ERACLEA al Latmo (v. vol. III, p. 390)
p. 390). - I più antichi resti di costruzioni finora trovati sono due valli circolari «lelegici» che, in analogia con strutture dello stesso tipo in Caria e nell'area di Capo Mykale, è possibile datare fra l'età tardo-geometrica e quella arcaica. Myus era da tempo nota come il confine nord-occidentale del territorio di E., mentre non era noto il confine a S: questo problema ha potuto trovare risposta con la scoperta delle cave di marmo di Mileto e della città portuale di Ioniapolis nella parte sud-orientale del golfo di Mileto stessa, l'odierno lago di Bafa. Le cave di marmo sulla riva orientale del mare, presso l'odierno villaggio di Gölyaka (già Bujak), finora considerate milesie, sono invece di Eraclea. È stata chiarita anche la posizione del precedente insediamento di Latmo (v. caria). Con grande probabilità è possibile ricondurre al tempo di Pleistarco lo spostamento e la rifondazione della vecchia città, sulla dorsale posta più a occidente.
È difficile dire quanto fosse stata ampliata la città già durante il regno di Pleistarco. In ogni caso vengono fatti risalire al suo tempo, cioè all'inizio del III sec. a.C., la pianificazione complessiva e la costruzione delle fortificazioni, le cui imponenti dimensioni difficilmente si possono spiegare con motivi difensivi, mentre sembrano piuttosto dovute alle esigenze di rappresentanza di un sovrano ellenistico. Anche il santuario principale della città, cioè il Tempio di Atena che qui riceve l'epiteto di Latmia, esisteva già nel III sec. a.C., come si può dedurre dalle iscrizioni presenti sulle sue ante e dalle lettere di Antioco III e di Zeuxis al consiglio e al popolo della città. Dalla sistemazione delle iscrizioni in quel luogo si può inoltre concludere che il tempio aveva anche la funzione di archivio della città. Per la sua posizione su un'alta rupe isolata, l'edificio si riconosce già da lontano quale emblema di E.; è un tempio di ordine dorico, con due colonne in antis, di dimensioni ridotte, come imponeva la sua collocazione topografica. Rimangono ancora in piedi pareti della cella di gneiss occhiadino locale. Invece erano di marmo il pavimento, la facciata e l'intera struttura superiore, come negli andrònes di Labraunda. Si sono trovate parti di tutti gli elementi costruttivi, a eccezione dei capitelli dorici.
Il témenos del Santuario di Atena arrivava a E fino all'agorà, una piazza circondata da colonne doriche che occupa la più grande area in piano del territorio cittadino. A S l’agorà poggia su possenti sostruzioni che per due terzi venivano utilizzate quali magazzini a due piani preceduti da un corridoio. Il piano superiore constava di una grande sala a due navate e, nell'angolo sud-occidentale, di un edificio in cui la tecnica di costruzione delle finestre e delle pareti consente di datare il tratto meridionale dell'agorà al II sec. a.C.
Nel II sec. a.C., cioè all'epoca del massimo splendore economico della città, fu probabilmente edificata la maggior parte delle grandi costruzioni, la cui funzione in parte non è stata ancora chiarita. Viceversa, a causa della sua singolare struttura, con la quale si intendeva imitare una grotta, è stato identificato in maniera inequivocabile il Tempio di Endimione. Insieme al Tempio di Atena, questo è l'edificio meglio conservato della città. Consiste in una cella con parete posteriore a forma di abside nella quale è integrata la roccia affiorante, e in un atrio arricchito di cinque colonne e due pilastri angolari. L'eroe locale di questa zona, che in un inno originario di E. viene indicato come fondatore della città, possedeva, accanto al suo santuario sui monti (Paus., V, 1, 4), un luogo di culto nella città. Anche questo edificio va collocato in epoca ellenistica in base allo stile della sua costruzione e alla sua opera muraria. L'abitato, a noi pervenuto in cattivo stato di conservazione, si estende prevalentemente sul pendio a Ν dell'area del Santuario di Atena e a E dell'agorà; tuttavia l'andamento delle strade e le insulae si delineano più o meno chiaramente sul territorio.
La necropoli si estende su una vasta zona nel raggio della città vecchia e di quella nuova. Si tratta quasi sempre di semplici costruzioni, cavità rettangolari scavate semplicemente nel terreno roccioso che il più delle volte erano chiuse con una pesante lastra rettangolare o con un coperchio a timpano. La maggior parte delle tombe aveva inoltre una sottile copertura mediana di micascisto. Per la costruzione delle tombe si preferivano piccole rocce isolate che venivano trasformate in un monumento funerario, lasciandone però ampiamente inalterata la forma naturale.
Altri tipi di sepoltura sono poco rappresentati; oltre a due semplici tombe a camera scavate nella roccia, sono state trovate finora cinque tombe a camera costruite in muratura di blocchi, tre delle quali si trovano ai piedi del limite meridionale della città antica. Per la loro opera muraria e, in un caso, anche per la copertura in marmo le tombe sono databili all'epoca ellenistica, probabilmente al II sec. a.C.
Bibl.: Rapporti preliminari di scavo: A. Peschlow-Bindokat, Herakleia am Latmos, 1974-1975, in AA, 1977, p. 90 ss.; M. J. Mellink, in AJA, LXXXI, 1977, p. 306 ss.; LXXXII, 1978, pp. 327, 334; LXXXIII, 1979, p. 339; S. Mitchell, Α. W. Nicoli, in ARepLondon, 25, 1978-79, p. 79 ss. - V. inoltre: A. Peschlow-Bindokat, Ioniapolis. Zur Topographie einer milesischen Hafenstadt am latmischen Golf, in IstMitt, XXVII-XXVIII, 1977-1978, p. 131 ss.; ead., Die Steinbrüche von Milet und Herakleia am Latmos, in Jdl, XCVI, 1981, p. 157 ss.; ead., Lelegische Siedlungsspuren am Bafasee, in Anadolu, XXII, 1981-1983 (1989), p. 79 ss.; M. Wörrle, Inschriften von Herakleia am Latmos, I. Antiochos III, Zeuxis und Herakleia, in Chiron, XVIII, 1988, p. 421 ss.; Α. Peschlow-Bindokat, Die Nekropolen von Latmos und Herakleia am Latmos, in VII Araştırma Sonuçları Toplantısı, 1989, p. 153 ss.; S. Mitchell, Archaeology in Asia Minor 1985-1989, in ARepLondon, 36, 1989-1990, p. 106 ss.; M. Wörrle, Inschriften von Herakleia am Latmos. 2. Das Priestertum der Athena Latmia, in Chiron, XX, 1990, p. 19 ss.