equinozio
. Epoca dell'anno in cui la durata della notte è uguale a quella del giorno.
Il Sole, ogni giorno, percorre un cerchio parallelo all'equatore; tale cerchio è diviso da quello dell'orizzonte in due parti diseguali, l'una corrispondente all'arco diurno dell'astro, l'altra all'arco notturno. Dividendo i due cerchi ciascuno in dodici parti uguali, si otterranno ore differenti rispettivamente sia da quelle di un giorno diverso, sia da quelle dell'altro arco, diurno o notturno, dello stesso giorno. Per questo tali ore sono dette disuguali o temporali, in opposizione alle ore uguali, determinate in base alla divisione in ventiquattro parti uguali di un giorno completo e che di conseguenza hanno la stessa durata lungo tutto l'anno, sia di notte che di giorno (Cv III VI 2-3). Le ore disuguali sono perciò tali che, ogni giorno, la somma di un'ora diurna e di una notturna è uguale a quella di due ore uguali. Durante gli e., ore uguali e ore disuguali si confondono. Ci sono due e. ogni anno: uno all'inizio di primavera, l'altro all'inizio d'autunno.
Perché un e. si verifichi, occorre che il cerchio percorso dal Sole durante il suo moto quotidiano sia diviso dall'orizzonte in due parti uguali e che tale cerchio sia perciò l'equatore. Ma d'altra parte il Sole, ogni giorno, occupa un punto differente dell'eclittica: si avrà perciò e. il giorno in cui il Sole si troverà nel punto in cui l'eclittica s'interseca con il cerchio dell'equatore. Anche i due punti d'intersezione dell'eclittica con l'equatore prendono il nome di equinozi.
Non bisogna tuttavia confondere le variazioni cui sono soggetti i due tipi di e. così definiti: i due giorni dell'anno da una parte e i due punti della sfera celeste dall'altra. Il moto detto di ‛ precessione degli e. ' è quello cui è soggetta tutta la sfera celeste attorno all'asse dell'eclittica, moto lentissimo che si compie da ovest a est e che Tolomeo, seguito da Alfragano, valutava in un grado ogni cento anni; valore questo riportato da D. (Cv II VI 16, XIV 11), il quale ignora gli altri valori proposti (specialmente quello di al-Battani, di un grado ogni sessantasei anni), come pure le ipotesi concorrenti (moto di accesso e recesso di Thabit ben Qurra, moto misto di precessione e di accesso e recesso di Alfonso X).
Sempre alla precessione di un grado per secolo, D. fa allusione in Cv II XIV 16, dove considera le conseguenze che comporterebbe l'assenza di moto diurno: la terza parte del cielo sarebbe ancora non veduta in ciascuno luogo della terra. In tal caso la parte visibile della sfera stellata sarebbe costantemente la semisfera limitata dall'orizzonte dell'osservatore: ma dalla creazione del mondo, la cui data risale a 6500 anni prima del viaggio di D. (cfr. Pd XXVI 109-123), l'uomo avrebbe già potuto contemplare, grazie al moto di precessione di un grado ogni cento anni, la porzione di sfera celeste compresa tra l'orizzonte orientale e il circolo massimo passante a sessantacinque gradi dello zodiaco oltre l'orizzonte orientale: quindi rimarrebbe ancora da vedere la porzione di sfera celeste compresa tra l'orizzonte occidentale e il suddetto circolo massimo parimenti definibile come passante a centoquindici gradi dello zodiaco prima di detto orizzonte, cioè approssimativamente un terzo della volta stellata.
Il moto di precessione provoca uno slittamento dello zodiaco reale (vale a dire delle costellazioni dalle quali prendono i rispettivi nomi le parti in cui esso è diviso) in rapporto allo zodiaco apparente (cioè l'attribuzione del nome di una costellazione a ciascuna parte uguale, in cui esso è diviso). Tale slittamento dello zodiaco reale e di tutta la sfera delle Stelle fisse è però tanto lento da essere impercettibile, quasi ascoso (Cv II XIV 1), a differenza del moto diurno di questa stessa sfera che ciascuno è in grado di osservare. Coerentemente con la regola che voleva ogni moto celeste risultante da un principio motore indipendente, la cosmologia medievale, prima dell'astronomia alfonsina, completava il sistema delle sette ‛ sfere ' dei pianeti (v. EPICICLO) attribuendo a un'ottava sfera il moto di precessione, e rinviando alla nona sfera la responsabilità del moto diurno (cfr. Cv II III 5).
Il moto dell'ottava sfera, che completa la propria rivoluzione solo dopo trentaseimila anni, serve come termine di paragone per l'eternità, in Pg XI 108. Ma D., inoltre, l'utilizza come elemento cronologico di grande precisione: nel momento in cui vide Beatrice per la prima volta (Vn II 2), questa aveva un'età pari al tempo occorrente al moto di precessione per compiere un dodicesimo di grado, cioè esattamente otto anni e quattro mesi.
Se il moto di precessione o dell'ottava sfera appartiene all'astronomia, la variazione della data degli e. nel Medioevo riguarda il calendario. Fissando la durata dell'anno tropico in 365 giorni e un quarto, e il ciclo bisestile in tre anni di 365 giorni e un anno di 366 giorni, il calendario giuliano aveva adottato un anno un po' troppo lungo, in quanto l'eccedenza dell'anno civile sull'anno tropico era di 0,03124 di giorno per ogni ciclo bisestile: di conseguenza, ogni quattro anni l'e. si verificava con un lieve anticipo di circa un trentesimo di giorno. La differenza era abbastanza sensibile perché lo scarto tra e. di primavera dei computatori, fissato in maniera stabile dal concilio di Nicea al 21 marzo, e l'e. reale divenne, dopo dieci secoli, di parecchi giorni: l'e. del 1301 era calcolato dagli astronomi il 12 marzo alle 8 di sera.
Se la riforma gregoriana non avesse posto termine a questa situazione, l'arretramento della data dell'e., valutato sommariamente a un giorno per secolo (cioè un centesimo di giorno ogni anno), avrebbe provocato quello spostamento dei mesi in rapporto alle stagioni, al quale D. allude in Pd XXVII 141-142. Orbene, il previsto divorzio a lunga scadenza (nell'ordine di settanta secoli) tra gennaio e inverno sarebbe preceduto, secondo Beatrice, da un completo rovesciamento di direzione della classe: in questa ‛ flotta ' è possibile vedere, con P. Duhem (Le système du monde, IV, Parigi 1916, 228-229), quella delle stelle, il cui cambiamento di corso riguarderebbe, allora, la teoria del moto d'accesso e recesso sino a quel momento ignorata da D. (cfr. il già citato Cv II XIV 11). Ebbene, la teoria di Thā'bit ibn Qurra, tal quale fu assimilata dagli astronomi alfonsini, prevedeva che gli e. effettuassero una rotazione in settemila anni e che il loro moto, avendo raggiunto un valore nullo poco dopo l'era di Cristo, assumerebbe quello di 180° cambiando in tal modo di segno, verso l'anno 3500, quando ancora l'errore del calendario non avrebbe fatto arretrare l'e. oltre il 20 febbraio.