equivalenza ricardiana
Proposizione che afferma che elevare un’imposta nel periodo corrente o elevarla nel futuro – a parità di valore attuale delle imposte – non cambia il comportamento degli agenti privati. Si sostiene, inoltre, che la domanda aggregata (➔) sia la stessa qualora un dato ammontare di consumi pubblici venga finanziato nel periodo in cui è posto in essere, o nei periodi successivi. Affinché ciò accada, è necessario che gli operatori privati ‘internalizzino’ il vincolo di bilancio (➔ bilancio, vincolo di) del settore pubblico. Ciò significa che gli agenti privati devono tenere conto, nelle loro scelte, del vincolo di bilancio della pubblica amministrazione. Si supponga, per es., che il settore pubblico aumenti di un dato ammontare la propria spesa in beni e servizi, finanziando tale importo con imposte correnti. Gli operatori privati deciderebbero razionalmente di ridurre i loro consumi correnti di una certa misura, in funzione della minore ricchezza disponibile. Se le imposte venissero elevate nel futuro, il loro ammontare sarebbe superiore a quello delle imposte correnti, in quanto sarebbe necessario non solo ripianare la spesa iniziale – finanziata con il debito pubblico – ma anche regolare gli interessi maturati sul debito stesso. Le famiglie, comprendendo questo meccanismo, calcolerebbero che il valore corrente della loro ricchezza si è ridotto in misura identica nei due casi e quindi opterebbero per una diminuzione dei loro consumi precisamente eguale. La proposizione di e. tra imposte correnti e future fu enunciata dall’economista classico D. Ricardo nel 1820, analizzando le modalità di finanziamento della spesa militare; anche se la proposizione da allora porta il suo nome, egli rimase in dubbio riguardo alla sua validità empirica.
R.J. Barro ripropose nel 1970 il principio dell’e. r. nell’ambito di modelli formalizzati. Affinché la proposizione sia valida, è necessario, come dimostrato da Barro, che le famiglie si comportino come ‘dinastie’, il cui orizzonte temporale è pari a quello – che potrebbe essere ‘infinito’ – del sistema economico in cui vivono, e che il mercato dei capitali sia perfetto. La prima ipotesi, implicante un forte senso di altruismo verso i propri discendenti, è necessaria in quanto i membri viventi di una famiglia devono tenere conto anche delle imposte che potrebbero essere pagate dai loro eredi, imposte che altrimenti non verrebbero incorporate nella valutazione della loro ricchezza. La seconda ipotesi è necessaria nel caso in cui famiglie prive di ricchezza finanziaria si trovino temporaneamente a disporre di bassi redditi e desiderino quindi prendere a prestito per finanziare i consumi correnti: se queste famiglie non potessero ricorrere a prestiti, un incremento temporaneo delle imposte inciderebbe necessariamente sui consumi, mentre gli effetti di un aumento futuro verrebbero diluiti su più periodi.
Gli assunti alla base della proposizione di e. r. sono stati discussi estesamente. In un sistema in cui la popolazione cresce per effetto dell’immigrazione, il debito pubblico – che è sinonimo di imposte future – è considerato ricchezza per la quota di queste ultime che graverà sugli immigrati, per cui non vi è equivalenza ricardiana. L’ipotesi di mercati dei capitali perfetti si scontra con la presenza, anche nei sistemi economici avanzati, di agenti il cui accesso al credito è limitato. Inoltre, in presenza di imposte distorsive, di imposte, cioè, che alterano le scelte degli operatori economici, come avviene, per es., nel caso di quelle sul reddito, le imposte possono disincentivare l’offerta di lavoro: in questa situazione, tipicamente, il valore della distorsione corrente (nel caso di imposizione fiscale immediata) non è identicamente eguale al valore presente delle distorsioni future (nel caso di imposizione fiscale differita). Le verifiche empiriche condotte, anche dallo stesso Barro, a partire dalla fine degli anni 1970, suggeriscono che la proposizione di e. sia solo parzialmente verificata.