la quantità
essendo v il relativo numero quantico ed ωi la frequenza di ciascun modo fondamentale di oscillazione in cm-1.
Da quanto precede risulta che al giorno d'oggi, per il calcolo aprioristico della costante di equilibrio, è necessaria soltanto la conoscenza dei seguenti dati: massa molecolare, spettro Raman, spettro ultrarosso (oscillazioni e simmetria molecolare), distanze interatomiche da esperienze di raggi X e di diffrazione elettronica (e quindi la conoscenza dei momenti di inerzia) ed i calori di formazione dei singoli componenti l'equilibrio.
Bibl.: R. H. Newton e B. F. Dodge, in Ind. Eng. Chem., XXVII, 1935, p. 577; S. Glasstone, Thermodynamics for Chemists, New York 1947; R.H. Ewell, in Ind. Eng. Chem., XXXII, 1940, p. 147; H. A. Halford, in J. Chem. Phys., II, 1934, p. 694; E. Fermi, Molecole e cristalli, Bologna 1934; id., Thermodynamics, Londra 1938; R. H. Fowler e F. A. Guggenheim, Statistical Thermodynamics, Cambridge 1939.