equita
equità Principio di giustizia distributiva. In economia pubblica il termine e., in funzione di come è utilizzato, si presta a essere interpretato in modi diversi.
L’e. può essere intesa come molto vicina, nell’ambito dell’economia del benessere, al concetto di giustizia distributiva (➔ Atkinson, A.B.; Arrow, K.J. Rawls, J.; Samuelson, P.A.; Sen, A.K.; Stiglitz, J.E.). In tale chiave, l’e. è prima di tutto un giudizio (di valore) con cui interpretare gli equilibri di ottimo paretiano (➔ Pareto, ottimo di) a cui giunge un sistema economico e attraverso il quale giustificare un eventuale intervento pubblico a carattere redistributivo. Il termine e., in questo ambito, è talora associato da economisti e scienziati sociali (D. Foley, Resource allocation and the public sector, «Yale Economic Essays», 1967, 7, 1) anche al concetto di eguaglianza. A differenza degli interventi del settore pubblico volti a superare i fallimenti del mercato (➔ mercato, fallimenti del), giustificabili come rimedi a cause di inefficienza degli equilibri a cui giunge il mercato stesso, l’e. si pone come presupposto dell’azione pubblica nell’economia al fine di perseguire obiettivi di giustizia distributiva: gli equilibri a cui perviene autonomamente un mercato concorrenziale, seppure efficienti, potrebbero rivelarsi non equi sotto il profilo distributivo. In questa accezione l’e., mettendo in discussione l’esito cui giunge il mercato sotto il profilo distributivo, diventa il presupposto fondamentale del secondo teorema dell’economia del benessere (➔ benessere, teoremi dell’economia del). Sulla base di un’adeguata redistribuzione delle risorse e dei redditi effettuata dall’operatore pubblico, il completo funzionamento della concorrenza spinge il sistema economico (mercato) verso un equilibrio di ottimo paretiano desiderato dalla collettività (secondo teorema dell’economia del benessere). Tuttavia, dato che la redistribuzione avviene mediante tassazione, l’intervento del settore pubblico non è senza costo in termini di efficienza (➔ cuneo fiscale; Harberger, triangolo di). In particolare, la redistribuzione tramite imposte, se da un lato comporta il perseguimento di obiettivi di giustizia distributiva (istanze equitative), dall’altro genera, al contempo, perdite di efficienza allocativa, determinando il sorgere di un trade off (➔) tra efficienza ed equità. Nel perseguire scopi di carattere equitativo, la pubblica amministrazione genera distorsioni capaci di ledere il grado di efficienza del mercato. In merito alle politiche a carattere redistributivo, la finanza pubblica è chiamata sempre a ponderare il guadagno in e. con il costo in termini di efficienza.
L’e. viene spesso richiamata come principio ispiratore fondamentale di un buon sistema tributario. In quest’ottica, essa è stata legata alla tassazione sulla base del beneficio ricevuto o della capacità contributiva. In termini più specifici, il concetto di e. serve a distribuire l’onere fiscale tra i contribuenti, attraverso l’applicazione dei principi di cosiddetta e. orizzontale ed e. verticale (R.A. Musgrave, The theory of public finance, 1959). ● Il principio di e. orizzontale impone che individui con la stessa capacità contributiva siano tassati in eguale misura. In altre parole, agenti che sono in situazioni uguali o assimilabili (in termini di reddito, carichi familiari, consumo ecc.) dovrebbero pagare lo stesso ammontare d’imposta e, quindi, sopportare il medesimo onere. Si tratta di un approccio etico ritenuto adatto a perseguire un’idea di giustizia sociale caratterizzata dall’eguaglianza di trattamento dei contribuenti supposti uguali nelle connotazioni economiche più rilevanti, proteggendoli da possibili discriminazioni arbitrarie. Tuttavia, come argomentato da A.J. Auerbach e K.A. Hasset (A new measure of horizontal equity, 1999, National Bureau of Economic Research, Working Paper n. 7035), da Musgrave in poi tutti concordano sull’importanza del principio, ma pochi convengono su cosa effettivamente esso statuisca e su come si applichi. In particolare, lo stesso Musgrave nel 1976 (ET, OT and SBT, «Journal of Public Economics», 6, 1-2) raffinò il concetto di e. orizzontale, inserendo quello di opzioni eguali (equal options). In particolare, due persone sono ritenute nella stessa posizione se fronteggiano le medesime opzioni. P.J. Lambert e S.P. Jenkins (Horizontal inequity measurement: a basic reassessment, in J. Silber, Handbook of income inequality measurement, 1999) sottolineano che il principio dell’e. orizzontale può esere riassunto come il trattamento fiscale uguale degli uguali o l’assenza di una discriminazione immotivata. In questa chiave di lettura, il concetto si sostanzierebbe nell’obbligo, nel costruire il sistema tributario, di seguire un principio di giustizia nel meccanismo stesso con il quale si applicano le imposte.
Il principio di e. verticale afferma che individui con capacità contributiva diversa (ability to pay) devono essere tassati in misura diseguale. Il principio in questione, in funzione del diverso grado di avversione alla disuguaglianza accettato dalla collettività, si pone alla base dell’attività di redistribuzione del reddito operata dal settore pubblico. In sostanza, si configura una gamma di criteri distributivi per calibrare la tassazione tra i contribuenti, basata su giudizi di valore ritenuti idonei al fine di ponderare correttamente meriti e bisogni individuali.